Droga, annullate con rinvio due condanne in Appello del processo “Feudora”
Due condannati in appello nel processo nato dall’operazione “FeuDora” della Guardia di finanza, che nel maggio 2020 aveva sgominato una “articolata piramide criminosa” specializzata nello smercio di cocaina ed eroina, dovranno affrontare un nuovo processo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso presentato da Christian Bredy (45 anni, di Sarre) e Adriana Chiambretti (69, Aosta) e annullando le sentenze a loro carico, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino per l’ulteriore giudizio.
Una decisione assunta perché – si legge nel verdetto della Suprema Corte, depositato negli scorsi giorni – “la sentenza impugnata offre una motivazione carente in una prospettiva di accertamento della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio”. Bredy, in appello, si era visto riconoscere le attenuanti generiche e la sua pena, nel marzo di quest’anno, era passata a 2 anni e 10 mesi di reclusione (in primo grado, nel novembre 2020, dal Gup di Aosta gli erano stati inflitti 4 anni e 6 mesi di carcere). Chiambretti, assolta in primo grado, a seguito dell’opposizione della Procura di Aosta era stata riconosciuta colpevole dai giudici torinesi, con 2 anni e 8 mesi di reclusione.
Analizzando il ricorso del 45enne di Sarre, la Cassazione sostiene che aver accompagnato in auto una donna che poi ha ceduto dosi di eroina e hashish ed aver assistito ad una conversazione tra pusher ed acquirente “non sono circostanze di che, di per sé sole, possono dirsi indicative, al di là di ogni ragionevole dubbio, della consapevolezza di facilitare gli spostamenti della donna per effettuare consegne di droga”.
Analogamente, essere in sua compagnia nel momento in cui le è stato trovato lo stupefacente ed averla ospitata insieme alla droga non possono far dichiarare “al di là di ogni ragionevole dubbio” la “consapevolezza di assicurare alla donna sicurezza o collaborazione nella sua condotta di detenzione illecita”.
Quanto all’impugnazione di Chiambretti – ritenuta colpevole in appello di aver acquistato (ai fini di spaccio) 30 grammi di eroina, ad un prezzo di 3mila euro, in concorso con il figlio – la Cassazione osserva che “l’acquisto dello stupefacente da parte” di quest’ultimo “avvenne sulla base di un accordo, ma senza che lo stesso venisse consegnata la droga” e “non è chiarito come l’attuale ricorrente concorse in tale condotta”.
Inoltre, se “non vi sono elementi per ritenere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che” Chiambretti “concorse nel determinare o rafforzare il proposito del figlio di concludere l’accordo relativo all’acquisto della droga, occorrerebbe dare una diversa qualificazione alla fattispecie, e valutare se questa, eventualmente, si configuri in termini di tentativo rispetto alla ricezione dello stupefacente”.