Il trenino di Cogne, un binario morto da 30 milioni

21 Novembre 2024

“Politicamente, è qualcosa che arriva da Marte”. Così il presidente della Regione Renzo Testolin, durante i lavori del Consiglio Valle del 23 luglio 2024, ha bollato la richiesta – arrivata via interpellanza dai banchi di Pcp, da Erika Guichardaz – di mettere in campo “azioni per rendere utilizzabile la tratta ferroviaria Pila-Cogne per le situazioni di emergenza”. Il tutto, con il coinvolgimento del Reggimento Genio ferrovieri.

Ma perché il “trenino di Cogne” – che in realtà avrebbe (avuto) un nome più magniloquente, ovvero “Tranvia intercomunale Cogne-Acque Fredde-Plan Praz” – è tornato in auge 45 anni dopo la chiusura delle miniere, tredici anni dopo la decisione di abbandonare la conversione della tratta ad uso turistico e dodici anni dopo l’inizio dello smantellamento della linea e del materiale rotabile?

La risposta è duplice. Una, come spesso accade – l’Italia, del resto, è il Paese delle emergenze –, è data dalqui e ora”. Ovvero dall’alluvione che ha colpito Cogne il 29 e 30 giugno 2024, facendo crollare parte della strada regionale 47 – unico collegamento del paese – e, di fatto, isolandola.

Perché non è la prima volta che succede. E, in quei casi, la cosiddetta “ferrovia del Drinc” era stata decisiva nelle evacuazioni, così come nella consegna di approvvigionamenti alla popolazione. Erika Guichardaz, in aula, spiegava infatti che “parlando dell’emergenza di Cogne non si può non fare riferimento ad un’importante opera di ingegneria, un mezzo che nel tempo, dall’inaugurazione degli anni ‘20 e fino al 2000, è stato usato anche e proprio nelle fasi emergenziali. È stato lo storico sindaco di Cogne Ruffier a ricordare l’importanza di quella infrastruttura per la sua comunità e credo che in questi giorni molti abbiano ricordato quanto avvenuto in passato”.

La seconda, è che proprio le consigliere Pcp Guichardaz e Chiara Minelli hanno scoperto che sì, il “trenino” (s)venduto a prezzo di saldo sul finir del marzo 2022 alla società Valente spa non è mai arrivato nell’est Europa (allora si parlava di Kazakistan e di Uzbekistan), ma giace ancora in Lombardia, materiale rotabile compreso.

Per questo, Pcp chiedeva “un sopralluogo urgente del Genio ferrovieri alla galleria del Drinc per valutarne le opportunità”, ma anche di “verificare la possibilità di affittare, per un periodo, le carrozze o altro materiale rotabile che sappiamo essere stato ceduto ad una società lombarda ma ancora nella sua disponibilità”.

In replica, Testolin non ha lasciato spazi di manovra: “Il trenino e la sua infrastruttura rimangono un patrimonio del territorio. Non pensiamo possa però dare una risposta concreta alla comunità di Cogne, anche per lo stato in cui si trova in questo momento. L’anno scorso abbiamo fatto alcuni sopralluoghi che hanno dimostrato l’impraticabilità della galleria anche per il passaggio pedonale, a causa delle infiltrazioni riscontrate nel tempo”.

O, per dirla in maniera meno diplomatica, “pensare di dirottare forze, sia in termini di tempo, personale e attività amministrativa per dare risposte puntuali alla cittadinanza di Cogne, pensando di trovare soluzioni a breve coinvolgendo il Genio ferrovieri, ed una locazione improbabile di materiale rotabile diventa veramente surreale”. Punto.

“Fare i conti con la realtà”, l’intervista all’ex sindaco di Gressan ed ex consigliere regionale Aldo Cottino

video di Viola Feder

Una storia di oltre cent’anni fa

di Luca Ventrice

Acque Fredde, a Gressan, punto da cui partiva la teleferica per lo stabilimento Cogne – Foto Nicole Jocollé

La storia di quello che chiamiamo, per comodità, “treninodi Cogne comincia dell’agosto del 1916, quando prendono il via i lavori del tratto ferroviario Cogne–Acque Fredde–Charémoz, parte centrale di un “sistema di trasporto combinato” in mezzo alle le due teleferiche Colonna–Moline e da Charémoz allo stabilimento di Aosta. Lavori segnati già alla nascita dal problema delle infiltrazioni d’acqua.

