Emergenza alimentare, Aosta studia un modo per rendere più efficace il servizio spesa

09 Dicembre 2020

È significativo il numero degli aostani che, nelle tre “tranches” fino ad ora finanziate, hanno usufruito del servizio spesa – gli aiuti economici e sociali rivolti alle famiglie in difficoltà per l’acquisto e la consegna di generi alimentari di prima necessità – attivato dal Comune.

Tre diversi momenti, derivanti da tre differenti finanziamenti: il primo ad aprile, con 180mila euro 295,59 euromessi a disposizione a livello nazionale, in realtà anticipati dal Comune e poi rimborsati da Roma –; il secondo a maggio, attivato con fondi regionali, poi spartiti tra comuni e che per Aosta ammontavano a 93mila euro circa, divisi in due parti.

Servizio aperto effettivamente a giugno, per poi essere replicato a novembre, per circa 46mila euro.

“Un conto è la povertà cronica e le persone, ad esempio, senza fissa dimora – spiega l’Assessore alle Politiche sociali Clotilde Forcellati – per cui si parla di 50/60 pasti caldi che vede forniti dalla Caritas (e che ora vede in campo anche il Comune stesso per la cena, ndr.). Altra cosa sono le 1500 persone prima, poi 500 ed altre 400 che in questi mesi, legati all’emergenza Covid, sono in difficoltà. Sono utenze diverse che oggi lo sono in maniera oggettiva difficoltà e che con la ripresa delle attività e dell’economia speriamo possano uscire da questa condizione”.

Circa 2500 persone non “uniche”, ma che spesso rappresentano un dato di ritorno, e che a livello di nuclei familiari ne rappresentano rispettivamente 478 (la prima tranche), 180 (i primi 56mila euro) e 122 per l’ultima porzione del finanziamento.

Forcellati spiega: “I numeri sono importanti. In questo momento abbiamo avviato anche un lavoro un po’ statistico per definire le persone che tornano a chiedere supporto, e sono molti. Anche il problema è importante: in questo periodo, e si presuppone nel 2021, non sono i soldi a mancare. Adesso arriveranno altri 180mila euro e ci sono i fondi messi dal Celva. Però dobbiamo avere ben chiara la platea ed il panorama, e capire quali possano essere i beneficiari, come chi ha perso il lavoro e chi ha diminuito il fatturato”.

“Erogare a pioggia i contributi non è neanche utile alla popolazione – prosegue l’Assessora –. Per questo motivo stiamo facendo dei ragionamenti per capire bene chi ha avuto il contributo spesa, e dove vogliamo andare a parare per aiutarli. Oggi i soldi ci sono, ma se non ci saranno si creerà un problema. Abbiamo in ottica un progetto più ambizioso: mettere assieme, attorno ad un tavolo, tutti gli Enti e le associazioni che si occupano di impoverimento e del disagio per coordinarci ed essere più efficaci”.

La difficile ipotesi di lavoro con i privati

In mattinata, durante i lavori della III Commissione uno spunto – mozione non discussa allo scorso Consiglio – è arrivato dal capogruppo di Fratelli d’Italia/Forza Italia Paolo Laurencet: “Considerando che c’è un servizio per i pasti caldi, e sul territorio ci sono associazioni che forniscono questo servizio, vorremmo si approfondisse la possibilità di aiutare anche una o due attività di ristorazione coinvolgendole. Si tratta di capire se queste attività, magari di quartiere, possano essere coinvolte nella consegna dei pasti caldi, in collaborazione con le associazioni, per dare un segnale e far capire che ogni attività conta per il Comune. In un momento di crisi sarebbe un segnale, anche per aiutare a salvare qualche azienda”.

O meglio: “I dati parlano della chiusura di una su due di queste attività – prosegue Laurencet –, con un incremento anche delle spese di welfare, visto che a perdere il lavoro sono anche i dipendenti e così un maggior numero di famiglie necessiteranno di un appoggio. Chiediamo di poter valutare questa possibilità seriamente, anche con un confronto con i rappresentanti dei ristoratori stessi, per collaborare su questi temi. Solo per periodo di emergenza, perché poi ristoratore deve fare suo mestiere come sempre”.

Spunto interessante, che però Forcellati vede con difficoltà. La strada è resa in salita dalle stesse “maglie” dell’apparato pubblico: “La proposta non è affatto da buttare, ma dobbiamo immaginare non solo un contenuto ma anche un iter. Immaginiamo di percorrere questa strada: per fare in modo che il privato possa erogare, cosa dobbiamo fare? Dobbiamo andare in libera concorrenza, mettere tutti i gestori nella stessa condizione di partecipare. Questo, per il Comune, significa aprire un bando pubblico. Poi dobbiamo spiegare le caratteristiche: cosa erogare, e nel bando questo deve essere molto chiaro, ma anche quello che noi chiediamo, quali caratteristiche devono avere questi pasti e le caratteristiche dei destinatari. L’Isee? La perdita o diminuzione del lavoro? E in che percentuale? Il possesso di una casa di proprietà o no? Serve una scrematura che possano fare gli Uffici verificando anche la veridicità delle richieste”.

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