Lettere di patronage, il pg rinuncia all’appello: definitiva l’assoluzione di Rollandin
Era fissato per dopodomani, giovedì 3 dicembre, l’avvio alla Corte d’Appello di Torino del processo che vedeva imputato l’ex presidente della Regione Augusto Rollandin per abuso d’ufficio continuato, relativamente alle tre “lettere di patronage” da lui inviate nella primavera 2014 ad altrettante banche creditrici del Casinò, ma non si terrà alcuna udienza. La Procura generale, con una decisione comunicata lo scorso 20 novembre ha rinunciato all’impugnazione. I giudici della quarta sezione penale, negli scorsi giorni, hanno quindi dichiarato inammissibile l’appello e ordinato l’esecuzione (rendendola, a questo punto, definitiva) della sentenza di primo grado, pronunciata dal Gup del Tribunale di Aosta il 23 luglio 2019, assolvendo Rollandin perché “il fatto non sussiste”.
Il verdetto era stato originariamente appellato dalla Procura di Aosta. Secondo le indagini della Guardia di finanza con le missive inviate, tra marzo e maggio 2014, alla Bccv (creditrice per 4 milioni di euro), alla Banca Passadore (5 milioni) e alla Banca Popolare di Sondrio (10 milioni), l’imputato aveva attuato un’assunzione “di vere e proprie garanzie patrimoniali, nei confronti” degli istituti di credito, attuata attraverso la “spendita illegittima della propria carica presidenziale di Giunta”, in assenza “di qualsivoglia determinazione” autorizzativa da parte del Consiglio Valle o del Governo regionale. In sostanza, per gli inquirenti, Rollandin non avrebbe potuto sottoscrivere quelle lettere, vista la mancanza di atti di copertura amministrativa a monte.
Nel motivare l’assoluzione, il Gup Davide Paladino aveva tuttavia osservato come “la semplice lettura del testo” permettesse di escludere che le missive contenessero “l’assunzione di un esplicito impegno da parte della Regione” a garantire “gli istituti bancari, nell’eventualità di inadempimento, insolvenza, sottoposizione a procedure concorsuali” della Casinò de la Vallée. Per il giudice, tale caratteristica era tale “da ritenere di poter escludere un carattere impegnativo di tipo ‘forte’ delle lettere”. A riprova del loro tenore “debole”, il Gup aveva annotato anche come “le banche coinvolte considerassero, all’epoca dell’operazione, le lettere come a contenuto per lo più ‘dichiarativo’, ‘limitatamente impegnativo’”.
Il pm Luca Ceccanti, titolare del fascicolo, non aveva però sposato quelle conclusioni, proponendo l’impugnazione, nella quale aveva segnalato alla Corte d’Appello il “deficit argomentativo” del verdetto che, “oltre ad evidenziare marchiani errori di superficialità” obliterava “praticamente tutti gli elementi raccolti dall’ufficio di Procura”. Per l’ufficio inquirente aostano, “la valorizzazione di una piccolissima parte del materiale contenuto nel fascicolo” era “stata fatta a discapito di un adeguato vaglio critico di numerosissimi costituiti processuali che sostengono” la conclusione della colpevolezza dell’imputato. Argomentazioni alle quali la Procura generale non ha ritenuto di dare sviluppo, rinunciando all’impugnazione e comunicandola alla Corte d’Appello, che si è pronunciata di conseguenza.
L’ex presidente della Regione era assistito nel procedimento sulle “lettere di patronage” dall’avvocato Giorgio Piazzese, che sin dalla sentenza di primo grado aveva dichiarato (riferendosi all’indagine chiusa nel giro di tre settimane): “La fretta è sempre cattiva consigliera. Gli elementi di non colpevolezza dell’imputato erano tutti nel fascicolo del pm”. Definito questo procedimento, Rollandin, oggi consigliere regionale nel gruppo di “Pour l’Autonomie” è atteso dagli appelli di altri tre processsi nei quali è stato alla sbarra nel 2019: su un giro di corruzione in alcune partecipate valdostane (fu condannato a 4 anni e 6 mesi in primo grado, con lo scattare della “Legge Severino” e la sospensione dal Consiglio), sulla presunta truffa per i 140 milioni di finanziamenti erogati dalla Regione al Casinò (assoluzione “perché il fatto non sussiste”) e sulla nomina del vertice di Finaosta (assolto “perché il fatto non sussiste”).