Non esistono lavori da uomini
Essere donna nel mondo del lavoro non è facile. Oltre ai problemi che caratterizzano il lavoro in Italia, per le donne e le minoranze in generale le cose si fanno ancora più complicate, con il rischio di scontrarsi con pregiudizi e discriminazioni di genere. Ma ci sono dei contesti in cui per le donne è ancora più difficile inserirsi. Questi si possono descrivere come lavori “da uomini” oppure professioni ancora a prevalenza maschile, parliamo di lavori pesanti come il muratore o il cantoniere, ma anche campi più “intellettuali” come le scienze e la ricerca.
Le imprese femminili in Valle d’Aosta
Per descrivere la situazione delle Imprese femminili in Valle d’Aosta, facciamo riferimento ai dati della Camera valdostana delle imprese e delle professioni.
Più nel dettaglio, riportiamo i dati sulle professioni a prevalenza maschile nel 2023: 7 su un totale di 177 le Imprese femminili attive che operano nell’ambito della lavorazione del legno, 4 su 99 quelle che si occupano della fabbricazione di prodotti in metallo e ben 32 su un totale di 1.526 nell’ambito dei lavori di costruzione specializzati.
Per imprese femminili si intendono le imprese partecipate in prevalenza da donne; si considerano pertanto femminili le imprese la cui partecipazione di genere risulta complessivamente superiore al 50% mediando le composizioni di quote di partecipazione e cariche attribuite.
Ma esistono davvero i lavori “da uomo”?
Nel 2024 le professioniste in questi settori non sono più così rare, ma continuano ad essere una minoranza a causa di pregiudizi culturali, abitudini e stereotipi. Al di là delle generalizzazioni, ogni donna ha un’esperienza diversa a seconda della situazione, della singola professione, della personalità, delle inclinazioni e di tutte quelle variabili personali e “di contesto” difficili da descrivere attraverso dati statistici e quantitativi.
Per inquadrare la situazione abbiamo parlato con alcune professioniste che, in ambiti molto diversi tra di loro, hanno scelto lavori a prevalenza maschile. Da Barbara Verzeletti, cantoniera da oltre vent’anni prima in autostrada e recentemente presso il comune di Sarre, Nicole Chatrian, fabbra e responsabile Alluminio presso le Carpenterie Chatrian, Barbara Benvenuto, autista di pullman di linea presso SVAP da 28 anni. Marta Galvagno, ricercatrice presso ARPA Valle d’Aosta nell’ambito della sostenibilità ambientale e cambiamenti climatici, fino a Elena Tortone, tecnologa alimentare specializzata in sicurezza alimentare e controllo qualità di superalcolici.
I pregiudizi
I pregiudizi culturali che rendono ancora più complesse queste scelte professionali sono tanti e diversi, ma hanno tutti la stessa radice: l’idea che le donne siano più adatte a lavori in ambito sociale o culturale, educativo e di accudimento a prescindere dalle passioni e inclinazioni personali. C’è chi ha vissuto discriminazioni dirette e ha scelto di andare avanti con il sorriso, chi ha sempre ignorato questi limiti e chi ha preso consapevolezza del giudizio negativo degli altri solo dopo una riflessione a posteriori, ma tutte – in un modo o nell’altro – hanno vissuto questi giudizi.
Come racconta Barbara Verzeletti, “Quando ho preso la mia prima patente speciale per guidare i camion e ho cominciato a lavorare come cantoniera sull’autostrada ero l’unica donna, soprattutto allora nel 2000 non ce n’erano tante che volevano guidare i camion, non so perché magari pensavano che fosse un lavoro troppo ‘mascolino’. Adesso ce ne sono già di più, ma io non mi sono mai fatta problemi, a me piace guidare i camion e fare questi lavori”.
Quando il lavoro prevede un contatto diretto con il pubblico, non sono solo i colleghi o l’ambiente a creare ostacoli professionali. “Io ho cominciato il 16 gennaio del 1996 e all’inizio è stato davvero faticoso, il primo anno volevo lasciare. Visto che ero donna la gente si permetteva davvero di dirmi la qualunque. Quando ho iniziato non pensavo che l’ambiente fosse cosi sessista: ero giovane e non mi sono posta il problema e poi avevo la fortuna di avere l’appoggio della mia famiglia. La cosa che mi fa piacere è che le mie colleghe di adesso non abbiano vissuto situazioni altrettanto pesanti”, racconta Barbara Benvenuto.
Per Marta Galvagno, invece, i pregiudizi legati al genere non sono mai stati così diretti. “Questa disparità di genere mi è sempre stata fatta notare da fuori mentre a me non pesava. Riflettendoci, però, ora sono giunta alla conclusione che mi sono sempre sentita comunque di dover dimostrare di essere all’altezza. Io sono consapevole di essere fortunata, ma so anche che il problema della discriminazione di genere esiste. La percezione di questa disparità veniva dal giudizio esterno, spesso mi sentivo chiedere ‘ma anche tu quindi fai il lavoro sul campo, vai con i tuoi colleghi a fare queste cose?’ e quindi dovevo dimostrare che si, potevo fare questo lavoro come tutti gli altri miei colleghi”.
I pregiudizi e le discriminazioni non sono però circoscritti agli ambiti professionali, ma anche a quelli formativi come sottolinea Elena Tortone. “Non ho mai vissuto discriminazioni legate al genere, ma per la giovane età sì. In azienda il mio titolare non mi discrimina di sicuro, mi ha scelta lui per le mie competenze e capacità, non ha neanche considerato la mia età. Mi è capitato, in ambiti lavorativi precedenti, di subire dei pregiudizi. Molto spesso mi rendevo conto che il mio interlocutore mi metteva alla prova come se dovesse prima valutare se fossi credibile e poi decidere se ascoltarmi o meno. Io l’ho sempre vissuta come una sfida”.
