Bimba morta, il pediatra a processo: “Non mi sono rifiutato di visitarla”
Quando “sono tornato per rivalutarla”, la bambina “non aveva alterazioni all’auscultazione. La tosse non aveva più tono abbaiante. La temperatura era scesa. La frequenza respiratoria era scesa. La mamma era tranquilla”. Ha ricordato così, il pediatra Marco Aicardi, sentito oggi nel processo che lo vede imputato per omicidio colposo, la visita al pronto soccorso dell’ospedale “Beauregard”, conclusasi con le dimissioni della piccola Valentina Chapellu, l’11 febbraio 2020.
La bambina, di 17 mesi, è morta sei giorni dopo all’ospedale Regina Margherita di Torino, dov’è stata trasferita in condizioni disperate (in una scorsa udienza, tra i testimoni vi era stato anche un rianimatore del nosocomio piemontese), dopo un arresto respiratorio in Valle nelle ventiquattr’ore successive all’accesso ospedaliero effettuato dall’imputato. “Ho raccomandato di continuare il paracetamolo – ha aggiunto Aicardi – e fare un aerosol, senza usare un apparecchio ad ultrasuoni. Ho raccomandato anche alla mamma che l’indomani sentisse il medico curante, perché andava rivisitata”.
Gli esami non disposti
Il pm Francesco Pizzato ha incalzato il dottore sulle ragioni della mancata effettuazione di alcuni esami, considerato che la bambina (deceduta, secondo gli accertamenti, per una “grave complicanza batterica” dell’influenza A, di cui all’ospedale torinese è stato isolato il virus nel suo organismo) era stata già portata altre due volte, nelle settimane prima, al pronto soccorso pediatrico. Il pediatra ha spiegato di non aver disposto le analisi “per vari motivi”.
In particolare, quelle delle urine, perché l’aver trovato una infiammazione delle vie aeree, al momento della visita di accesso, rende “piuttosto improbabile arrivasse alle vie urinarie”. Per quanto riguarda una radiografia, “ho deciso in linea con le linee guida del Ministero della salute”, per cui l’esame va eseguito “qualora vi siano delle complicanze”, ma “in quel momento non avevo evidenza di polmonite in atto”.
La polmonite? “Nulla la faceva pensare”
Oltretutto, la piccola non presentava, nella valutazione del medico, “febbre persistente da un mese”, bensì “episodi infettivi non congiunti” e “non c’erano indicazioni che facevano ritenere la necessità di ricoverarla”. All’interrogativo del pubblico ministero sulla “polmonite sovrainfettante” riscontrata nell’autopsia, Aicardi ha risposto che “quando un paziente va in terapia intensiva (reparto in cui la piccola è stata ricoverata all’ospedale torinese, ndr.), la ventilazione meccanica, nonostante gli accorgimenti che vengono presi, può portare a una sovrainfezione batterica, che naturalmente trovo nell’autopsia”.
L’11 febbraio, però, per il pediatra, la polmonite non era presente. “A livello di auscultazione – ha detto – non c’era nulla che me lo facesse pensare. Anche la radiografia effettuata 24 ore dopo non la ha confermata”. Sollecitato dal suo difensore, l’avvocato Pietro Obert di Torino, il medico è anche tornato sulle circostanze, riferite dalla mamma della bimba nella sua deposizione, di una visita effettuata solo dopo la minaccia della genitrice di rivolgersi ai Carabinieri.
“Rifiutare una visita è un reato”
“Non mi sono risultato di visitare la bambina. – è stato categorico l’imputato – Ho letto ciò che è stato dichiarato e mi ha fatto molto male. Rifiutare una visita di pronto soccorso è deontologicamente grave. Sappiamo tutti che è anche un reato. Io non ho mai rifiutato una visita in vita mia”. In prima battuta “ho chiesto alla mamma perché tornasse in pronto soccorso e non dal curante” e “lei mi ha spiegato che non riusciva a raggiungerlo”. A quell’osservazione, il medico ha ricordato alla donna il “diritto di ottenere una visita presentandosi in ambulatorio in orario di apertura, anche senza prenotazione telefonica”.
“Sono stato linciato sui social”
La vicenda, ha concluso il dottor Aicardi, mi ha “fortemente provato dal punto di vista emotivo” e rispondere alla domanda sulle ripercussioni umane e professionali “mi mette in difficoltà, perché sono presenti persone che hanno subito una perdita incolmabile”. “Chi sceglie di fare il pediatra – ha quindi osservato l’imputato – non lo fa per accompagnare i bambini alla morte. Mi sono chiesto se avremmo potuto fare qualcosa di più. Professionalmente, c’è stata una campagna mediatica pesante, sono stato linciato sui social. Ne ho lette di ogni”.
Nuova perizia all’orizzonte
Il processo continuerà il prossimo 20 dicembre. Il giudice Marco Tornatore ha annunciato, in chiusura, la volontà di disporre una nuova perizia tecnica (oltre a quella già svolta con incidente probatorio), che verrà affidata ad un medico legale e ad un pediatra degli Spedali civili di Brescia. La parte civile (la mamma della piccola) e il legale che rappresenta l’Usl della Valle d’Aosta, a processo come responsabile civile, hanno anche informato il magistrato circa il raggiungimento dell’intesa sulla proposta risarcitoria avanzata dall’azienda, che è in corso di formalizzazione.