Lettere di patronage, il Gup: le banche non le consideravano garanzie
Vi è, in primis, l’analisi del contenuto delle tre lettere inviate ad altrettante banche creditrici del Casinò nella primavera 2014 alla base dell’assoluzione “perché il fatto non sussiste” dell’allora presidente della Regione Augusto Rollandin dall’accusa di abuso d’ufficio continuato. Lo si scopre leggendo le motivazioni, depositate in questi giorni, della sentenza letta in aula lo scorso 23 luglio dal Gup Davide Paladino.
La natura “debole” del testo
Il giudice osserva come “la semplice lettura del testo” permette di escludere che le missive contengano “l’assunzione di un esplicito impegno da parte della Regione” a garantire “gli istituti bancari, nell’eventualità di inadempimento, insolvenza, sottoposizione a procedure concorsuali” della Casinò de la Vallée. Tale caratteristica, annota Paladino, è tale “da ritenere di poter escludere un carattere impegnativo di tipo ‘forte’” delle lettere (indirizzate alla Bccv, alla Banca Passadore e alla Banca Popolare di Sondrio).
Lettura opposta a quella su cui il pm Luca Ceccanti, dopo un’inchiesta durata circa tre settimane, aveva impostato la contestazione dell’accusa a processo, sostenendo che le lettere (acquisite dalla Guardia di finanza, a palazzo regionale, il 27 febbraio di quest’anno) integrassero un’assunzione “di vere e proprie garanzie patrimoniali, nei confronti” degli istituti (creditori per un totale di 19 milioni di euro).
Sul tenore “debole”, per il Gup, converge anche la documentazione sequestrata nel corso delle indagini, che comprova come “le banche coinvolte considerassero, all’epoca dell’operazione, le lettere come a contenuto per lo più ‘dichiarativo’, ‘limitatamente impegnativo’”. A rafforzamento di tale visione, Paladino cita anche la mancata segnalazione delle missive “alla Centrale rischi della Banca d’Italia” (una circolare dell’istituto di credito centrale impone di censire “le sole lettere di patronage redatte in forma impegnativa”).
Le violazioni di legge contestate
Detto del testo, il giudice passa ad analizzare le violazioni di legge contestate all’imputato dagli inquirenti. Per la Procura, Rollandin (assistito nel giudizio, celebrato con rito abbreviato, dall’avvocato Giorgio Piazzese) aveva attuato la “spendita illegittima della propria carica presidenziale di Giunta”, in assenza “di qualsivoglia determinazione” autorizzativa da parte del Consiglio Valle o del Governo regionale. In sostanza, non avrebbe potuto sottoscrivere quelle lettere, vista la mancanza di atti di copertura amministrativa a monte.
Secondo il Gup, “gli effetti scaturenti dalla sottoscrizione dei documenti” non sono però “in alcun modo assimilabili a quelli del rilascio di una garanzia in senso tecnico-giuridico, così da rendere necessario il ricorso all’approvazione di una legge di copertura finanziaria che giustificasse, sul piano amministrativo-contabile, la firma di tali missive”.
Quanto all’ipotesi accusatoria che Rollandin avesse agito “con totale sviamento di potere” ed “in palese contrasto con i precetti di legalità ed imparzialità” cui era tenuto quale pubblico ufficiale, nonché “in spregio alle attribuzioni istituzionali degli organi della Regione”, previste dallo Statuto speciale, Paladino osserva che la giurisprudenza “ha escluso, in generale, la penale rilevanza” ai fini dell’abuso d’ufficio delle “violazioni di precetti costituzionali”.
Testimonianze non “neutre”
Inoltre, “avendo le norme dello Statuto regionale” sollevate nella vicenda “un’indubbia portata di carattere generale e programmatico, va ritenuto che l’iliceità della condotta addebitata al Rollandin non possa fondarsi su una loro ipotetica violazione”. Nemmeno, nella contestazione della Procura pare al giudice ravvisabile “una situazione di discriminazione di un soggetto a vantaggio di un altro” e non emergono quindi inosservanze del precetto “che impone l’agire imparziale della pubblica amministrazione”.
Infine, il Gup dedica alcune considerazioni a diverse testimonianze raccolte dal pm durante l’inchiesta, che “confermerebbero la natura impegnativa delle lettere”. Il riferimento è alle dichiarazioni rese da funzionari della Bccv e della Banca Passadore, nonché dal consigliere regionale Elso Gerandin, “che già nel 2014 aveva sollevato il caso delle lettere con un’interrogazione presentata al Consiglio regionale”.
In generale, agli occhi del giudice, nell’essere sentiti sulle lettere, tutti “non hanno riferito circostanze di fatto, bensì espresso valutazioni di tipo giuridico, che come tali non assurgono al rango di prova”. Nello specifico, tali deposizioni “non provengono da testimoni ‘neutrali’ della vicenda”, bensì da “soggetti che ne sono stati e ne sono in qualche modo tuttora coinvolti”.
Se a smentire la lettura dei bancari sarebbero, per Paladino, sia la documentazione sequestrata sia la mancata segnalazione a BankItalia, quella di Gerandin – “soggetto impegnato in politica e, quanto meno all’epoca dei fatti, appartenente alla parte politica avversa a quella di Rollandin” – è un’opinione, espressa nell’interrogazione e ribadita dinanzi al pm, “che si fonda su presupposti che sono contrastati dalle argomentazioni” sviluppate nelle motivazioni.
La Procura farà appello
Per l’imputazione di abuso d’ufficio continuato, il pm Ceccanti aveva chiesto in udienza 2 anni di carcere per Rollandin. Lette le motivazioni del Gup, la Procura diretta da Paolo Fortuna ha stabilito che ricorrerà in Corte d’Appello all’assoluzione. Le lettere di patronage sono state prodotte anche dal pm Eugenia Menichetti impugnando la sentenza (anche in questo caso assolutoria) per sette politici, ex manager e sindaci della Casa da gioco riguardo i 140 milioni di finanziamenti erogati dalla Regione.