Il cielo di gennaio 2022, tra il Toro, Orione e Sirio

30 Dicembre 2021
Nus

In occasione delle festività natalizie martedì 4, mercoledì 5 e venerdì 7 gennaio 2022 si terranno delle aperture speciali con spettacoli al Planetario al pomeriggio e visite guidate notturne all’Osservatorio Astronomico.

Nel resto del mese le visite guidate notturne in Osservatorio Astronomico si terranno al sabato in due turni da un’ora (alle 21.00 e alle 22.00), con prenotazione online obbligatoria. Per ulteriori informazioni, consultate il nostro sito web: oavda.it.

Ed ora vediamo che cosa c’è di interessante nel cielo di questo mese.

Le fasi della Luna 

Luna nuova il 2 gennaio 2022, Primo quarto il 9, Luna piena il 18, Ultimo quarto il 25.

Giove ci saluta. A inizio del mese, a partire dal crepuscolo fino alle 20.30 circa il pianeta gigante del Sistema Solare è ancora visibile, basso all’orizzonte sud-ovest, mentre a fine mese lo vediamo facilmente fino alle 19.00 circa. Sarà l’unico pianeta osservabile con facilità a occhio nudo.

Urano e Nettuno. Urano sarà visibile per buona parte della notte nella costellazione dell’Ariete, mentre Nettuno, nell’Acquario, lo sarà solo fino alle 21.30 a inizio dell’anno e non oltre le 20.30 a fine mese. Entrambi sono osservabili solo con l’ausilio del telescopio, in cui appaiono come due piccoli dischetti rispettivamente di colore verde chiaro e azzurro intenso.

Le Quadrantidi. Attorno alle 21.40 del 3 gennaio si verifica il picco di attività dello sciame delle Quadrantidi, attivo dal 12 dicembre al 12 gennaio, composto dalle meteore (“stelle cadenti”) generate dalle polveri dell’asteroide 2003 EH1 lasciate lungo la sua orbita attorno al Sole. Durante il picco vi possono essere momenti di intensa attività, con un cospicuo numero di meteore visibili. Grazie all’assenza del chiarore lunare (il nostro satellite naturale sarà in fase Nuova proprio il giorno 3) conviene davvero tentare l’osservazione!

La costellazione del mese: il Toro

Nelle serate di gennaio si può agevolmente osservare la costellazione zodiacale del Toro, che attorno alle ore 22.00 si staglia alta sopra l’orizzonte sud.

Per gli antichi osservatori si trattava sicuramente di una delle costellazioni più importanti, anche perché dal 4000 a.C. ha ospitato per diversi secoli la posizione apparente del Sole all’equinozio primaverile (data che per il calendario dei Babilonesi, i Caldei, e gli Assiri corrispondeva all’inizio dell’anno).

La costellazione del Toro in una tavola dall’opera Mercurii Philosophici Firmamentum Firmianum Descriptionem et Usum Globi Artificialis Coelestis del monaco benedettino Corbinianus Thomas (1694-1767), professore di Matematica e Teologia presso l’università di Salisburgo. Le bande colorate rappresentano la fascia zodiacale. Credit: https://www.raremaps.com/gallery/detail/75751/taurus-thomas

A seconda della versione del mito possiamo associare questa costellazione al toro bianco del quale Giove assunse le sembianze per sedurre la bella Europa, oppure alla vacca raffigurazione di Io, onorata da Zeus in grazia della fanciulla, oppure ancora al Minotauro, il mostruoso figlio della regina Pasifae, che venne imprigionato dal re Minosse al centro del labirinto nel palazzo di Cnosso.

Il dettaglio della Sala dei Tori presso le grotte di Lascaux, in Francia (credit: https://www.focusjunior.it/scuola/storia/preistoria/cosa-sono-le-grotte-di-lascaux/ )

Molte culture antiche hanno visto nella forma a “V” disegnata dalle Iadi le corna di un toro e forse lo stesso immaginavano gli ignoti artisti che realizzarono opere parietali all’interno delle grotte di Lascaux nella Francia sud occidentale. Nella sala dei Tori si nota il dipinto di un bovino che curiosamente reca sul muso, fino alla base delle corna, una serie di punti scuri che alcuni ricercatori (come Adriano Gaspani) hanno ipotizzato poter rappresentare alcune stelle delle Iadi. Analizzando ulteriormente l’opera, si può attribuire alle Pleiadi il gruppo di altri punti che si trovano sulla “groppa” dell’animale.

Eratostene, matematico, geografo e astronomo del III sec. a.C., riporta nel suo Catasterismi (descrizione delle costellazioni) che il complesso delle Iadi rappresenta la testa dell’animale, con i due occhi, le narici, le spalle e le basi delle corna.

Quindi, sia per gli ipotetici antichi osservatori del Paleolitico, sia per i Greci e per gli Arabi, le corna del Toro celeste non sono formate dalle Iadi, ma da queste hanno origine e appaiono lunghissime. La punta nord è infatti rappresentata dalla stella Beta Tauri, chiamata dagli Arabi El Nath (“Il Corno”) e quella sud da Zeta Tauri, chiamata anche Tianguan (o ancora Alheka).