Sta di fatto che il 18 ottobre 1922 la linea inaugura ufficialmente, mentre il 13 febbraio 1923 la prima corsa sperimentale viaggia sui binari. Neanche il tempo di arrivare al capolinea, che già è chiara a tutti la tendenza al ristagno dei fiumi nella galleria del Drinc, che obbliga a limitare il trasporto di magnetite verso Aosta. Si parla di un massimo di due o di tre vagoni a pieno carico, non sufficienti a rifornire lo stabilimento del capoluogo.

In estate si completano le infrastrutture, ma c’è bisogno di potenziare il trasporto con un servizio su gomma con una quindicina di camion a sfilare lungo la strada tra Cogne ed Aymavilles, allora una semplice carrozzabile. I viaggi al giorno sono due o tre, e circa 300/400 le tonnellate quotidiane di materiale ferroso trasportate in fabbrica.

Nel 1924 l’infrastruttura viene classificata come “Ferrovia privata di 2ª categoria per il trasporto del minerale di ferro”, ma la per la tratta Cogne-Acque Fredde-Charémoz un intervento diventa improcrastinabile: l’allargamento della sezione della galleria del Drinc.

Negli anni seguenti una serie avvenimenti chiave cambiano le carte in tavola: il 25 novembre 1925 i fumi della locomotiva a vapore provocano la morte per asfissia di due persone nella lunga galleria sotto il Drinc. Per evitare altri incidenti del genere vengono ordinati due locomotori ad accumulatori che entrano in funzione nel 1926, anno in cui si decide di elettrificare la linea.

Nel ‘27, il regime fascista nazionalizza tutte le miniere, compresa Cogne, mentre nel 1928 terminano i lavori di elettrificazione della linea.

Una ferrovia mineraria con i passeggeri?

Bisogna aspettare il 1939 per vedere la ferrovia fornita di due carrozze per passeggeri per l’impiego civile, da utilizzare all’occorrenza, da 36 posti ciascuna. Fatto non da poco, dato che da lì a qualche anno i passeggeri saranno diversi, e per ragioni ben note.

Il 7 luglio 1944 vede infatti la luce la cosiddetta “Repubblica di Cogne”. Attraverso un accordo, l’ingegnere Franz Elter – allora direttore centrale della Società Anonima Nazionale Cogne – si impegna sì a proseguire l’attività mineraria garantendo il rifornimento allo stabilimento aostano, con l’impegno però dei tedeschi a non attaccare i partigiani di Cogne.

L’accordo si rompe in fretta, nel giro di quattro mesi scarsi. Ma tra il 6 ed il 7 luglio del ’44, e fino a settembre, numerosi partigiani raggiungono il paese ai piedi del Gran Paradiso tramite la ferrovia, utilizzata anche per trasportare persone in fuga o in transito. Tra questi, diversi nomi noti come il partigiano e futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini, l’editore Giulio Einaudi, Ugo Pecchioli (che sarà a lungo senatore in quota Pci) e altri ancora.

Una galleria per le emergenze

Nel novembre ‘44 i nazifascisti si stufano della situazione, decidono di occupare Cogne e le miniere. I partigiani, per evacuare il paese, fanno brillare il ponte di Chevril e Cogne rimane isolata. A questo punto, il collegamento con Aosta, il rifornimento ed il trasporto delle persone verranno effettuate attraverso la linea del Drinc fino a fine del la Seconda guerra mondiale e poco oltre

Il 1° luglio del 1947 un ordine di servizio della Cogne limita il trasporto passeggeri dopo l’interruzione della strada, anche se il servizio non è mai ufficialmente esistito. In tutto, saranno solo 25 i permessi concessi per il tratto tra Acque Fredde e Cogne, validi peraltro solamente la domenica e per il personale dipendente.

Gli altri utilizzi “civili” della tratta sono legati a questioni meteorologiche. Nel febbraio del 1951 la linea Cogne-Acque Fredde viene usata nuovamente a causa delle forti nevicate che bloccano la strada. Nel 1969 una nevicata pasquale inaspettata provoca il distacco di una valanga nella frazione di Vieyes, ad Aymavilles. Per sgomberare un centinaio di turisti a Cogne – ovvero chi proprio non poteva in alcun modo prolungare il suo soggiorno ai piedi del Gran Paradiso – viene utilizzata ancora una volta la tratta Cogne-Acque Fredde.

Fatti simili a quelli avvenuti nell’inverno del 1972, quando la linea viene utilizzata nuovamente per lo sgombero dei turisti a Cogne, rimasti bloccati a causa di alcune slavine che interrompono il traffico sulla strada, ancora carrozzabile.

