Sorbara, per i giudici sì ai domiciliari, ma “persistente pericolosità sociale”
Se non risulta che Marco Sorbara abbia “preso le distanze” da Antonio Raso – considerato dagli inquirenti il vertice, assieme a Marco Fabrizio Di Donato, della “locale” di ‘ndrangheta di Aosta – certamente “la persistenza della sottoposizione a misura cautelare detentiva” rappresenta una “ulteriore e notevole remora a riprendere i rapporti con tale soggetto” e con il sodalizio criminoso al quale gli è contestato il concorso esterno.
È la valutazione con cui i giudici della Sezione del Riesame del Tribunale di Torino hanno concluso per l’adeguatezza degli arresti domiciliari nei confronti del consigliere regionale sospeso, ponendo fine al periodo di carcerazione iniziato lo scorso 23 gennaio, con l’arresto da parte dei Carabinieri del Gruppo Aosta, nel “blitz” che portò alla luce l’operazione “Geenna” della Dda di Torino.
Un regime, al quale Sorbara si trova da sabato pomeriggio nella casa aostana della madre, che gli impedisce di allontanarsi dall’abitazione e di comunicare, con qualsiasi mezzo, con persone diverse da quelle che con lui coabitano. Sulla scelta dei magistrati appare aver pesato, in particolare, l’effetto deterrente della protratta carcerazione preventiva, “che deve essere stato considerevole per la sua durata”, considerati anche l’incensuratezza e l’assenza di trascorsi carcerari dell’indagato.
Quanto ad altri aspetti dell’insieme di addebiti mossi a Sorbara, il Riesame – nel verificare la continuità dei suoi rapporti con gli ambienti dai quali sono scaturite le condotte per cui è accusato – mette nero su bianco di non poter ritenere “venuta meno la condizione di contiguità che fonda la contestazione e le esigenze cautelari”. Non solo, i giudici vanno oltre, con considerazioni che investono anche il “passaggio” dall’amministrazione comunale di Aosta a piazza Deffeyes, sempre nelle liste dell’Union Valdôtaine (che lo ha sospeso dopo l’arresto).
Per il Tribunale di Torino, la tesi difensiva secondo cui la cessazione degli incarichi in Municipio (a seguito dell’elezione, a fine maggio 2018, in Regione) avrebbe fatto cessare il pericolo di reiterazione dei reati non appare fondata, alla luce dell’assenza di elementi utili a dedurre che l’indagato “abbia preso da consigliere regionale eletto le distanze” dal sodalizio di stampo mafioso.
Oltretutto, risultando Sorbara semplicemente sospeso dalla carica in Regione (per effetto della “legge Severino”, scattata a seguito dell’essere stato sottoposto a misura cautelare) e non essendosi dimesso, “non è difficile ipotizzare quale potrebbe essere il futuro contributo esterno all’associazione del medesimo”, visto “quanto avvenuto dopo l’elezione a consigliere comunale”.
Anche perché, per i magistrati, il risalire nel tempo e le caratteristiche del rapporto con “Tonino” Raso non consentono “di rivedere il giudizio sulla persistente pericolosità sociale dell’indagato”. Secondo gli inquirenti, Sorbara, dopo aver ricevuto da lui appoggio elettorale alle consultazioni del 2015 per piazza Chanoux, avrebbe tenuto “costantemente informato” di quanto accadeva in seno alla Giunta comunale il titolare della pizzeria “La Rotonda”, anche intervenendo su sua richiesta per “risolvere” questioni legate all’azione amministrativa dell’ente.
All’udienza in cui la Sezione del Riesame, mercoledì 21 agosto, ha discusso l’istanza dei suoi legali (gli avvocati Raffaele Della Valle, Donatella Rapetti e il fratello Sandro Sorbara) il politico era presente. Era il sesto pronunciamento di vari organi (dal Gip alla Cassazione) su altrettante richieste difensive di affievolimento della misura carceraria susseguitesi nelle settimane successive all’arresto e tutte negative, fino alla scorsa settimana. A casa, Sorbara si prepara ora al cammino che lo condurrà verso il processo, che appare più tortuoso di quello affrontato per riuscire a lasciare la cella ove è rimasto sette mesi e un giorno.