Anche in Valle il critico Massimo Cotto aveva raccontato le sue storie rock
Il giornalismo musicale italiano piange una delle sue figure più competenti e brillanti. Nella notte, all’età di 62 anni, è morto Massimo Cotto, giornalista di radio (la sua “casa con il microfono”, dal 2012, era Virgin, ma in tanti lo ricordano negli anni in Rai “in cui trasmetteva i bootleg di Springsteen di notte”) e di carta stampata (gli inizi a “Il Mucchio Selvaggio”, poi tante testate, di settore e non e le collaborazioni internazionali, come con la rivista americana Billboard!).
Originario di Asti, dov’era stato pure Assessore alla cultura (nominato nel 2012), ha lasciato tracce del suo eclettismo e dell’ironia che tutti gli riconoscevano anche in Valle d’Aosta. Lo ricorda in queste ore, tra gli altri, Palmiro Péaquin, disc-jockey di lungo corso e, per anni, organizzatore di eventi. In particolare, nel 2009, Cotto aveva lavorato con l’agenzia in cui Péaquin era socio con Aurora Carrara a due iniziative nella nostra regione, entrambe ricordate per il successo di pubblico.
Parliamo dell’edizione di quell’anno dell’Aosta Blues & Soul Festival, tenutasi in luglio allo gtadio Puchoz. Tra i gli artisti in cartellone, Nine Below Zero, Sarah Jane Morris e Brian Auger, quest’ultimo un vero pezzo di storia della musica. Cotto aveva fatto da presentatore delle quattro serate, scegliendo lo stile che gli ha permesso di arrivare ai libri, anche ufficiali, con Ligabue, Piero Pelù e Patty Pravo: raccontare delle storie, elemento che nel blues è come un trave portante.
Nel settembre successivo, era stata inaugurata al Forte di Bard l’esposizione “In my secret life – Voci su tela dal mondo della musica e dello spettacolo”. Per l’occasione, ricorda Péaquin, “Massimo aveva messo insieme oltre 75 tele di altrettanti cantanti e artisti italiani e internazionali”. In mostra, anche opere di Elvis Costello, Giorgio Faletti (di cui era molto amico), Jovanotti, Frank Zappa, Miles Devis, Janis Joplin, Laura Pausini, Francesco Renga e Tiziano Ferro.
Nomi importanti, alcuni quasi sorprendenti, ma – sottolinea Péaquin – “questa era la forza di Massimo Cotto: riuscire nell’impensabile con quel sorriso che porto ancora nel cuore”. E parlare con chi aveva davanti, perché non gli interessava il personaggio, ma la sua storia. Così, durante l’esposizione, rimasta aperta fino a novembre, aveva tenuto due incontri dedicati alla critica musicale e all’evoluzione dei generi.
Un’idea di divulgazione musicale che aveva spinto ulteriormente, negli spettacoli teatrali di cui era stato ideatore, come “Decamerock”, in cui si esibiva con la moglie Chiara Buratti. E’ stata lei, che con Massimo ha dato alla luce Francesco, a far sapere al mondo stamane che tutti siamo un po’ più soli, con un delicato post Instagram chiuso da una promessa carica d’amore: “Continua a soffiare nel vento. Nessuno ti dimenticherà mai, nemmeno per un istante. Te lo prometto”.
Nel 2022 e nel 2023, invece, Cotto era tornato in Valle, per dei “dialoghi dal vivo” nell’ambito del festival Riverberi. La sua “missione”, in quei casi, era far arrivare al pubblico come fossero nati i successi degli artisti al suo fianco nella serata. E non erano mai nomi banali. Alla Cittadella, il primo anno, salì sul palco con Cristiano Godano (frontman dei Marlene Kuntz), Omar Pedrini (ex leader dei Timoria) e Mauro Ermanno Giovanardi (ex leader dei La Crus).
L’anno scorso, nella stessa manifestazione, fu protagonista una sera di “un talk/concerto che tocca il cuore” con la cantante Irene Grandi, mentre nell’altra era in scena con Enrico Ruggeri, cantautore che non ha bisogno di presentazioni. Il sindaco Gianni Nuti, che ben conosce (per il viverlo sulla sua pelle) l’ascendente delle sette note, scrive: “perdiamo un uomo capace di scrutare persone e musiche alla ricerca della loro anima profonda con uno spirito leggero, intriso di ironia, disincanto e un pensiero alto dell’umanità, un amore discreto per la poesia che trascende ogni miseria. Io, suo amico fraterno, lo piango sconsolato”.
Guido Harari, il più noto fotografo rock italiano di sempre, ricorda Cotto in queste ore come “un vero funambolo dei media rock”, ma “più di tutto era un amico, sempre entusiasta e propositivo. Ogni sua idea, ogni sua storia erano pervase dalla sua irresistibile ironia: lo avresti ascoltato per ore mentre tirava fuori il meglio di te”. E ti guardava, da dietro gli inconfondibili occhiali con la montatura rossa. Quelli da cui aveva visto anche la Valle d’Aosta, ove più d’uno serberà il ricordo di quella passione che percepivi sin da subito.