Nell’aprile del 1979 le miniere – e quindi la linea Cogne-Acque Fredde-Charémoz – chiudono definitivamente. Ma già dopo i fatti del ’72 l’idea di proporre di usare la galleria sotto il Drinc come via di fuga dalla valle di Cogne in caso di necessità si fa strada concretamente. Non solo, l’idea è che allargando il tunnel sarebbe possibile il transito promiscuo. Treno, quindi, ma anche far passare le auto in caso di emergenza.

Oltre vent’anni dopo, quando ormai i lavori per riaprire sono ormai quasi finiti, l’alluvione del 14 e 15 ottobre 2000 vede la valle di Cogne tra le zone più colpite della regione. Le numerose frane abbattutesi sulla strada regionale vedono nuovamente il “trenino” in attività, con l’attivazione di un esercizio provvisorio sulla sola tratta Acque Fredde – Épinel – visto il crollo di un ponte sul torrente Tarambel tra la frazione stessa e Cogne – per le esigenze di mobilità e rifornimento della popolazione.

Il trenino dal 1916 al 1979
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Yin e yang di una ferrovia, da una “nuova vita” all’addio

Chiuse le miniere, il ripensamento in chiave turistica della tratta è immediato. Talmente tanto che la Regione, già nel 1980, acquisisce l’infrastruttura. L’obiettivo? Mettere in piedi un museo minerario e unire i due comprensori di Cogne e di Pila (questione ancora aperta, anche se si parla di un collegamento a fune), oltre ad un utilizzo della linea ferroviaria in caso di interruzione della strada, come già avvenuto in passato.

Il progetto – approvato dal Ministero dei Trasporti –, prevedeva il riutilizzo della ferrovia esistente, con alcuni lavori di consolidamento e drenaggio delle gallerie, e dei tre locomotori elettrici in uso alla miniera. Lo scartamento della ferrovia sarebbe rimasto quello presente, ovvero quello ridotto di 900 millimetri.

La locomotiva “coccodrillo” del trenino di Cogne al Museo minerario

Ma immediata è stata anche la certezza che l’investimento da 4 miliardi di lire non sarebbe stato sufficiente per un progetto che si volesse ambizioso. Per questo serviva un aggiornamento: ammodernamento del parco rotabile e due treni, per un convoglio da dieci piccole carrozze da costruire ex novo e da 16 posti a sedere l’una.

L’idea – si legge nel libro “C’era una volta la ferrovia Cogne – Acque Fredde” scritto da Claudio Castiglion – era quella di poter effettuare due corse ogni ora, per una capacità di trasporto non inferiore alle 300 persone ogni ora e alla velocità massima di 50 chilometri orari.

Da qui – siamo nel 1982 – parte la fase progettuale di riutilizzo della tratta. Le “carrozzette” per formare i due treni vengono ordinate, i locomotori devono essere modificati.

Nel frattempo, passano un paio di anni per avere in mano il progetto esecutivo e per cominciare a mettere a fuoco precisamente i costi. Gli interventi non sono pochi. Nel suo libro, Castiglion li elenca con discreto dettaglio: risagomare e allargare la sezione delle gallerie, risanandole e rivestendole, sostituire il binario con una nuova massicciata di spessore ridotto per poter aumentare la volta. A questi si aggiungono lavori importanti sull’alimentazione elettrica, con la sostituzione della catenaria, l’approntamento di nuove cabine elettriche con moderni impianti di rilevamento della posizione del convoglio, l’installazione dell’illuminazione normale e di quella di emergenza nelle gallerie, i sistemi di rilevamento delle slavine e un adeguato impianto di ventilazione in caso di incendi nella lunga galleria del Drinc.

Il prolungamento della tratta da Charémoz a Plan Praz stazione della telecabina Aosta Pila – Foto Google Maps

La novità – ne parlavamo prima – diventa ora quella provare a collegare Cogne e Pila. Come? Incrociando la fu ferrovia con la cabinovia che parte da Aosta, in procinto di essere rinnovata nel 1987. L’operazione, sulla carta, era semplice: prolungare il binario da Acque Fredde verso est per arrivare così in località Plan Praz, ancora oggi una due stazioni intermedie dell’impianto a fune assieme a quella di Les Fleurs. Qui – dopo un allungamento della tratta di circa 900 metri –, si sarebbe realizzato l’interscambio ferrovia/cabinovia.

