Il colpo del Covid-19 sulla sanità: “Uno tsunami”
C’è, per intero, quasi un anno di Covid-19 nella conferenza stampa di fine anno dell’Azienda Usl. Un appuntamento nato per tirare le fila che, inevitabile, si concentra sulla gestione di un’emergenza ancora lungi dall’essere finta e che si è abbattuta con violenza sul nostro Sistema sanitario, regionale e non solo.
Il preambolo del Commissario dell’Azienda Angelo Pescarmona parla chiaro: “È stato un anno particolarmente difficile – ha spiegato –, in cui abbiamo dovuto affrontare qualcosa che non ci aspettavamo, uno ‘tsunami’ che ha investito non solo noi ma l’intera nazione a livello sanitario, economico, nelle relazioni interpersonali cambiate profondamente e che speriamo possano tornare ad essere come prima entro la fine dell’anno prossimo”.
L’impatto del Covid sulle attività sanitarie
I ricoveri
I flussi dei ricoveri seguono l’onda della pandemia. L’idea della pressione sulle strutture sanitarie la rende Pescarmona stesso: “L’emergenza ha determinato una situazione di massima flessibilità da parte, in primo luogo, della struttura ospedaliera. Siamo passati in meno di un mese, dal 5 marzo al 2 aprile, da una presenza di ricoverati Covid quasi pari a zero a 169, di cui 15 in Rianimazione. Ad aprile avevamo il 46% dei posti letto dedicati al Covid”.
Dopo il calo estivo, che ha permesso la ripresa delle attività ordinarie, la risalita: “Attualmente non siamo in una fase di discesa ma di stasi – aggiunge il Commissario –, nella quale la curva fatica a diminuire ulteriormente”.
A ieri, 29 novembre, la situazione parla di 175 posti letto Covid disponibili – tra Rianimazione, reparti Covid del “Parini” e dell’Isav, ospedale da campo – e 329 posti letto “no Covid” (tra intensivi, acuti, riabilitazione/lungodegenza e Day hospital).
Il Dipartimento di emergenza
Primo fronte contro il virus, il Dipartimento di emergenza è stato inevitabilmente uno dei più coinvolti.
Luca Montagnani, direttore del Dera – oltre che coordinatore dell’emergenza – parte dai ringraziamenti ad una équipe che ha fatto quadrato: “Il Dipartimento ha svolto il suo ruolo penso egregiamente. La Struttura semplice di Emergenza territoriale ed il Cus, con il responsabile Luca Cavoretto, ha fatto un notevole lavoro in entrambe le fasi: garantendo le emergenze ordinarie e quella Covid. È stata istituita una sala Covid attiva 24 ore su 24, l’attività di trasporto in sinergia con il volontariato per pazienti positivi, il gran lavoro di effettuazione tamponi e di trasporto in altre regioni quando non eravamo autonomi sui tamponi”.
Il Pronto soccorso e la Rianimazione
“L’emergenza – prosegue Montagnani – ha avuto un grosso impatto sui Pronto soccorso. La riduzione nelle due fasi per gli accessi ordinari è stata di circa il 60/70%. Sono praticamente spariti i codici bianchi, mentre a luglio e ad agosto, con l’attività tornata alla normalità, gli accessi totali sono paragonabili all’era pre-Covid”.
“In una prima fase, a marzo – spiega ancora il Direttore del Dera –, si imponeva di aprire il 50% letti in più. Noi ci siamo portati avanti con 10 posti in più di Terapia intensiva da dedicare al Covid, uno sforzo immane. Siamo poi stati costretti ad aumentare i posti Covid a 35, arrivando ad un picco di 29 ricoverati in Rianimazione contemporanea. Nella seconda fase dell’emergenza la Terapia intensiva ha fatto un ulteriore sforzo arrivando a 32 posti letto, ma con due sale operatorie rimaste aperte per garantire interventi”.
La riduzione dell’attività ordinaria
L’onda d’urto dell’emergenza ha di fatto fermato l’attività ordinaria dell’ospedale: “Da giugno a settembre – sempre Montagnani – è stata recuperata parte degli interventi programmati ma non tutti. Ci sono strutture che hanno ridotto anche più del 50% la loro attività annuale. Questo uno dei motivi più importanti per cui contenere al massimo l’epidemia. Sentiamo tutti il bisogno di una ripresa sociale ed economica, ma anche di un’attività sanitaria normale per garantire la salute a tutti i valdostani”.
