Regolo, il piccolo re del cielo di primavera
Lo scorso 20 marzo, alle ore 10.37 dei nostri orologi, è stato il momento dell’equinozio di primavera (autunno nell’emisfero sud della Terra). Nella prima parte della serata le costellazioni invernali, come il gigante Orione e il Toro, sono ancora visibili, ma tramonteranno sempre più presto, lasciando gradualmente la ribalta alle costellazioni primaverili. Tra queste, quattro sono quelle più facilmente identificabili: il Leone, la Vergine, Boote e l’Orsa Maggiore. Quest’ultima è parzialmente circumpolare, cioè si trova così vicino al Polo nord celeste da risultare visibile in ogni stagione e durante tutta la notte. È però nel cuore della primavera che dà il meglio di sé, perché dopo cena culmina prossima alle regioni zenitali, cioè proprio sopra la nostra testa.
Benché all’interno dell’Orsa Maggiore si trovi uno dei disegni stellari – tecnicamente detti asterismi – più famosi, ovvero il gruppo di sette stelle che forma il Grande Carro, in realtà questa costellazione non ospita nessuna stella di prima magnitudine. La stella più brillante del trapezio è Regolo, che occupa il vertice sudoccidentale, in basso a destra. Il nome italiano deriva dal latino Regulus, che è anche il nome ufficiale della stella e significa “piccolo re”. Invece Leone, Vergine e Boote, le altre tre costellazioni del quartetto primaverile, contengono ognuna una stella tra le più brillanti del cielo: Regolo nel Leone e Spica nella Vergine, entrambe di prima magnitudine, e Arturo in Boote, la cui magnitudine è addirittura negativa. Arturo è l’unica stella dell’emisfero celeste boreale a vantare un simile primato, il che ne fa automaticamente la stella più brillante della metà settentrionale del cielo, come già ricordato in un’altra puntata di questa rubrica.
Ricordiamo che la magnitudine indica un po’ la posizione di una stella nella classifica della brillantezza: più è basso il numero, più alta è la posizione in classifica, cioè più luminoso ci appare l’astro. All’inizio la catalogazione si faceva a occhio, poi, man mano che venivano sviluppate tecniche per la misura quantitativa del flusso luminoso di una stella, la calibrazione è stata aggiornata e sono comparse anche le magnitudini nulla e addirittura negative. Quindi una stella di magnitudine 1 è più luminosa di una di magnitudine 2, una di magnitudine 0 è più luminosa di una di magnitudine 1, una stella di magnitudine negativa è ancora più brillante.
Roarr!! No, la costellazione del Leone non ruggisce, ma è comunque abbastanza facile da riconoscere in queste notti di inizio primavera. Di sera, guardiamo verso sud, piuttosto in alto, e sotto il Grande Carro e le zampe dell’Orsa Maggiore vedremo quattro stelle che formano un trapezio. Rappresentano il corpo del re degli animali, mentre stelline non altrettanto appariscenti ne costituiscono la testa. La stella più brillante del trapezio è Regolo, che occupa il vertice sud occidentale, in basso a destra. Il nome italiano deriva dal latino Regulus, che è anche il nome ufficiale della stella e significa “piccolo re”. Gli studiosi non sono concordi sul perché sia qualificato come piccolo: forse è per distinguerlo dalla stessa costellazione cui appartiene, quella del Leone re degli animali, che è il re tutto intero, mentre Regolo ne è solo un pezzo. Merita però il titolo almeno in virtù della su brillantezza, essendo l’astro più luminoso di tutta la costellazione, con una magnitudine apparente di 1,4.
Regolo è in realtà un sistema formato da più stelle. La componente principale è di colore blu (classificata B7 o B8), con una temperatura superficiale di quasi 13.000 gradi. Ha un diametro di quasi 6 milioni di km, circa quattro volte quello del Sole. Si trova alla distanza di 79 anni luce (un anno luce è pari a quasi 10.000 miliardi di km), il che implica che la sua luminosità complessiva superi quella della nostra stella di circa 350-360 volte, considerando anche la cospicua emissione nell’ultravioletto, tipica delle stelle così calde. Vicino le orbita una stella molto meno brillante, probabilmente una nana bianca. C’è poi un’altra coppia di stelle, una nana arancione e una nana rossa, che potrebbe essere gravitazionalmente legate alla coppia precedente, anche se la questione non è del tutto risolta. La loro vicinanza potrebbe essere un mero effetto prospettico. Una delle due stelle di questa seconda coppia potrebbe essere a sua volta doppia, rendendo Regolo un potenziale sistema quintuplo. In ogni caso, la luce che vediamo a occhio nudo è dovuta alla stella blu, nettamente quella più cospicua del lotto.