Intanto, i costi si mettono a fuoco eccome: nel 1984 le stime di intervento ipotizzano una spesa di circa 11 miliardi di lire per l’esecuzione dei lavori, che sarà stanziata nel 1985 con la Legge regionale 68 del 31 dicembre 1984. Due anni dopo, nell’aprile del 1986, i lavori sono aggiudicati e si comincia ad intervenire sulle tre gallerie – Cretaz, Drinc e Acque Fredde –, e sulle tre tratte all’aperto. Lavori che si chiudono nel 1988 con il nulla osta per la sicurezza delle opere.

Nello stesso anno prende il via il secondo lotto di interventi, che si protrarrà negli anni ‘90. Lo stanziamento del 1984 viene aggiornato visti i maggiori costi per l’allungamento della tratta ferroviaria fino a Plan Praz. Nel 1989 i lavori fatti – anche quelli esterni – sono molti.

Nel libro di Castiglion si legge che nella galleria del Drinc “oltre all’allargamento, si è dovuto realizzare un apposito canale per raccogliere e convogliare le acque sorgive, consolidare le rocce sia sulla volta sia in parete e rifinire la galleria con un rivestimento in bentonite”. Inoltre, “viene posato il binario completamente nuovo, con rotaie in barre da 18 metri e 36 kg/m di peso su traverse di legno di rovere, nonché la messa in opera della recinzione di protezione dell’intero tracciato”.

Entrando negli anni Novanta, il Ministero ha qualche appunto da fare sulla linea elettrica aerea in caso di evacuazione della galleria. Per questo, si comincia a prendere in considerazione ciò che poi sarà definitivo: un solo treno di dieci piccole vetture che potrà portare 150 passeggeri. Nel 1992 la Regione approva uno stanziamento di circa tre miliardi e mezzo di lire per i lavori del terzo lotto. Sono gli anni in cui cominciano ad emergere posizioni critiche sull’opera.

Bisogna aspettare il maggio 1995 per vedere il progetto generale di completamento dell’infrastruttura approvato dalla Commissione del Ministero dei Trasporti. E nel 1996 la Legge di dodici anni prima viene rifinanziata. Il 1998, invece, è l’anno in cui la ditta Firema viene incaricata di realizzare il convoglio da dieci carrozze e due motrici. La portata stimata è di 150 persone l’ora per un viaggio di circa 25 minuti fino a Plan Praz, dove nel frattempo è stata intanto costruita la stazione intermedia della telecabina Aosta-Pila. Nel 1999 la Giunta regionale affida la gestione dellatranvia intercomunalealla Pila spa, che ha già in carico la cabinovia.

Il contratto, come ovvio che sia, mette sul piatto anche le cifre. La Regione dovrà versare alla Pila spa – spiega Castiglion nella sua ricostruzione – “per la formazione del personale e l’avvio dell’esercizio dell’impianto, un miliardo e seicento milioni di lire per gli anni 2000 e 2001, ovvero l’anno della nuova data prevista per l’attivazione dell’esercizio ferroviario, e poco meno di un miliardo e cinquecento milioni di lire a decorrere dal 2002, primo anno di apertura”.

Contando il rifinanziamento dell’8 novembre 1999 – quando nel frattempo erano emersi diversi problemi di tenuta dei rivestimenti in alcuni tratti della galleria del Drinc –, la volontà è quella di completare l’opera. Tra i lavori, si legge sempre nel libro di Castiglion, “gli apparati di ventilazione della lunga galleria di valico, i sistemi di controllo del traffico e di rilevamento incendi con le segnalazioni di esodo”, ma anche – compresi nell’appalto – “i lavori di rifacimento che necessitano nel tunnel sotto il Drinc, la ristrutturazione delle stazioni di Cogne e Acque fredde e la sistemazione dell’area terminale di Plan Praz”.

Vent’anni dopo la chiusura delle miniere, de facto, sono stati stanziati complessivamente quasi 50 miliardi di lire. La speranza è quella di riaprire la linea Cogne – Acque Fredde – Plan Praz per il 2001. Non sarà così.

Nel mezzo, come detto, c’è anche l’alluvione del 2000. I ritardi si accumulano e di date certe per la riapertura, anche solo stimate, non ce ne sono più per un po’ di tempo.

Nonostante questo, i lavori riprendono. Nel 2002 si chiude il ripristino dei fabbricati e proseguono gli interventi su impianti elettrici, telefonici, su quelli di videosorveglianza, gli apparati di telecomando ed altri ancora.