Donne che giudicano le donne
Il pregiudizio di genere è pervasivo e, spesso, le persone che più si accaniscono con le donne che scelgono professioni “fuori dai canoni” sono proprio altre donne. In questi casi l’educazione e la cultura della singola persona fanno la differenza, ma spesso il giudizio aspro e impietoso nasconde una dinamica subdola: l’idea che “se non lo posso fare io non lo puoi fare neanche tu”.
Questo si rispecchia spesso in un clima di competitività tra professioniste dello stesso settore come racconta Marta Galvagno. “Purtroppo noto che tra le donne si possono creare addirittura relazioni di competizione per via dei pochi posti di rilievo dedicati alle scienziate, ma secondo me è importantissimo proprio per questo spingere dalla parte opposta e coltivare attivamente rapporti e relazioni tra colleghe del settore. Dobbiamo imparare a costruire una rete di relazioni e di scambi”.
Ma anche in attacchi più diretti come è capitato, negli anni, a Barbara Benvenuto “Adesso le cose sono migliorate, ma i commenti peggiori arrivavano, purtroppo, dalle donne. Ad esempio, durante i miei primi anni quando facevo la linea Aosta-Cogne, c’erano delle persone che quando mi vedevano alla guida non volevano più salire sull’autobus. Una volta due signore, durante la corsa, stavano parlando in patois del fatto che le donne dovrebbero stare a casa chiedendosi che cosa ci facessi io dietro al volante. Visto che però il dialetto lo conosco anche io, ho capito tutto e quando sono scese ho rivolto loro la parola in patois. Abbiamo parlato e superato la cosa ed ora le due signore mi salutano sempre e mi stimano”.
Ognuno affronta in modo diverso i giudizi e le discriminazioni, come ricorda Barbara Verzeletti, “Paradossalmente ho avuto più incomprensioni con le colleghe donne che con i colleghi uomini, ma dipende dagli ambienti professionali più che dalle singole persone. Ho avuto sia capi donne che uomini e io non trovo differenze, ma il rispetto ci deve essere a prescindere”.
Il valore aggiunto
Non solo le professioniste in questione hanno scelto il proprio mestiere per passione, ma hanno dedicato tempo ed energie alla loro crescita personale e professionale. Complice anche quella spinta a “dover dimostrare” qualcosa di più rispetto agli uomini, le intervistate individuano alcune differenze di disposizione e atteggiamento rispetto ai colleghi.
Barbara Benvenuto racconta come la sua sensibilità personale e la sua capacità di costruire un rapporto con gli utenti sia una parte fondamentale del suo lavoro quotidiano. “Noi donne in questo lavoro abbiamo una sensibilità che agli uomini manca; come ad esempio avvicinarsi al marciapiede alle fermate o aspettare che gli anziani si siedano prima di ripartire… Poi adesso che ho una linea fissa con alcune persone che vedo tutti i giorni abbiamo creato un rapporto, addirittura mi portano il caffè alcune volte la mattina”.
Nella situazione di Elena Tortone, in cui non c’è il contatto diretto con il pubblico, il valore aggiunto delle dipendenti sta nel modo in cui gestiscono il lavoro. “Secondo la mia esperienza nel mio lavoro è meglio una donna che un uomo. Perché la donna, secondo me, ha più facilità a scendere a compromessi e nel gestire il problem solving. Nella mia posizione se non sai gestire i problemi inaspettati non riesci ad arrivare al risultato in fretta e bene e secondo me questo è anche il ragionamento che può essere stato fatto nella mia azienda in cui siamo a prevalenza femminile”.
Perché complicarsi la vita?
Insomma, essere donna in questi contesti professionali presenta non poche difficoltà: dai pregiudizi dei colleghi a quelli degli utenti, la pressione di dover costantemente dimostrare il proprio valore e la propria credibilità anche dopo anni, per non parlare del giudizio delle altre donne che spesso tendono ad escludere o a giudicare ancora più duramente chi compie la scelta di fare un “lavoro da uomini”.
Ma quindi, perché complicarsi la vita così? La risposta è semplice e univoca: “per me la biologia è stato un colpo di fulmine. Io volevo studiare, capire come funzionano le cose, come funziona il mondo e la natura, volevo seguire la mia passione e la mia curiosità. Oggi la cosa che mi piace di più nel mio lavoro è stare nella natura per fare ricerca e raccogliere dati. E poi continuare ad imparare sempre, ho un contatto diretto con la mia curiosità di capire come funziona il mondo”. Per Marta Galvagno questo lavoro non è stato “una” scelta, ma l’unica possibile.
Per la cantoniera Barbara, invece, la passione si è sviluppata nel tempo, una patente alla volta. “Io sono estetista parrucchiera, mi sono specializzata in quello inizialmente perché tutti nella mia famiglia sono parrucchieri. Mi piaceva, ma anche fare la cantoniera e guidare i camion, e ora il pulmino: a me piace molto la tecnica in tutte le cose. Mi piace cercare di capire come funzionano le cose e farle bene”.
Barbara Benvenuto sorride mentre racconta delle discriminazioni subite e dei commenti che mettono in discussione la sua professionalità a cui deve ancora prestare orecchio quotidianamente. Ma quando parla del suo lavoro i suoi occhi si illuminano e nella sua voce non c’è un secondo di esitazione. “Ho sempre voluto fare l’autista, anche mio papà faceva questo mestiere da sempre e io e mia sorella andavamo spesso in sede da bambine e giocavamo a fare autista e bigliettaia. Io amo follemente il mio lavoro. Secondo me la fortuna più grande è fare il lavoro che ci piace. Lo sceglierei ogni giorno della mia vita nonostante tutte le difficoltà”.