Stefano Massini esplora e risveglia emozioni

26 Gennaio 2023

Titolare “L’alfabeto delle emozioni di Stefano Massini emoziona Aosta” sarebbe stato banale. Però sarebbe anche stata la – banale? – verità, nonostante ci venga insegnato che “comunicare le emozioni non è bello”. Cosa sono stati, altrimenti, quei silenzi, quelle riflessioni, quelle risate aperte e, soprattutto, quell’interminabile applauso a cui il pubblico del Teatro Splendor si è lasciato andare al termine dello spettacolo dell’autore fiorentino?

Perché “le emozioni sono l’unico linguaggio profondamente umano, sono la lingua dell’umanità, che tutti capiscono”. Ma sono anche “un materiale rischioso”, che Massini, “equilibrista senza rete”, padroneggia e restituisce durante un’intensa ora e mezza. Primo autore italiano a vincere un Tony Award, gli Oscar del teatro (anzi, cinque, per “The Lehman Trilogy”, diretto dal Premio Oscar Sam Mendes), Massini tiene la rubrica “Ufficio Racconti Smarriti” su La Repubblica ed è stato spesso in televisione, principalmente a Piazzapulita e Ricomincio da Rai3.

La spigliatezza televisiva fa quindi il paio con l’impostazione teatrale ed uno spiccato senso cinematografico: quando narra le sue storie di “Alfabeto delle emozioni”, sembra di rivivere la scena di un film. Le storie e gli aneddoti di personaggi – famosi e non – sono lo strumento per parlare delle emozioni umane, con un “sotterfugio” che rende ogni spettacolo unico.

Sul palco della Saison Culturelle, infatti, Massini estrae a caso da due scatole di legno delle lettere dell’alfabeto, ad ognuna delle quali è associata un’emozione. Più o meno… Come i colori, esistono delle emozioni primarie, che mischiandosi creano tutte le altre: felicità, tristezza, paura, rabbia, sorpresa, disgusto.

Stefano Massini introduce lo spettacolo con un racconto divertente che fa capire come la comunicazione sia un’illusione, per poi entrare nel vivo con la lettera M. Attraverso la storia della prima giornalista d’inchiesta Nellie Bly e del suo reportage dal manicomio di Blackwell scopriamo la malinconia, la meraviglia, la minaccia, ma anche la moderazione, la museruola, i matti: “Perché per essere un bravo bambino devo provare le emozioni con moderazione?”, (si) chiede Massini.

La F ci fa riflettere sulla felicità attraverso le storie di tre grandissimi scrittori. Da bene inaccessibile, a sentimento “per dopo” del Cristianesimo, fino a diritto e poi dovere della modernità, la felicità è l’unica emozione che l’uomo pretende sia duratura. Uno stato, più che un’emozione (intermittente). Ma la realtà è che “è un contrattempo”, come dice David Foster Wallace in “Una cosa divertente che non farò mai più”, quindi “quando sei felice, facci caso”, chiude Massini citando Kurt Vonnegut.

“Cosa c’è di veramente tuo nel tuo nome?”. La N non è solo la nostalgia di Goethe, ma anche la capacità di superare le convinzioni che abbiamo di noi stessi – e del nostro nome – attraverso la storia di una sopravvissuta al terremoto di Città del Messico. La conseguenza è semplice: “N come noncicapisconiente”.

Come la felicità, anche la paura è un’emozione primaria. Da non confondere, da “analfabeti emotivi”, con l’ansia né con le fobie: la paura è inaccettabile, ci mostra deboli, nudi (e umani) e la storia di Niki Lauda ce lo insegna. Nell’Alfabeto delle emozioni, così come nella vita, capitano delle lettere che creano una sorta di cortocircuito, che ci sono ma non sappiamo bene cosa farcene: la H è una di queste. Massini non le associa a nessuna parola, ma a un racconto divertente (a tema W.C.: water closet o wedding church?) che mostra il cortocircuito della razionalità e del cervello.

S come Satchmo, S come sorpresa: la storia di Louis Armstrong ci insegna che “la più bella scoperta è quella che fai su te stesso”. Dopo la difficile H, il destino sembra accanirsi su Massini, che non può far altro che accettare anche la Q, l’altra lettera che nell’alfabeto sentiamo solo se accompagnata da un’altra: la Q è “quel qualcosa”, perché la verità è che “le emozioni sono anonime”.

Sette lettere, un’ora e mezza, un terzo dell’alfabeto e neanche un millesimo delle storie e delle emozioni umane. Ma tanto basta a risvegliare sensazioni, domande, riflessioni sull’altro e su noi stessi. Siamo pronti a provare emozioni, accettarle, manifestarle? Sappiamo ascoltare ed accettare quelle degli altri? Siamo disposti a perderci? Una paziente di Anna Freud ci mette in guardia, o forse ci indica la strada: “A forza di perdere in giro i miei cappelli, le mie cose, altri pezzi di me, la verità è che non so più chi sono”. Chissà se allo Splendor sono stati abbandonati dei cappelli…

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