A fine 2003, siamo a dicembre, Castiglion scrive che “in uno degli ultimi Consigli regionali dell’anno, l’Assessorato ai Trasporti fa il punto sullo stato dei lavori all’epoca”. Ed il dettaglio recita:

Non male, se non fosse che nel frattempo la società Firema fallisce. Diventerà “Costa Ferroviaria” e poi “Costa Rail”. Il materiale rotabile era ormai pronto, ma il fallimento dell’azienda allunga ancora i tempi per la fornitura dei locomotori. E l’obiettivo che sembrava alla portata, l’apertura per il 2004, si sposta ancora in avanti. Nel 2005 – anno in cui anche Striscia la Notizia viene in Valle ad occuparsi della questione – finiscono anche i lavori per collegare Acque Fredde a Plan Praz.

La Regione decide di affidare la fornitura di tre locomotori alla ditta Costa Rail Group di Milano, ovvero la ex Firema, che consegna le “carrozzette”. In Valle ne arrivano nove, con vagoni e locomotori verde scuro. Sul fianco campeggia la scritta “Petit-Train-Grand-Paradis”.

Castiglion, nel suo libro, riporta che “ogni carrozza può portare fino a sedici passeggeri ed è dotata di due porta sci esterni. Alla riapertura, l’esercizio potrà quindi trasportare, con un unico convoglio, un massimo di 160 viaggiatori per ogni senso di marcia, per un totale di 320 passeggeri l’ora, impiegando circa mezz’ora per percorrere l’intero tracciato della ‘Tranvia intercomunale Cogne – Acque Fredde – Plan Praz’. Nonostante questo, una data per la riapertura non c’è e nessuno si sbilancia più”.

L’ultimo miglio

Dal 2006 abbiamo conto della cifra complessiva spesa per il “sogno” di riaprire il trenino e renderlo un’attrazione turistica. “Quando mancava solo il collaudo finale, in audizione in Consiglio Valle viene quantificato il costo finale, vicino ai 30 milioni di euro tra opere civili e materiale rotabile”, scrive Castiglion.

Lo stesso anno, l’ennesimo ostacolo ad un progetto ormai quasi deragliato del tutto. A settembre la Pila spa effettua una serie di sopralluoghi. Ne risultano – si legge nel libro di Castiglion – “problemi al rivestimento delle gallerie, con la necessità di effettuare lavori di rifinitura e manutenzione in carico alla società stessa, e sono chiesti chiarimenti sulla sicurezza della galleria del Drinc”.

Ma la questione non finisce qui. La stessa Pila spa “affida a professionisti terzi l’incarico per una perizia per la stima dei lavori da fare, mentre si segnala il ritardo nella consegna dei locomotori a causa di un contenzioso sulle posizioni debitorie della Costa Rail. Locomotori comunque in arrivo a fine anno, ma che devono ancora essere testati dai tecnici del Ministero dei Trasporti”.

I risultati della perizia arrivano nel 2007 e sono sconfortanti. Castiglion spiega che la relazione “mette in evidenza una situazione ben peggiore del previsto riguardo i rivestimenti della galleria del Drinc”, evidenziando “anche problemi alla posa del binario, ai locomotori – non collaudati –, alle carrozze, con possibili problemi di inscrizione nelle curve più strette e dubbi sull’autonomia delle batterie ad effettuare il servizio giornaliero senza cariche intermedie”.

A sua volta, la Regione dà incarico ad una Commissione di professionisti di redigere una perizia definitiva sulla “tranvia”. Le valutazioni – sul finire del 2008 – sono disarmanti: “dopo 23 anni e circa 30 milioni di euro spesi i lavori del trenino sono da rifare in buona parte”, riporta Castiglion.

O meglio: “Si segnalano criteri di valutazione improbabili nella progettazione degli impianti e delle scelte sul tipo di trazione e dei locomotori, ipotizzando investimenti ingenti per ripristinare i lavori fatiscenti necessari per far ripartire la ‘tranvia’” e “l’alimentazione dei locomotori non risulta adeguata al tipo di linea e al tipo di servizio previsto”.

Senza addentrarsi in tecnicismi c’è la fredda versione pratica: “Nel giugno 2008 era stata fatta una prova in loco dai tecnici – si legge nel volume –. In quel caso, il treno formato da due locomotori e dieci ‘carrozzette’ è riuscito a stento a percorrere l’intera tratta”. Abbastanza per la Corte dei conti – lo vedremo tra poco – per aprire un fascicolo.

Nel dicembre 2008 il sopralluogo lo fanno i consiglieri regionali. Nel 2009 la Giunta prende tempo, affronterà la questione dopo la pausa (di riflessione) estiva dai lavori del Consiglio. E proprio nell’aula di piazza Deffeyes – durante le sedute del 17 e 23 settembre – arriva la decisione di sospendere la riapertura e di abbandonare il progetto.

