Sentenza Rollandin: perché non ci fu associazione a delinquere
Al termine del processo dello scorso 28 marzo, il Gup Paolo De Paola non ha inflitto solo condanne. L’ex presidente della Regione Augusto Rollandin, il già manager Finaosta Gabriele Accornero e l’imprenditore alimentare Gerardo Cuomo, infatti, sono stati assolti “perché il fatto non sussiste” dall’accusa di associazione a delinquere. Attraverso il sostituto Luca Ceccanti, la Procura guidata da Paolo Fortuna la contestava (ed aveva chiesto condanne in aula) a seguito delle evidenze raccolte dai Carabinieri del Reparto Operativo nell’ambito dell’indagine “Effrenata Audacia”. Le motivazioni depositate nelle scorse dal giudice spiegano perché.
Secondo l’accusa, dal 2013 al 2017, i tre si sarebbero associati per commettere una “serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione”. Ognuno avrebbe, nella ricostruzione inquirente, avuto il suo tornaconto. Per i due pubblici ufficiali (il politico e il manager del Forte) “avrebbero accresciuto il proprio potere economico e politico/amministrativo attraverso il compimento di atti contrari ai propri doveri di ufficio nonché l’utilizzo strumentale e servente dei poteri pubblici”, mentre “Cuomo, invece, avrebbe tratto vantaggi di natura essenzialmente economica”.
In particolare, “Rollandin avrebbe promosso e organizzato la struttura delinquenziale, con strumentalizzazione dei poteri tipici della pubblica funzione rivestita, fornendo aiuto e supporto, anche in qualità di presidente della Giunta regionale, al Cuomo (attraverso l’operato di Accornero)”. Inoltre, l’ex consigliere delegato del Forte “avrebbe strumentalizzato le proprie prerogative pubblicistiche per fornire supporto costante al Cuomo al fine di consentire all’imprenditore di ampliare le proprie strutture e la propria sfera di interessi”. Il titolare del Caseificio Valdostano, infine, “avrebbe provveduto a creare una rete di vantaggi per i pubblici ufficiali anche attraverso la propria struttura imprenditoriale”.
Affrontando la questione, il giudice ricorda che la giurisprudenza, affinché possa ritenersi integrato il reato, presuppone la sussistenza di determinate caratteristiche. In primo luogo, “la predisposizione di un’organizzazione strutturale, seppure minima, di uomini e mezzi (almeno tre), idonea ed adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira dal sodalizio”. Successivamente, “un’organizzazione strutturale funzionale alla realizzazione tendenzialmente indeterminata di delitti”. Infine, “un vincolo associativo che deve essere tendenzialmente permanente o comunque stabile destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati”.
Guardando agli atti dell’inchiesta e all’andamento del processo, agli occhi del Gup “non risultano integrati tutti gli elementi richiesti dalla norma”, perché “si può certamente riconoscere l’elemento di un accordo criminoso e del concorso dal momento che la vicenda ‘Deval’ e la vicenda ‘unificazione dei contratti’” sono “di fatto collegate” e si sono protratte “per un arco temporale ampio (dal 2013 al 2017) entro cui il Rollandin, l’Accornero ed il Cuomo, di fatto si sono attivati per il raggiungimento del proprio comune scopo”. Tuttavia, la “determinatezza dell’obiettivo prestabilito”, unita “alla mancanza di una struttura organizzativa, oltre che soprattutto, del vincolo associativo tendenzialmente permanente”, esclude “l’integrazione del reato contestato”.
“Le prove addotte dal pubblico ministero ben dimostrano” il concorso in corruzione per il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, ma “non sono idonee a supportare l’ipotesi accusatoria dell’associazione per delinquere”, giacché nel caso specifico l’accordo tra gli imputati era “diretto soltanto alla commissione di più reati determinati”. Il Gup ha pertanto pronunciato sentenza di assoluzione ed ora, sulla base delle motivazioni, la Procura valuterà l’eventuale appello su questo punto (così come alcuni difensori lo avevano già annunciato, poco dopo il verdetto, per le parti di condanna dei rispettivi assistiti).