Rutor, la famiglia del pilota a processo: “l’incidente una drammatica fatalità”
L’“incidente non è stato causato da una distrazione ma da una drammatica fatalità, non c’è nulla che possa escludere questa possibilità”. Lo sostiene la famiglia di Philippe Michel, il pilota francese a processo ad Aosta per la tragedia del Rutor, in cui lo scorso 25 gennaio persero la vita sette persone. Al 65enne di Mennecy (a sud di Parigi) vengono imputati, per lo scontro tra lo Jodel F-140 su cui si trovava quale istruttore e un elicottero in servizio per l’Eliski (della società “GMH Srl”), il disastro aereo colposo e l’omicidio colposo plurimo aggravati.
In un documento diffuso ai media valdostani dal suo avvocato Jacques Fosson (che lo difende assieme al collega Fulvio Simoni di Milano), i parenti dell’imputato ribadiscono sei argomenti che, dal loro punto di vista, motivano perché l’accaduto sul ghiacciaio vada attribuito al fato e non a responsabilità altrui. In primo luogo, “è stato dimostrato che Philippe Michel non era intento a pilotare l’aereo al momento dell’incidente” e, secondo la difesa, il pilota ai comandi era perfettamente qualificato per pilotare” l’aereo coinvolto, “anche in montagna”.
Venendo poi al piano di volo dell’aeromobile decollato dall’aeroporto di Mègeve, che la Procura contesta non essere stato trasmesso alle autorità italiane del settore, il documento ribadisce che esso “serve a trasmettere un insieme d’informazioni specifiche per il volo programmato, comunicato al servizio di circolazione aereo”. Dal momento che “è una formalità amministrativa, utilizzato per organizzare il salvataggio in caso di incidente” e “non è mai trasmesso agli altri piloti e ne può esser rifiutato”, l’assenza di un piano di volo “non è stata la causa” dello schianto avvenuto sopra il ghiacciaio.
Relativamente agli altri addebiti di imperizia mossi dal pm Carlo Introvigne, la famiglia ricorda che “il signor Michel è accusato di non aver effettuato le comunicazioni radio necessarie, ma, a nostro avviso, non ci sono prove di ciò”. In ogni caso, “è noto che la zona è uno spazio definito ‘Golf’, dove ci sono seri problemi di comunicazione”. Dopodiché, il documento contesta anche la “lettura” dello scenario dell’incidente data del consulente tecnico della Procura, l’ex colonnello dell’aeronautica Alfredo Caruso, che “ha affermato che l’aeromobile era in fase di atterraggio, in ragione di diversi elementi tecnici che, in realtà, non sono coerenti con un atterraggio in montagna”.
Peraltro, “l’esperto trascura il fatto che i comandi sono stati probabilmente modificati dal forte impatto subito dall’aeromobile durante l’incidente”. Non ci sono dunque – si legge ancora – “elementi tecnici per dimostrare che il Jodel fosse in fase di atterraggio, o per confermare con certezza l’altitudine alla quale stava volando”. Anche perché, il “Gps dell’elicottero utilizzato” dal consulente “per calcolare questa altitudine in effetti, è uno strumento di geolocalizzazione destinato ad auto e camion e non agli aerei”.
Infine, scrivono i familiari, “secondo i nostri consulenti tecnici durante il minuto precedente all’impatto, l’aereo e l’elicottero probabilmente si muovevano l’uno nel punto cieco dell’altro e si scontrarono senza mai vedersi”. Una tesi sulla quale, “per quanto riguarda i dieci secondi precedenti” lo scontro, “anche il colonnello Caruso ammette che i due velivoli non avrebbero potuto” scrogersi reciprocamente.
Alla scorsa udienza del processo, l’8 gennaio, il pm Introvigne ha chiesto, nella sua requisitoria, sette anni e due mesi di reclusione per Philippe Michel (sopravvissuto nella tragedia, assieme ad uno degli sciatori che erano a bordo dell’elicottero). Il Gup Davide Paladino ha rinviato al 29 gennaio, per le eventuali repliche del pubblico ministero e le controrepliche delle altre parti: per quel giorno è quindi attesa la sentenza.