L’addio al trenino

La tratta del trenino di Cogne

Le discussioni su un eventuale recupero si sprecano, ma nell’aprile 2011 una Commissione conclusiva redige una relazione in cui si invita il Consiglio Valle a sospendere ogni attività legata al recupero della tranvia e dismetterne impianti e materiali.

Una risoluzione sarà accolta in Aula nella seduta del 13 luglio 2011. L’atto – qui nella sua interezza – impegnava la Giunta regionale a:

La risoluzione
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Un’altra risoluzione mette la pietra tombale sul progetto. Il 10 agosto 2012 una delibera di Giunta regionale dà il via libera allo smantellamento della tranvia ed esprime un parere favorevole all’individuazione delle modalità di riconversione e di riutilizzo.

Trenino vendesi

Trenino Cogne – Foto Associazione Musei di Cogne

Oggi, del progetto, rimane poco o niente. La stazione capolinea di Cogne, attualmente, è la caserma dei Carabinieri. Il fabbricato di Acque Fredde è vuoto. Le tre gallerie – Cretaz, Drinc e Charémoz – chiuse e con l’accesso sbarrato.

E mentre nel 2019 si chiude un contenzioso tra la Regione e la ditta Costa Rail, l’estate del 2020 è il momento in cui l’Amministrazione può vendere le tre locomotive e le dieci carrozze che formavano il trenino.

Il prezzo a base d’asta è di 630mila euro. Il termine per presentare le eventuali proposte viene fissato al 10 luglio 2020. Dato che non viene avanzata nessuna offerta un anno dopo, nel luglio 2021, la Regione emette un secondo bando.

La cifra base di vendita è ora scesa a 100mila euro, ma anche in questo caso non viene riscontrato nessun interesse. Venerdì 26 novembre viene emesso un terzo bando il cui prezzo viene fissato in 30mila euro. Nel marzo 2021 ecco un compratore: è l’azienda milanese Valente spa che si occupa di attrezzature e componenti ferroviarie. Il convoglio viene venduto all’asta per 31mila 500 euro e parte per Lainate, vicino a Milano. Il luogo dove, da tre anni, giace ancora assieme ai suoi – e un po’ ai nostri – sogni di gloria.

Copy: Il trenino dal 1916 al 1979
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La “partita” giudiziaria: un unico colpevole?

Come detto, il tramonto del “trenino” ha uno strascico giudiziario. È il 2013 quando la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti – presieduta da Gianfranco Busetti – condanna l’ingegnere aostano Alberto Devoti a pagare la somma di 13 milioni di euro, a fronte della richiesta del procuratore regionale Claudio Chiarenza che chiedeva 14 milioni 699mila euro.

Durante il processo, la difesa di Devoti – scelto come progettista, direttore dei lavori e incaricato della realizzazione delle opere da parte della Regione nel 1985 – spiegava che “l’opera non era radicalmente inutilizzabile, che i vizi erano parziali, che i locomotori erano astrattamente idonei, ma non lo erano in concreto per errore dell’azienda che li aveva forniti”.

Sottolineando, inoltre, come non sussistesse la colpa grave dal momento che “per la galleria del Drinc l’ambiente era aggressivo, il collaudo è stato positivo, ma dopo non c’è stata manutenzione”. Questione ribadita anche per l’impianto di ventilazione e l’armamento ferroviario.

Il Collegio giudicante ha invece accolto le richieste del pm. Nella sentenza si legge che “la sussistenza del danno è incontestabile (e incontestata) alla luce dei risultati, insufficienti a consentire l’uso della ferrovia in questione”. Ma, aggiungevano i magistrati contabili, “è ovvio che un’opera che venga correttamente progettata e correttamente realizzata non possa che essere pienamente funzionale, fatta salva l’ipotesi dell’intervento di fattori imprevedibili o incontrollabili”.

Accogliendo parzialmente le richieste in Appello, la sentenza pubblicata il 31 marzo 2016 dimezzava da 13 a 6 i milioni la cifra che l’ingegnere Devoti – all’epoca 72enne – doveva pagare. Nel dispositivo – nel quale vengono dettagliate tutte le principali criticità – si legge che, fin dalle primissime fasi e fino alla sua realizzazione, l’opera “non avrebbe mai potuto avere un funzionamento pieno e completo”.

Condanna che porta la Regione, nel 2018, ad avviare una procedura di esecuzione forzata mediante pignoramento dei beni immobili di proprietà di Devoti, con l’affidamento di un incarico notarile per attestare risultanze, visure catastali e registri immobiliari dell’ingegnere per procedere poi con la loro vendita.

