Droga, nell’appello FeuDora scende una pena e salta un’assoluzione

Riconosciute, in secondo grado a Torino, le attenuanti generiche a Christian Bredy, mentre Adriana Chiambretti, assolta dal Gup di Aosta, è stata giudicata colpevole. Per entrambi, l’accusa era di spaccio.
Palazzo giustizia Torino
Cronaca

Cambia il verdetto, rispetto a quanto stabilito in primo grado, per due degli imputati di spaccio nel processo nato dall’operazione “FeuDora” della Guardia di finanza, che nel maggio 2020 aveva sgominato un’“articolata piramide criminosa” specializzata nello smercio di cocaina ed eroina. Lo ha stabilito, riducendo una pena e annullando un’assoluzione, la quarta sezione penale della Corte d’Appello di Torino a fine 2021, ma se ne è appreso solo ora.

Nel dettaglio, i giudici hanno rideterminato, abbassandola a due anni e 10 mesi di reclusione (e 12.600 euro di multa) la condanna a carico di Christian Bredy (44 anni, di Sarre). Al Tribunale di Aosta, nell’udienza del 12 novembre 2020, il giudice Davide Paladino gli aveva inflitto, a fronte della scelta di rito abbreviato, quattro anni e 6 mesi e 18mila euro di multa. Era stato il diretto interessato, tramite il suo difensore, a proporre appello.

In particolare, la tesi ribadita dall’uomo era di essersi limitato a condurre un’altra imputata nel processo all’appuntamento con colui che si era rivelato un acquirente e ad essere presente alla cessione di droga, dopo la quale i finanzieri avevano fermato entrambi. Una tesi che non ha convinto la Corte al punto da scagionare completamente Bredy, ma utile a riconoscergli le attenuanti generiche, con la conseguente rivalutazione della pena.

Sull’altra posizione oggetto d’appello, era stata la Procura di Aosta ad impugnare l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” di Adriana Chiambretti (69, di Aosta), madre di un altro coinvolto nell’operazione. Un giudizio totalmente rovesciato dalla Corte d’Appello, che si è pronunciata per la colpevolezza dell’imputata, comminandole 2 anni e 8 mesi di carcere e 12mila euro di multa.

La donna era stata monitorata, nel marzo 2020, vicino a casa di uno dei “pusher” poi bloccati dalle “Fiamme gialle”: per l’accusa era in attesa di ritirare dello stupefacente, ma il Gup aostano non aveva ritenuto significativa la sua presenza in quel luogo. Agli occhi dei giudici di secondo grado, però, quella valutazione è errata, perché – nella loro lettura della successione degli eventi – è incontestabile che fosse in attesa di ricevere lo stupefacente, da recapitare al figlio. Da ciò, l’impossibilità di considerare il suo contributo non punibile.

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