“Viaggi” di migranti asiatici irregolari, cinque “passeur” patteggiano a Torino

11 Febbraio 2020

Erano stati arrestati dalla Polizia di frontiera in cinque, al tunnel del Monte Bianco, per aver tentato, in due occasioni all’inizio dello scorso anno, di portare in Francia in tutto cinquanta migranti asiatici sprovvisti di documenti, pericolosamente stipati su monovolume e furgoni. Da allora erano rimasti in cella, fino all’udienza tenutasi nelle scorse settimane. Comparsi dinanzi al Gup Giulio Corato del Tribunale di Torino, per rispondere di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina aggravato, hanno patteggiato un anno e sei mesi di carcere ognuno (pena sospesa), oltre a multe dai 60mila ai 300mila euro, e sono stati scarcerati. L’accusa era rappresentata dal pm Valerio Longi.

Da quegli arresti, alla luce di alcune similitudini, erano iniziate le indagini sull’esistenza di un’organizzazione dei “viaggi”. Al prender corpo di tale ipotesi, il fascicolo era passato dagli uffici di via Ollietti alla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo piemontese. Gli sviluppi del quadro indiziario iniziale – curati dalla Squadra Mobile della Questura di Aosta e dal Servizio Centrale Operativo della Polizia –  erano culminati, lo scorso novembre, nell’operazione “Connecting Europe”, con cui gli inquirenti ritengono di aver individuato, in sei iracheni, i vertici dell’illegale “agenzia di viaggi” che “smistava” da Torino, verso i Paesi di loro scelta, i profughi giunti in Italia da Iran e Iraq.

L’inchiesta è ancora aperta e l’udienza del 13 gennaio scorso era limitata alle responsabilità nei due episodi in cui gli imputati erano finiti in manette. Il 17 gennaio 2019, i poliziotti diretti dal vicequestore Alessandro Zanzi avevano arrestato due pakistani (di 43 e 51 anni), un romeno (51) ed un iracheno (31). Tre guidavano una Volkswagen Touran, una Renault Trafic e un furgone Renault Master su cui erano state trovati 38 migranti (prevalentemente pakistani ed iracheni) senza “titolo di residenza permanente” in Francia. Il quarto era in possesso di documenti relativi a movimentazioni di denaro e fotocopie dei documenti dei passeggeri.

Proprio l’autista del mezzo con ventisei persone nascoste nel vano di carico (tra le quali due minori) aveva reso al pm Eugenia Menichetti un interrogatorio ritenuto investigativamente interessante, spiegando che la “carovana” era diretta in Spagna e che, per fare da autista di quel “trasferimento”, gli erano stati promessi 500 euro, da riscuotere una volta tornato in Italia, dopo la consegna del “carico”. Il mezzo era stato noleggiato a Torino e il conducente aveva dichiarato di essere stato contattato, come già avvenuto in passato, per uno spostamento di mobili.

Il 9 febbraio 2019, aprendo gli sportelli di un Mercedes Benz Sprinter fermato poco prima  sulla piattaforma italiana del traforo, gli agenti si erano invece trovati di fronte a dodici profughi tutti di etnia Curda, che avevano dichiarato di arrivare da Iran e Iraq (non mancavano, anche in quel caso, cinque minori). L’arresto era scattato per il 24enne iracheno trovato alla guida. A lui, come anche nelle imputazioni sul “viaggio” di gennaio, era addebitata l’aggravante di aver “sottoposto le persone trasportate a trattamento inumano” (nessuna apertura per l’aerazione, né sedili) e di averle esposte “a pericolo per la loro vita o incolumità”.

La definizione, con patteggiamento, delle posizioni dei cinque rispetto ai due “trasporti” non esclude che, al momento di chiudere le indagini sull’associazione a delinquere, il pm Longi possa chiamarli nuovamente in causa per aver concorso nella stessa, assieme alle persone colpite dall’ordinanza di custodia cautelare spiccata per il blitz “Connecting Europe” (tre in carcere in Italia, due in Francia già raggiunte da mandato internazionale di arresto ed una latitante).

Gli investigatori diretti dal commissario capo Eleonora Cognigni hanno ricostruito tariffe, a carico dei migranti, dai 1.000 ai 10mila euro a testa, a seconda di molteplici fattori. Soldi grazie ai quali prosperava, lungo una rotta che gli inquirenti stanno “battendo” a ritroso sino ai Paesi di provenienza (alla ricerca di altre reti di gestione degli spostamenti), un “business” tanto florido, quanto tragico per il suo essere costruito sulla pelle (e sulla disperazione) altrui.

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