Nel 2022 la Corte dei conti recupera 290mila 950,50 euro. Dalla relazione del procuratore regionale Giuseppe De Rosa emerge che dei 6 milioni 944mila 880,92 euro ancora da riavere indietro, buona parte è composta dalla cifra chiesta a Devoti, che deve risarcire ancora 5 milioni 415mila 713,98 euro. I residui riguardano invece sentenze passate in giudicato.

La domanda inevasa, stragiudiziale, resta quella delle effettive responsabilità in capo ad una sola persona. Questione che si è posta la stessa Corte dei conti che ritiene sì i quasi 30 milioni spesi “ingiustificati e costituiscono danno”, ma che in Appello hanno visto una rivalutazione del danno erariale stesso. Il perché è tra le righe della sentenza: “Per l’impossibilità di commisurare in maniera dettagliata la parte di danno imputabile al Devoti stante la partecipazione di altri soggetti che hanno concorso causalmente alla sua produzione (Regione, Ministero delle infrastrutture, ditte private)”.

Un nuovo progetto, il collegamento a fune tra Cogne e Pila

Il sogno, alla fine, è lo stesso: unire Cogne e Pila in un unico comprensorio, legando anche le due attività principe delle località così lontane e così vicine, lo sci di fondo per la prima, lo sci alpino per la seconda.

Già nel 2013, dopo 14 mesi di lavoro, Finaosta consegna in regione un’analisi di fattibilità tecnica ed economica per un collegamento a fune tra i due comprensori. Due le alternative individuate all’epoca: due funivie e una cabinovia con attestamenti alla Nouva e a Épinel, da una parta, e una con due cabinovie dalla Nouva fino al centro di Cogne. Per i costi, si parlava rispettivamente di 41 milioni e 600 mila euro in un caso e di 48 milioni nell’altro.

Nel 2016, durante l’Assemblea generale dei soci del Consorzio Operatori Turistici della Valle di Cogne, il progetto di fattibilità illustrato prevede la partenza del nuovo impianto da Cogne, vicino alla palestra comunale, e l’arrivo in corrispondenza della Platta di Grevon.

“La funivia non si fermerebbe ovviamente sulla Platta ma proseguirebbe fino a Couis Valle 1 per poi scendere ancora fino al centro di Pila in prossimità dell’arrivo dell’attuale telecabina Aosta-Pila”, spiegava all’epoca l’ingegnere Stefano Bor.

Dopo una stima dei costi che si impenna nel 2017 – quando sono 80 milioni 400mila gli euro immaginati – per il collegamento Pila-Cogne arriva un nome: Green way. È l’aprile 2018, e la campagna elettorale per le Regionali incombe. Un gruppo di amministratori e operatori di Aosta, Cogne e Gressan ha pensato di raccogliere tutte le informazioni disponibili sul collegamento – due impianti, uno da Cogne alla Platta de Grevon e l’altro dall’arrivo della telecabina Aosta-Pila alla Platta de Grevon – per restituirle alla comunità e anche ai futuri amministratori.

Al centro dell’iniziativa c’è l’albergatore di Cogne Andrea Celesia.

La nuova funivia? “Uno studio entro la primavera”. L’intervista all’assessore Bertschy

di Silvia Savoye

Quattro anni dopo, nel marzo 2022, a muoversi per tempo è stato il progetto Pila-Couis, la “stella” da realizzare sulla Platta de Grevon. Ma sul collegamento Pila-Cogne tutto tace. In Consiglio Valle, l’assessore Luigi Bertschy spiegava: “Noi vediamo in un futuro collegamento una possibilità di sviluppo strategico”, tenendo il freno a mano tirato data “l’esplosione dei costi di quest’ultimo periodo”. Del resto, si era a poche settimane dall’inizio del conflitto in Ucraina, mentre l’energia cominciava a lievitare oltre i livelli di guardia.

Si è dovuto arrivare alla fine di luglio 2024, per la notizia dell’attesa di un avviso pubblico da parte di Pila Spa per individuare la società che si occuperà di aggiornerà lo studio sul collegamento. Dato – anche questo – comunicato da Bertschy in Consiglio regionale.

Qui, il cerchio si chiude dov’è iniziato. Da un lato, si progetta la nuova funivia. Dall’altro, sempre in Aula, era la consigliera Pcp Erika Guichardaz a replicare all’Assessore: “Da tempo esiste un’alternativa per evitare l’isolamento e continuiamo a credere che quella sia l’unica attualmente perseguibile”.

Ovvero il trenino. Che non c’è più. Come non c’è (ancora?) la funivia tra Pila e Cogne.

