Omicidio Serban, la Corte: da Falloni “particolari fasulli” per “ottenere la compassione”

07 Luglio 2022

Gabriel Falloni, qualche tempo dopo il suo arresto, ha ammesso l’uccisione di Raluca Elena Serban, ma tale gesto “non ha recato alcun contributo alle indagini”, perché “ha confessato quanto era già pienamente noto agli inquirenti, aggiungendo peraltro una serie di particolari fasulli, all’evidente finalità di alleggerire la propria posizione processuale”. Lo si legge nelle 66 pagine in cui il presidente della Corte d’Assise di Aosta Eugenio Gramola motiva l’ergastolo inflitto lo scorso 25 maggio al 36enne originario di Sassari, per l’omicidio volontario aggravato e la rapina della 32enne trovata senza vita in un alloggio di viale dei Partigiani il 18 aprile 2021.

In particolare, la Corte ritiene “totalmente inverosimile” quanto sostenuto dall’imputato nel collegare “la determinazione di commettere l’omicidio con la condotta della Serban”, che lo avrebbe dileggiato per motivi di virilità (Falloni era in contatto con lei da oltre un anno, dopo averla conosciuta tramite siti erotici d’incontri a pagamento). Per i giudici, una escort “ha ovviamente tutto l’interesse a soddisfare i propri clienti, e non certo a sbeffeggiarli qualora si presentino problemi, con il più che verosimile risultato di non rivederli più”.

Peraltro, dalla sentenza emerge pure il convincimento della Corte “che il Falloni abbia inventato la circostanza, immaginando che riferire una condotta provocatoria della parte offesa potesse in qualche modo attenuare la di lui responsabilità per quanto commesso”. Inopinatamente, con una scelta del genere, l’imputato “ha invece ottenuto la contestazione di un’aggravante (i futili motivi)”, ma “non essendo un tecnico del diritto, certamente non immaginava che la propria menzogna potesse essere controproducente”.

Altra circostanza su cui  i giudici (popolari e togati) non danno credito alla tesi dell’imputato è che, dopo il tentativo di bloccarle il collo, perpetrato – secondo Falloni – nell’isteria seguita alle parole di scherno ricevute per il mancato rapporto sessuale, “la donna avrebbe preso in mano un coltello, e l’avrebbe anche colpito ad un braccio”. Una tesi – scrive il Presidente – “sostanzialmente impossibile”, giacché “il medico legale ha infatti più che chiaramente precisato” che “a seguito della manovra di armlock appena eseguita dal Falloni la vittima era sostanzialmente priva di conoscenza”.

“Essa – si legge in sentenza – è stata trascinata in bagno e non è stata in grado di reagire in alcun modo alle coltellate” che il 36enne a giudizio “le ha successivamente inferto”. “Lo stato di semi incoscienza in cui” la vittima si trovava in quel frangente – è scritto in sentenza – “esclude che la Serban potesse avere la forza fisica persino di alzarsi, persino di difendersi dai colpi del Falloni, e quindi a maggior ragione di prendere un coltello ed usarlo contro l’aggressore, per di più colpendolo”. In sostanza, anche su questo aspetto, quanto riferito dall’imputato, agli occhi della Corte, “è stato certamente inventato”, con l’obiettivo di “crearsi una sorta di fumus di simil-legittima difesa”.

Venendo poi al “complessivo racconto del proprio vissuto” reso dall’imputato (che includeva presunte violenze sessuali subite sin dall’adolescenza e difficoltà relazionali anche con i più stretti familiari), la sentenza parla – alla luce anche delle risultanze della perizia psichiatrica condotta sull’imputato –  di “squallida e deplorevole architettura finalizzata ad ottenere la compassione” di chi era chiamato a giudicarlo.

Certamente, la Corte “non ignora che” Falloni “si è trovato in situazioni di disagio ed isolamento personale e sociale”. Queste, però, “sono per grande parte derivate dalla propria condotta aggressiva e violenta e quindi da una scelta di vita che non è addebitabile che a lui stesso”. Disponibili le motivazioni, i legali dell’imputato (gli avvocati Marco Palmieri e Davide Meloni) potranno ora valutare il ricorso in appello. L’accusa era rappresentata dai pm Luca Ceccanti e Manlio D’Ambrosi, che avevano coordinato le indagini svolte dalla Squadra Mobile della Questura di Aosta.

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