Operaio morto nell’”Orrido”, impresario condannato in Appello
Un anno di reclusione (con sospensione condizionale) è la pena inflitta dalla terza sezione della Corte d’Appello di Torino, per omicidio colposo, ad Angelo Camputaro Lavorgna, l’impresario 67enne di Saint-Vincent datore di lavoro di Giuseppe Dagostino, operaio 43enne morto a Pré-Saint-Didier il 12 febbraio 2021. L’impresa stava operando con un cantiere sulla Statale e la vittima era scivolata lungo il pendio accanto alla strada per circa 200 metri, cadendo nell’“Orrido”.
In primo grado, l’imputato era stato assolto dal Gup del Tribunale, Giuseppe Colazingari, “perché il fatto non sussiste”. La sentenza, però, era stata impugnata in appello dal pm Francesco Pizzato. Il difensore dell’impresario, l’avvocato Corrado Bellora di Aosta, è in attesa delle motivazioni della sentenza d’appello, ma annuncia sin d’ora ricorso alla Corte di Cassazione.
Per la Procura, che nel giudizio con rito abbreviato al Tribunale di Aosta aveva invocato una condanna dell’imputato a 6 mesi (metà di quanto comminato dai giudici d’appello), il datore di lavoro non aveva adempiuto agli obblighi di prevenzione a suo carico, visto che il piano sostitutivo adottato dall’impresa non individuava in modo idoneo le lavorazioni da svolgere e, inoltre, l’area degli interventi non risultava dotata di protezioni laterali adeguate (e delle lavorazioni, stando alle indagini, erano comunque previste oltre l’area delimitata).
Una tesi che la difesa ha sempre respinto, sostenendo – anche attraverso una consulenza tecnica di parte – che l’accaduto sia stata “una tragedia, una tragica fatalità”, per la quale avere “massima comprensione sul piano umano, ma senza alcuna responsabilità” dell’impresario. La difesa di Camputaro Lavorgna aveva sottolineato, in particolare, che l’operaio avesse “scavalcato una recinzione e si è recato in una zona al di fuori dell’area di lavoro”.
Per la pubblica accusa, però, la condotta imprudente della vittima era stata diretta conseguenza della violazione degli adempimenti di prevenzione prescritti al datore di lavoro. Il pronunciamento definitivo è quindi destinato a passare alla Suprema Corte.