I Negrita in concerto accendono la val d’Ayas
“In questi tempi difficili, in una situazione complessa come quella che abbiamo vissuto, che canzone ci vorrebbe? Forse di speranza, eppure anche su quella ci sarebbe da discutere…ma il sogno no, è indiscutibile per la nostra esistenza e per il nostro futuro, e allora vorremmo iniziare così”. Non potevano fare una sorpresa più bella, i Negrita, ai circa 400 fortunati spettatori che sono riusciti ad accaparrarsi i posti per il loro concerto all’Alpe Ciarcerio, in Val d’Ayas, venerdì 31 luglio scorso. L’inconfondibile attacco di chitarra e armonica a bocca di “Ho imparato a sognare”, infatti, ha rotto il silenzio, quasi irreale, di una location magnifica, una “balconata alpina”, a 2000 metri di altitudine, appena sopra Champoluc. Uno spettacolo gratuito, offerto in occasione dei 25 anni della rassegna musicale Aosta Classica, insieme ad altri quattro appuntamenti musicali ad alta quota.
La band si è presentata sul palco poco dopo le 16.30, con l’apertura affidata a Giulia Mutti, voce interessante, già transitata più volte a Sanremo giovani, sfoderando un assetto semi-acustico, grazie al collaudato trio Mac, Drigo e Pau. In particolare, il gigantesco frontman della band è subito sembrato essere in gran spolvero e molto loquace. “Sembra di essere ad Imola, oppure Woodstock: tirate fuori le droghe e nascondetele in una buchetta, che ci sono i Carabinieri qui dietro”, ha scherzato, prima di sollecitare un giro di birre fresche al service del concerto, direttamente sul palco, per vincere il caldo torrido di un pomeriggio di fine luglio.
Pau torna spesso sulla questione Covid e lo fa alternando momenti giocosi – “sono stati tempi duri per tutti, nonostante per Bocelli non sia successo nulla” – con altri più seri – “tutti abbiamo perso qualcuno” – mentre la scaletta fila tra successi più o meno recenti (“Dannato vivere”, “Il gioco”), per poi entrare nel vivo con “Che rumore fa la felicità”. Il pubblico partecipa ma vuoi gli spazi molto ampi (proprio per le misure anti Covid), vuoi per il numero comunque esiguo di persone presenti, si fa sentire inizialmente davvero poco. E così, da buon aretino, il cantante dei Negrita prova a spronarlo: “Madonna che silenzio c’è stasera, direbbe Benigni…Scherzo ragazzi, siete magnifici, qui c’è gente che è venuta in camper dall’Elba e dalla Sardegna!”.
Mac e Drigo, invece, non parlano mai, ma le loro chitarre si fanno sentire. Eccome. La band infila un’insolita “Greta”, seguita dalla classica ballad “Hemingway”, prima di andare sul sicuro. “Ora tocca ad un pezzo scritto per una donna che ha il nome di un albero: quercia! Ah no, betulla! Vabbeh, lo avete capito…“Magnolia”.
Il pubblico inizia a scaldarsi e canta convinto. Il concerto prende quota e arriva anche la dedica, sentitissima, di “Non torneranno più” al compianto produttore discografico Carlo Rossi, scomparso in un incidente qualche anno fa.
Poi, in rapida sequenza, tocca a “L’uomo sogna di volare” e “Voglio stare bene”, prima del viaggio nel tempo che riporta tutti negli anni ’90. “Siamo stati parte, in maniera orgogliosa, di quello che potremmo definire ‘rock nazionale’ – spiega Pau – quello che grazie a tanti anni di tour, gavetta, concerti ed esperienze ci ha portati a vivere di musica, anche se il pezzo con il quale abbiamo iniziato a farci conoscere appartiene forse più ad un genere che nacque proprio in quegli anni, il crossover”. Il lungo preludio serve per lanciare “Cambio”, primo singolo di successo del gruppo, datato 1994 e spesso in rotazione in tv sulla rete musicale di riferimento all’epoca in Italia, Videomusic. A seguire, senza sosta, un altro singolone di fine millennio, “Mama Maé”, colonna sonora di un altro film di Aldo, Giovanni e Giacomo (“Così è la vita”, mentre il pezzo di apertura del concerto, “Ho imparato a sognare”, beneficiò del grande successo di “Tre uomini e una gamba”, due anni prima).
Dopo un’ora abbondante di musica il finale sembra scritto e invece ecco che il trio estrae dal cilindro “Il libro in una mano, una bomba nell’altra”, riarrangiata per l’occasione con un finale da brivido, grazie all’assolo di un Drigo come sempre pulito e libero di riempire l’aria con virtuosismi delicati e mai fini a loro stessi.
La gente sul grande prato freme, scalpita, e qualcuno inizia ad alzarsi, restando comunque ben fermo nel proprio raggio di pertinenza. E sull’attacco di “Rotolando verso Sud”, uno dei più grandi successi de gruppo, anche le ultime riserve vengono sciolte e nessuno resta più seduto. E tantomeno al proprio posto. Il finale è affidato a “Gioia infinita”, come quella stampata sul volto di chi, band e pubblico, è tornato a respirare un po’ di sano rock dopo tanto, troppo tempo.