Operazione “FeuDora”, la variopinta galassia di pusher attorno al “Re” Nirta

Il “blitz” antidroga della Guardia di finanza scattato all’alba di oggi, martedì 26 maggio, ha portato a dieci il conto degli arresti per spaccio di cocaina ed eroina. Lo stupefacente arrivava direttamente dalla Calabria.
La conferenza stampa della Guardia di finanza.
Cronaca

Per i finanzieri del Gruppo Aosta, quella smantellata dall’operazione “FeuDora” – condotta dall’alba di oggi, martedì 26 maggio, portando a dieci il conto degli arresti per spaccio di cocaina ed eroina (cinque dei quali con custodia cautelare in carcere) e ad una ventina le perquisizioni – era un’“articolata piramide criminosa”. Al vertice c’era il pluripregiudicato Giuseppe Nirta, 68enne nato a San Luca (Reggio Calabria) e residente in Valle dagli anni ’90. È finito in manette lo scorso 27 marzo, in piena emergenza Covid-19, quando lo hanno beccato in auto con un quasi un chilo di “ero”.

Il “Re” della piazza nel lockdown

Non un fatto casuale. Stando agli inquirenti, il cugino di Bruno (a processo a Torino nell’“operazione Geenna” su infiltrazioni di ‘ndrangheta in Valle) e del 52enne assassinato in Spagna nel giugno 2017 che portava il suo stesso nome, era diventato il riferimento principale per i tossicodipendenti della piazza valdostana, dilaniati dall’impossibilità di procacciarsi stupefacente a causa delle restrizioni sugli spostamenti. Tant’è che aveva deciso – hanno rivelato le investigazioni iniziate in gennaio – di “spingere ancora di più sul prezzo”.

Poteva permetterselo, Nirta, perché glielo consentiva la disperazione dei clienti con cui aveva a che fare. Era la “roba” che vendeva a collocarlo necessariamente in quella fascia di mercato. Eroina tra le meno raffinate sul mercato, chiamata “Black tar”, letteralmente “Catrame nero”. Di bassa qualità (e, come tale, ancora più pericolosa), destinata solo ad essere iniettata (impossibile sniffarla) e preferita per il suo costo inferiore. La smerciava, hanno ricostruito i finanzieri, anche attraverso una lunga serie di intercettazioni ambientali, a 60 euro circa al grammo. La cocaina, che non sembrava però rappresentare la specialità preferita dalla casa, se ne andava, invece, a 120 euro al grammo, oppure a 100 euro a “pallina” (appena meno pesante, 0.7/0.8 g.).

La droga arrivava dalla Calabria

L’approvvigionamento “avveniva direttamente dalla Calabria”, ha spiegato il tenente colonnello Francesco Caracciolo, comandante del Gruppo Aosta. È questa una peculiarità dell’operazione odierna. Al centro di numerose indagini del passato era infatti emerso il “pendolarismo” degli spacciatori dalla Valle a Torino e Milano per i rifornimenti. Una modalità che, vista la minor distanza da coprire, con “viaggi” possibili più di frequente, si caratterizza per i minori quantitativi trasportati. In “FeuDora”, invece, oltre al chilo di eroina, sono stati sequestrati oltre due etti di cocaina e 60 grammi di hashish.

Nirta, hanno accertato i finanzieri, se ne occupava personalmente. Scendeva nella sua terra d’origine alcune volte l’anno (risulta averlo fatto anche in aereo), ma non tornava mai in Valle con la droga, in modo da risultare “pulito” a qualsiasi controllo (gli inquirenti se ne sono resi conto dopo averlo fermato a Caselle, appena sbarcato). La riceveva in seguito. Il giro – considerata soprattutto una conversazione in cui lui e Ficara discutono della “contabilità” della loro attività – è stato valutato in 70mila euro al mese e veniva gestito in quella che per i finanzieri era, a tutti gli effetti, la “roccaforte del Quartiere Dora”.

Il resto della piramide

Sul gradino subito sotto Nirta, nella struttura che ha preso corpo dalle indagini coordinate dal pm Francesco Pizzato, si trovava Giuseppe Ficara (39 anni, Aosta), bloccato stanotte. È la vittima dell’accoltellamento verificatosi a fine aprile nella stessa zona del capoluogo (che, per gli inquirenti, aveva comunque movente passionale, non legato a fatti di stupefacenti). Da lui dipendeva una serie di altri pusher: Sebastian Luhring (37, Aosta) e Massimo Penti (49, Aosta), condotti in cella stanotte (dove si trova già Daniele Ferrari, 40enne aostano che viaggiava in auto con Nirta a marzo).

