Cade l’ipotesi corruttiva, maresciallo e imprenditore patteggiano
Archiviata la contestazione di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, la scelta del maresciallo della Guardia di finanza Diego Scida (48 anni) e dell’imprenditore di Courmayeur Gabriele Sanlorenzo (45 anni) è stata il patteggiamento per l’accusa di accesso abusivo a sistema informatico. Nelle scorse settimane, il Gup di Torino ha applicato un anno di reclusione al sottufficiale (con sospensione condizionale) e cinque mesi e dieci giorni di carcere, sostituiti con una multa da 12mila euro, al socio amministratore della Mont Blanc Services.
Ad indagare era stata la Procura distrettuale del capoluogo piemontese, coordinando le “Fiamme gialle” del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Aosta. Secondo l’accusa, Scida avrebbe fornito all’imprenditore attivo nel campo del transfer e del noleggio con conducente delle informazioni ottenute attraverso banche dati del Corpo, cui aveva accesso in ragione della sua veste professionale. Tra le consultazioni contestate, visure immobiliari, targhe di auto, dati reddituali, volture di veicoli, dati anagrafici, visure camerali e contratti di locazione.
L’ipotesi corruttiva, poi venuta meno, era imperniata sul fatto che Scida avrebbe ottenuto da Sanlorenzo la disponibilità gratuita di un alloggio, nel comune di Courmayeur. Alla luce del complesso delle accuse a quello stadio dell’inchiesta, i due imputati erano stati arrestati e posti ai domiciliari il 21 settembre dell’anno scorso. Nove giorni dopo, a seguito dell’interrogatorio di garanzia, la misura cautelare era stata affievolita: scarcerati entrambi, Scida era stato sospeso per un anno dall’esercizio di pubblici uffici e a Sanlorenzo era stata applicata, sempre per dodici mesi, l’interdizione a contrattare con la pubblica amministrazione.
Anche queste misure sono state revocate, il 13 gennaio scorso. Il militare è rientrato pertanto in servizio, in attesa di eventuali addebiti di carattere disciplinare. A difendere l’imprenditore erano le avvocate Rebecca Tubère ed Eleonora Bono, mentre il sottufficiale era assistito dall’avvocato Michel Milliéry con la collega Corinne Margueret. Le indagini erano partite da alcune visure, ritrovate nel corso di una verifica fiscale nell’azienda di Sanlorenzo e l’accusa si basava anche sulla puntualità cronologica rilevata tra richieste di informazioni e comunicazione dei dati nelle chat tra i due indagati.