Più di una cultura antica ha visto nella forma a “V” disegnata dalle Iadi le corna di un toro.

Dal punto di vista astrofisico le Iadi, a differenza della maggior parte delle costellazioni che sono spesso formate da stelle a distanze molto diverse tra loro, sono un vero e proprio raggruppamento fisico di oggetti. Con un’età stimata di quasi 700 milioni di anni, le circa 300 stelle che costituiscono le Iadi sono comprese in uno spazio di una ventina di anni luce (un anno luce = circa 10.000 miliardi di km). Alla distanza di circa 150 anni luce sono l’ammasso aperto più vicino al Sole, non a caso alcune componenti sono visibili a occhio nudo.

La costellazione del Toro è quindi facilmente riconoscibile per la “V” di stelle formata da alcune componenti delle Iadi e dall’apparentemente vicina Aldebaran che, alla distanza di 65 anni luce, non fa parte fisicamente dell’ammasso, ma … si limita a seguirlo nel cielo nel moto apparente della sfera celeste (in arabo del X secolo Al dabaran significa infatti “la seguente”, anche se il nome probabilmente si riferisce al fatto che in cielo sembra inseguire anche le non lontane Pleiadi – v. sotto). Questa stella, una gigante rossa, simboleggia l’occhio dell’animale, anche se ne è un po’ il cuore in quanto è la stella più luminosa dell’intera costellazione.

L’ammasso aperto delle Pleiadi, M45. Credit: NASA, ESA, AURA/Caltech, Palomar Observatory Public domain, trough Wikimedia Commons https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pleiades_large.jpg

Questa costellazione ospita anche un altro celebre ammasso aperto, perfettamente visibile a occhio nudo: le Pleiadi (M45 nel catalogo di Messier), a circa 440 anni luce da noi. Le oltre 200 stelle che lo compongono, nate da una nebulosa un centinaio di milioni di anni fa, sono “relativamente” giovani. Mostrano in prevalenza un colore azzurro che denota un’elevata temperatura superficiale, per alcune Pleiadi anche superiore ai 12˙000 gradi.

Per gli antichi greci le Pleiadi visibili a occhio nudo erano le sette sorelle, figlie di Atlante e di Pleione, di cui il gigante Orione si era invaghito. Gli dèi, nel tentativo di salvare queste fanciulle dalla corte indesiderata, le trasformarono in sette colombe che poi salirono al cielo diventando le celebri sette stelle.

Il residuo di supernova M1, chiamato anche “Nebulosa Granchio”. Credit: NASA/HSTI (public domain)

Nel 1054 d.C. l’esplosione di una supernova (il catastrofico fenomeno esplosivo prodotto da una stella di grande massa giunta allo stadio finale di evoluzione), si è resa visibile a occhio nudo tra le punte delle “corna” del Toro per diverse settimane. Ora, sul lato opposto della costellazione del Toro rispetto a M45, al suo posto possiamo osservare al telescopio M1, la Nebulosa Granchio, il residuo di questa esplosione avvenuta a una distanza da noi tra i 5.000 e gli 8.000 anni luce.

Orione, il gigante

A partire da queste serate di gennaio possiamo vedere per tutta la serata Orione, una costellazione che dominerà il cielo per l’intero inverno.

Anche i neofiti la riconoscono facilmente. Le due stelle più luminose della costellazione, situate in posizione opposta sono, in alto a sinistra, Betelgeuse, che nella visione tradizionale rappresenta la spalla destra (anche se l’espressione araba originale potrebbe riferirsi… all’ascella) e, in basso a destra, Rigel (etimologicamente, il piede sinistro). Dal punto di vista astrofisico sono classificate rispettivamente come supergigante rossa e supergigante blu e si trovano rispettivamente a 640 e a 860 anni luce da noi. Betelgeuse è una stella in fase finale di evoluzione, probabilmente è destinata a esplodere come supernova. Rigel è una giovane stella dall’età di 10 milioni di anni, che tra pochi milioni di anni potrebbe seguire lo stesso destino di Betelgeuse.

Al centro del grappolo di stelle che rappresenta la spada di questo gigante notiamo la grande nebulosa M42, che, già osservata attentamente a occhio nudo, sembra una stella sfocata, una specie di batuffolo luminoso. Nei binocoli e nei telescopi regala sempre una visione indimenticabile.

Sirio la sfavillante

Prolungando verso sud una linea che passa attraverso le tre stelle della cintura di Orione, individuiamo la stella più luminosa dell’intera sfera celeste: Sirio, in greco “la sfavillante”, affascinante sia a occhio nudo che attraverso il telescopio. Il suo caratteristico rutilare con continui bagliori colorati, più intenso quando l’aria è turbolenta, è dovuto alla rifrazione della sua luce da parte dell’atmosfera terrestre. È una delle stelle più vicine a noi (dista 8,6 anni luce) e il suo vero colore, un bel bianco celeste, indica una temperatura superficiale di circa 9˙500 gradi.

 

A cura di Paolo Recaldini

La rubrica “Un, due, tre stella!” è realizzata dalla Fondazione Clément Fillietroz-ONLUS con il contributo della Fondazione CRT.

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