Nasce da indagini su rumori e fumi la nuova inchiesta sull’acciaieria “Cogne”

11 Dicembre 2019

Affonda le radici in due precedenti procedimenti della Procura di Aosta il fascicolo aperto nei confronti di cinque alti dirigenti della “Cogne Acciai Speciali” (tra i quali l’amministratore delegato Monica Pirovano), con l’ipotesi di inquinamento ambientale di suolo ed acqua. Uno risale al 2018 ed ha riguardato le emissioni acustiche dell’acciaieria. L’altro, avviato nell’anno in corso, è relativo ai livelli di rilascio, dalla fabbrica, di polveri fini nell’atmosfera. Attività dagli esiti diversi, che – in alcune loro risultanze – hanno tuttavia convinto l’ufficio inquirente diretto da Paolo Fortuna ad approfondire, iniziando nella scorsa primavera, le attività di scarico dell’acciaieria.

Il primo caso si è chiuso, nell’aprile di quest’anno, con il pm Eugenia Menichetti a richiedere al Gip del Tribunale l’emissione di un decreto penale di condanna per un totale di 5mila euro. Nel 2008 la Regione aveva concesso allo stabilimento dieci anni per adeguare i propri sistemi di limitazione dei rumori. Scaduto il termine, l’Arpa e il Corpo forestale della Valle d’Aosta hanno rilevato un superamento dei limiti di legge, per quanto di entità contenuta. La Procura ha lasciato all’azienda un ulteriore anno per svolgere gli interventi necessari (che hanno avuto luogo, con investimenti milionari) ed è poi scattata la richiesta del decreto.

Quanto alle emissioni di polveri fini, il procedimento è, al momento, sospeso. La “Cogne Acciai Speciali” risulta aver optato, sulla base delle disposizioni amministrative, per l’attuazione degli interventi di adeguamento delle emissioni nell’aria. La Procura, nel frattempo, è partita con la terza inchiesta. I cinque indagati, adibiti a mansioni dirigenziali diverse, ma accomunati tra loro dalla delega in materia ambientale nei rispettivi compiti, sanno di essere all’attenzione degli inquirenti: gli è stato comunicato con la richiesta di una proroga delle indagini preliminari, dopo i primi sei mesi di attività investigative.

Fino ad ora, gli inquirenti hanno lavorato, tra l’altro, su documentazione acquisita durante l’inchiesta. L’ispezione di ieri – affidata ai Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Torino ed all’aliquota del Corpo forestale della Sezione di polizia giudiziaria – ha rappresentato il primo atto “sul campo”. Nello stabilimento sono entrati anche i consulenti di cui ha scelto di avvalersi il pm, due ingegneri torinesi, nonché tecnici con competenze ausiliarie in materia giudiziaria, dell’Arpa Piemonte, che hanno proceduto a prelievi di campioni di acqua in alcuni piezometri della fabbrica.

Una scelta, quest’ultima, a quanto si apprende, non dettata tanto da dubbi rispetto all’attività di controllo svolta dalla stessa agenzia in Valle, quanto dalla volontà di allontanarsi dal contesto locale, ad ulteriore garanzia dell’oggettività degli accertamenti (ed in ragione del profilo dei funzionari piemontesi, organo ausiliario dei militari del Noe). L’attività, mirata ad accertare, tramite le analisi successive, l’inquinamento del suolo, dei corsi d’acqua e della falda acquifera sottostante l’ampia area occupata dallo stabilimento è comunque lunga e complessa. La delega ispettiva non prevede di procedere “a campione”, ma in tutti i punti di scarico previsti dalle lavorazioni della fabbrica.

Per questo, dopo ieri, Carabinieri, forestali e tecnici torneranno all’interno dell’acciaieria, per continuare a prelevare. I tempi della relazione conclusiva, che non si limiterà all’esito degli esami sui campioni, ma “leggerà” anche la compatibilità delle procedure aziendali rispetto alle norme di riferimento, non si annunciano brevi. Anche per questo è stata richiesta dal pm la proroga delle indagini, che attribuisce altri sei mesi per indagare. L’intento, come in altri fascicoli recenti (leggi incidente probatorio sul Casinò), appare di acclarare, in via definitiva, eventuali responsabilità connesse ad attività che storicamente si legano alla regione, come la “Cas”.

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