Della rete, ma posti ai domiciliari, sono invece accusati di aver fatto parte: Christian Bredy (43, Sarre), Adriana Chiambretti (68, Aosta), Marco Casone (33, Aosta), Giuseppe Mauri Zavaglia (44, Aosta) e Roberta Orrù (36, Aosta). Con l’ordinanza del Gip Giuseppe Colazingari che ha fatto scattare il “blitz”, un ulteriore provvedimento restrittivo è stato notificato in cella allo stesso Nirta e a Laura Ficara (33, Sarre).

Un feudo, più che una rete

Quest’ultima, convivente di Bredy, era stata fermata assieme a lui lo scorso 6 marzo. Emblematica, della natura della struttura, la ricostruzione della circostanza. I due, secondo le investigazioni, vantavano una clientela composta prevalentemente da cocainomani, ma l’inizio dell’emergenza sanitaria aveva ridotto ai minimi l’arrivo di “neve” in Valle (la terminologia usata al telefono con i clienti era “vino bianco”, mentre l’eroina era il “rosso”). Dopo aver chiesto a Nirta una disponibilità di stupefacente che lui in quel frangente non possedeva, si erano recati autonomamente a Torino, venendo presi al rientro, al casello di Nus.

Insomma, una galassia umana variopinta, quella che ruotava attorno a Nirta. Più che un clan, un gruppo di vassalli, valvassori e valvassini (da cui l’idea di feudo ripresa nel “battezzare” l’operazione), che quando si permettevano di dire “tizio ci deve” venivano rimbrottati dal “capo” con “semmai, mi deve”. Molti sono legati tra loro: i due Ficara sono fratello e sorella, Penti è il figlio di Adriana Chiambretti, mentre Luhring e Orrù risultano convivere. Alcuni risultano anche assuntori, altri – come si è visto – impegnati in traffici autonomi oltre a quello imbastito dal 68enne di San Luca. Insomma, profili da vicende di droga sullo stile del film “Trainspotting”, vite al limite.

Reddito di cittadinanza per tutti

Indagando, i finanzieri si sono resi conto che 9 dei 10 arrestati (incluso Nirta, cui è stato sospeso dopo l’arresto) erano percettori del reddito di cittadinanza. Un elemento che “stride con il dato dei proventi ottenuti dallo spaccio – ha sottolineato il comandante regionale delle ‘Fiamme Gialle’, il generale Raffaele Ditroia – e che deve far riflettere anche sul denaro pubblico, perché il reddito di cittadinanza dovrebbe essere erogato a persone che hanno necessità. Qui la necessità non c’era, per cui è sicuramente una indebita percezione di denaro pubblico”. Le indagini proseguono proprio sul fronte patrimoniale, su questo, ma anche su altri aspetti.

Al momento dell’arresto a Nirta gli erano stati trovati zaffiri e orologi di pregio. “Essendo stato sottoposto a misure di prevenzione, – ha spiegato il tenente colonnello Caracciolo, mettendo in evidenza uno degli aspetti spesso contigui al traffico di droga – lui non può avere nulla. C’è qualcuno che si è prestato per tenergli delle disponibilità economiche”. Dal canto suo, il comandante Ditroia ha sottolineato che “non esiste preclusione alla percezione del reddito di cittadinanza per precedenti penali”, tanto che “accertamenti su personaggi di ‘ndrangheta, svolti in Calabria, formalmente nullatenenti, ma con a disposizione ricchezze smisurate (anche frutto di traffici internazionali di stupefacenti), hanno rivelato esserne titolari”.

Tanti consumatori: “dato che deprime”

L’altro aspetto significativo di “FeuDora”, guardandola dal punto di vista di ciò che rivela socialmente, è che dall’inchiesta sono stati individuati un centinaio di consumatori. Un dato che, ha detto il comandante regionale delle “Fiamme Gialle” fa della Valle d’Aosta, “pur essendo una regione connotata da un numero di abitanti esiguo”, una discreta piazza di consumo. Caracciolo ha parlato di “dato che deprime” rispetto a una “recrudescenza di stupefacente di bassa qualità”.

L’operazione della Guardia di finanza vi ha messo fine, anche se potrebbe essere solo un rallentamento. L’arresto di Nirta ha fatto registrare agli inquirenti una vera e propria “situazione di panico”, perché – è ancora Caracciolo a raccontare – “i tossicodipendenti non sapevano dove andare a cercare l’eroina” nel periodo in cui gli ospedali si riempivano di malati di Coronavirus. Poi, “in un gioco di domanda e offerta qualcuno si è ricreato la piazza”. C’è da scommettere che, al comando regionale di via Clavalité, vogliano capire chi.

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