Vox populivox Dei: trenino o funivia? Cosa ne pensano a Cogne

di Martina Praz

Trenino o funivia? “Dovreste chiederlo a chi ha messo quello striscione lì sopra”, dice Graziano Delfino, che gestisce la tabaccheria che si affaccia sulla via centrale di Cogne. Perché non in treno?, si legge su quello striscione del Comitato spontaneo per la difesa del bacino minerario di Cogne e della ferrovia del Drinc che qualcuno ha appeso al balcone un paio d’anni fa.

“Io non sono originario di Cogne ma per sentito dire avrebbero dovuto ripristinare il treno sia per una questione turistica sia per avere una seconda uscita per andare ad Aosta – aggiunge il tabaccaio –. I tunnel ci sono già, basta per metterli in sicurezza al posto di spendere i soldi per altre cose. La funivia è più turistica, il trenino secondo me potrebbe servire anche ai residenti. Con la funivia il rischio è che diventiamo un dormitorio perché secondo me vanno tutti a sciare a Pila”.

Alex Michaud, titolare di un bar in paese, è favorevole alla funivia: “Mi sembra di più facile realizzazione rispetto al trenino – spiega –. La galleria che c’è adesso l’ho attraversata nel 2000 quando c’è stata l’alluvione. Hanno messo una motrice e tutti i giorni si poteva scendere ad Aosta tramite la galleria. Mi sono reso conto che è strettissima, la motrice passava a filo del muro. Secondo me bisognerebbe rifarla e sarebbe un lavoro lungo e dispendioso”.

Per Michaud, il collegamento con Pila tramite la funivia permetterebbe anche di ampliare il mercato: “Qui abbiamo poco per lo sci di discesa ma in compenso ci sono tante attività come bar, ristoranti, alberghi, per un paese di 1.400 residenti. Sinceramente, le stagioni invernali non sono un granché e avere lo sci discesa porterebbe ad uno sviluppo importante per la stagione turistica invernale”. Oltre a questo, la funivia “sarebbe anche un utile mezzo di comunicazione con il fondovalle, alternativo alla strada vista la recente alluvione. Di alluvioni e valanghe ce ne sono sempre state, con il cambiamento climatico ce ne saranno sempre di più”.

Tra i favorevoli al trenino c’è Ezio Savin, che in paese gestisce un negozio di articoli sportivi. “Rappresenta la nostra storia e sarebbe anche a livello turistico un mezzo diverso dagli altri che identifica Cogne – afferma –. Il problema è che il trenino non l’hanno mai fatto e non si è mai capito se avrebbe funzionato o no”. Per Savin, puntare sulla funivia significherebbe cambiare la clientela turistica: “Per la clientela di Cogne, legata alla natura, sarebbe andato bene il trenino. Con la funivia si avrebbe una clientela legata allo sci. Oggi abbiamo una clientela d’oro che tutti ci invidiano, perché cambiarla? I nostri turisti per il 70 per cento non sciano, perché vogliamo cercare i clienti che hanno già le grandi stazioni? Non sono favorevole alla funivia”.

È sul fronte opposto Filippo Gérard, albergatore ed ex presidente dell’Adava: “Pensare ancora al trenino adesso che è stata fatta la caserma dei carabinieri, che sono stati venduti i vagoni e le locomotive è come pensare di tornare alle caldaie di cherosene in casa. È anacronistico – dice –. Secondo me, l’unica soluzione è la funivia, anche in una logica di trasporto alternativo. Quest’estate con quello che ci è successo non avremmo chiuso la località”.

La funivia “permetterebbe anche di collegare Cogne in modo diverso – aggiunge l’albergatore –. Si potrebbe pensare ad un benefit o uno sconto per chi sale a Cogne senz’auto e organizzarci con delle navette elettriche. La funivia è anche una infrastruttura iper testata, sicura, più ecologica e a ciclo continuo. Nel caso del trenino, chi soffre di claustrofobia non ci andrebbe, in caso di incendio sarebbe meno sicuro e permetterebbe di portare solo 150 persone all’ora”.  Per l’ex presidente Adava, “se ci fosse un biglietto concorrenziale con il pullman, la funivia potrebbe essere utilizzata anche come mezzo di trasporto pubblico non solo per il turista ma anche per chi lavora a Cogne”. La sua costruzione “non è più rimandabile” perché “andrebbe a creare un polo turistico completamente nuovo Aosta-Pila-Cogne, in un concetto di sostenibilità ambientale”.

Un viaggio per immagini tra i binari abbandonati

di Nicole Jocollé

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