La costellazione del Leone è di origine antichissima, risalendo almeno all’epoca delle prime grandi civiltà mesopotamiche. Successivamente, la tradizione venne fatta propria dalla cultura greca, che vi vedeva il leone di Nemea, ucciso da Ercole durante la prima delle sue dodici fatiche. Gli abitanti di Nemea, dalle parti di Corinto, vivevano nel terrore di un feroce leone che faceva strage di bestiame e persone. La belva non temeva alcun avversario perché dotata di pelle invulnerabile a qualunque arma. Per questo Eracle, nome greco per il romano Ercole, lo affrontò a mani nude, riuscendo infine a spezzargli la schiena. L’eroe scuoiò il felino e si fece una veste con la sua pelle, che quindi fungeva un po’ da… giubbotto antiproiettile. Nel frattempo Zeus, padre del semidio Eracle, omaggiò il leone sconfitto trasformando in stelle il suo possente corpo, o quel che ne rimaneva.
Secondo alcuni studi, le dodici fatiche sono una rappresentazione mitica del moto annuo del Sole lungo l’eclittica, cioè attraverso le dodici tradizionali costellazioni della fascia dello zodiaco. Oggi sappiamo che si tratta di un moto apparente: è la Terra che durante l’anno orbita attorno al Sole e così cambia la propria posizione nello spazio, in modo che, dal nostro punto di vista, vediamo man mano il Sole proiettato verso una differente costellazione sullo sfondo. Duemila anni fa appariva prospetticamente nella costellazione del Leone tra luglio e agosto, nel periodo statisticamente più caldo dell’anno alle nostre latitudini. Si pensa che l’espressione “solleone”, per sottolineare la calura tipica dell’estate, sia nata in quell’epoca, giungendo fino ai nostri giorni. Oggi, a causa del moto di precessione degli equinozi, questo non è più vero e la costellazione del Leone ospita la nostra stella tra la seconda metà di agosto e la prima di settembre, ovvero quando l’estate comincia a declinare. Regolo resta comunque la stella di prima magnitudine più vicina all’eclittica.
Tornando al trapezio del Leone, la stella sudorientale, in basso a sinistra, si chiama Denebola, nome che deriva dall’arabo “Deneb Alased” a significare “la coda del leone”. Il termine “Deneb” significa proprio “la coda” in arabo medievale ed è condiviso con altre stelle, che rappresentano tutte le code di altri animali celesti immaginati dai nostri avi: si pensi alla brillante Deneb del Cigno, di cui parlammo qui, oppure a Deneb Algedi nel Capricorno e Deneb Kaitos nella Balena.
Tra il ventre dell’Orsa Maggiore e il dorso del Leone si trova un gruppo di stelle davvero deboli, che alla fine del XVII secolo l’astronomo polacco Johannes Hevelius, latinizzazione di Jan Heweliusz, raccolse nella costellazione del Leone Minore. In questo modo venne ristabilita una simbolica parità numerica tra i due grandi animali del cielo primaverile: due Orse e due Leoni. Anche se l’Orsa Minore, ospitando la Stella Polare, è molto più importante del Leone Minore, che non possiede stelle particolarmente significative da vedere a occhio nudo.
Le meraviglie astronomiche della stagione appena cominciata sono protagoniste dello spettacolo “Il cielo di primavera – Il guardiano dell’Orsa” che, quando la situazione sanitaria lo permetterà, mostreremo a chi verrà a trovarci a Planetario di Lignan.
La struttura è dotata di un sistema di proiezione digitale 4K di ultima generazione, ottenuto nell’ambito del Progetto “EXO/ECO”, finanziato dal Programma di Cooperazione transfrontaliera Italia-Francia ALCOTRA 2014/20. In fondo all’articolo trovate il video di anteprima dello spettacolo, in formato “full dome”, pronto per essere proiettato sulla cupola da 10 m di diametro offrendo un’esperienza immersiva, emozionante, ma scientificamente accurata. Per essere informati tempestivamente su quando potremo accogliere nuovamente i visitatori, in sicurezza per tutti i partecipanti e gli operatori, leggete la rubrica “Un, due, tre stella!”, visitate il nostro sito, iscrivetevi alla newsletter e seguiteci sui social.
L’articolo è stato realizzato in collaborazione con l’Associazione LOfficina del Planetario che gestisce il Civico Planetario “Ulrico Hoepli” di Milano (lofficina.eu).