Nel dettaglio scende maggiormente Chiara Galotto, direttrice del presidio ospedaliero: “I ricoveri ordinari sono crollati nel periodo Covid, le prestazioni che si potevano rinviare sono state rinviate. Gli interventi chirurgici, in tutti i regimi di cura, hanno lo stesso andamento. Abbiamo compresso le attività programmate e quelle non urgenti, le sale operatorie hanno lavorato a ritmo ridotto”.
Poi un dato chiave: “Complessivamente 55 pazienti sono transitati nel reparto di Rianimazione – aggiunge Galotto –. Le giornate di degenza complessive sono state 7.400, comprese quelle all’Isav, di cui 740 in Rianimazione. È un numero molto importante, con nessuna altra patologia acuta il 10% finisce in Terapia intensiva, per fortuna”.
Screening, vaccinazioni e contact tracing
“Abbiamo dovuto chiudere da un giorno all’altro le vaccinazioni per l’infanzia e gli screening, per noi un problema grosso da affrontare, mettendoci subito sul contact tracing che è stato un esperimento – spiega invece il Direttore sanitario Maurizio Castelli –. Siamo partiti in pochissimi ed ora 40 persone lavorano per tracciare le persone malate e i contatti stretti, per monitorarle e limitare gli accessi in ospedale, che sono stati massivi e impegnativi dal punto di vista clinico”.
Contact tracing che va poi in crisi: “Con la seconda ondata siamo scesi al 20% – prosegue il Direttore –. Inizialmente abbiamo messo in sicurezza l’ospedale, poi abbiamo ricostituito dei gruppi di lavoro che hanno dovuto gestire un numero di contatti enorme rispetto alla prima fase”.
Anche per gli ambulatori la curva è ondivaga, piegata dalle esigenze dell’emergenza: “La Specialistica ambulatoriale – aggiunge Pescarmona – è stata molto legata alle chiusure della prima fase. Con le riaperture delle attività ambulatoriali abbiamo recuperato i volumi dei mesi di lockdown, per alcune specialità c’è stato anche un abbattimento delle liste d’attesa accumulate nel frattempo”.
Sul territorio, a funzionare sono state le Usca: “La norma ne prevede ogni 50mila abitanti – spiega il Commissario –, noi ne abbiamo ora una ogni 25mila, il doppio rispetto allo standard nazionale. In Italia, in alcune regioni, ce ne sono ancora una ogni 100mila, lo standard di legge mediamente non è rispettato”.
Il caso dei “falsi positivi”
Assente dalla conferenza stampa, le domande dei giornalisti hanno chiesto chiarezza sul caso dei “falsi positivi” dovuto ad un guasto del sistema di analisi.
In una nota l’Azienda spiega: “L’evento in questione (la rilevazione di falsi positivi COVID) è stato gestito in applicazione dei protocolli specifici definiti ‘incident reporting’. La Direzione ha avviato un’istruttoria interna per definire le cause dell’incidente e per individuare eventuali profili di responsabilità. Con l’occasione si rinnovano le scuse nei confronti delle persone interessate e si assicura la piena disponibilità della Direzione strategica, come si sta già facendo, a garantire la massima assistenza e supporto alle persone ed alle famiglie interessate dall’evento”.
La conferenza stampa, però, si è fatta nervosa. Il Direttore amministrativo Usl Marco Ottonello ha spiegato: “Se c’è stato un problema tecnico ci rivarremo sul fornitore, abbiamo preso in carico le famiglie ed i pazienti, per cercare le soluzioni mettendoci la faccia. Ci sarà un’istruttoria interna, stiamo cercando di dare risposte. Valuteremo se ci sono responsabilità, e nel caso di chi, e prenderemo provvedimenti. Ci possono essere macchinari che si rompono o un blackout, e ci stiamo mettendo la faccia prendendo in carico il problema”.
Il Commissario Pescarmona ha difeso l’operato dell’Usl: “Sui ‘falsi positivi’ ci siamo comportati bene. L’obiettivo non è sbandierare quanto avvenuto sui giornali ma mettere in sicurezza subito i falsi positivi, e l’abbiamo fatto. Non è ‘mala sanità’ non mettere in evidenza gli errori, che vengono però ingigantiti perché qui piace fare giornalismo scandalistico”.