Tahar Ben Jelloun è ad Aosta: “Oggi il razzismo cola dalla pelle dell’uomo”
“È sempre interessante incontrare i giovani. È a loro che bisogna parlare di razzismo, non ai vecchi”. Ospite del Festival Riverberi – Storie di comunità, pronto in pochi minuti a salire sul palco del Teatro Splendor per l’incontro “Il razzismo è in buona salute?”, lo scrittore, saggista, poeta e giornalista Tahar Ben Jelloun è ad Aosta.
Marocchino, classe 1944, le parole di Ben Jelloun sono state tradotte in tutto il mondo, voce di una vita a parlare di razzismo, a studiarlo nelle sue forme – cangianti e subdole – e nelle sue manifestazioni.
Proprio da qui parte lo scrittore: “Il razzismo prende forme diverse secondo le epoche – ha spiegato -. Attualmente, nei confronti dei musulmani è molto forte in Europa e negli Stati Uniti. E non contro i terroristi islamici ma contro l’Islam. Un sentimento che si è sviluppato dopo l’11 settembre 2001, dopo l’attentato alle Torri gemelle. Da quel momento l’Islam è diventato nemico dell’Occidente. Invece si parla di individui che hanno commesso degli orrori che sono stati attribuiti alla religione. Ma nessuna religione dice di uccidere persone innocenti. Non è la religione ad essere responsabile, sono gli uomini ad essere dei criminali”.
“Bisogna fare delle differenze tra un atto terroristico, sempre abietto, e l’Islam. Uccidere a sangue freddo dei bambini davanti ad una scuola – il riferimento è alla strage alla scuola ebraica di Tolosa del 2012 – è stato un orrore. È la stupidità totale dell’odio”.
Ma il razzismo, si diceva, ha più forme: “Un altro tipo di razzismo è l’antisemitismo – dice ancora Ben Jelloun -. In Francia, dove c’è una comunità ebrea molto importante, negli ultimi dieci anni ci sono stati molti attentati antisemiti e molte aggressioni, scritte sulle mure delle sinagoghe come quelli contro le moschee. E questo è pericoloso, perché apre le porte a nuovi odi. E l’Europa non ha bisogno di questo. In alcune parti de’Europa si fa campagna elettorale su queste cose. Oggi assistiamo ad un ritorno del Fascismo, anche se non è il termine giusto. Lo vediamo in Italia, in Ungheria, in Svezia. E questa è la fine dell’Europa”.
Le speranze arrivano proprio dai giovani. Ben Jelloun lo sa. Anzi, ventiquattro anni fa, nel lontano 1998, ha messo la questione sotto forma di dialogo nel suo celebre romanzo Il razzismo spiegato a mia figlia. Un inno al rispetto e alla tolleranza.
“I giovani sono legati alle reti sociali, e questo può essere molto pericoloso – ha spiegato -. Ma lì si possono trovare anche cose belle, valori di umanità, di rispetto. Ma è difficile. Oggi il razzismo cola dalla pelle dell’uomo, ma dipende dall’educazione che i giovani ricevono. Dipende dalla scuola, dai valori ripresi dai genitori. Il che permette di evitare che un individuo cresca nella volontà di non rispettare gli altri. Solo così si potrà avanzare un po’”.
Questa mattina, Ben Jelloun ha incontrato i ragazzi delle scuole valdostane. Ma come si parla, ai giovani, di un tema come quello del razzismo? Lo scrittore non esita, nonostante lo sguardo si perda per un attimo oltre le finestre dello Splendor: “Bisogna parlar loro semplicemente. Parlare loro di cose gravi ma farlo con semplicità, in modo che comprendano. Loro sono intelligenti, in questo modo loro sanno e ascoltano”.