Intervista a Francesca Canepa: “Così ho recuperato dal mio infortunio”

29 Settembre 2023

“A me non piace correre. Meno corro, meglio è”. Certo che se a dirlo è una delle più forti ultrarunners del mondo viene un po’ da sorridere, o da storcere il naso. Ma Francesca Canepa è sempre stata una persona fuori dagli schemi, testarda, ostinata, una che va per la sua strada, senza peli sulla lingua. Una strada che l’ha portata – solo per citare alcuni tra i suoi successi più importanti – a vincere due volte il Tor des Géants e una volta l’UTMB. Una strada, la sua, che l’ha anche portata ad un recupero da un infortunio che ha del fenomenale: cinque mesi dopo l’operazione a legamento crociato anteriore e menisco, eccola correre – e soprattutto vincere – l’Ultra Trail del Moscato, 106 km con 5.200 metri di dislivello.

Francesca Canepa Trail Moscato foto Instagram

Niente super équipe di persone a seguirla come per i calciatori, ma un percorso di riabilitazione quasi tutto da autodidatta, con l’aiuto di qualcuno, bruciando i tempi in maniera impressionante. Poco più di una parentesi, e neanche troppo lontana dalla sua solita quotidianità. Merito soprattutto di un fisico preparato, di una forza di volontà determinata, di una capacità di ascoltare il proprio corpo, di un approccio sportivo ma anche molto psicologico. “Sono stata anche fortunata”, ammette Francesca Canepa. “Non ho mai avuto dolore, non mi si è mai gonfiato. Sono contenta per l’atteggiamento che ho avuto, di non essermi abbattuta, e della capacità di recupero del mio corpo”.

Era il 26 marzo, la valdostana era a La Thuile ad assistere ai Campionati italiani di sci, in particolare la sua amica Federica Brignone. “Ho preso le prime funivie prestissimo, vedevo che tutti scendevano piano e non capivo il perché”, racconta. “Io ho più esperienza nello snowboard che nello sci. Faceva brutto, la neve era cemento e mi si è piantato lo sci, è stata colpa mia. Non ho sentito dolore ma ho proprio sentito una rottura netta e una sensazione di nausea”.

Il consulto con il chirurgo Marco Patacchini confermava la sua sensazione, il crociato era andato, ma tutto sommato la situazione non era troppo d’intralcio per la sua attività sportiva. Così Canepa decide di partecipare ad una 24 ore di corsa: “Finché correvo non avevo nessun problema, quando poi mi sono fermata al ristoro non riuscivo più a camminare. Non avevo più l’estensione, il menisco si era incastrato”. Aprendo il ginocchio per operare, effettivamente Patacchini vede la rottura anche di quello. Il piano si complica un po’, i tempi di recupero sarebbero dai 6 ai 9 mesi, e all’atleta tocca anche tenere le stampelle per tre settimane. Anzi, diciamo che sarebbe toccato. “Non lo accettavo, una cosa che non sopporto è soprattutto farmi vedere in quelle condizioni, un’immagine quasi di invalida. Dopo una settimana ho smesso di usare le stampelle”.

Un antinfiammatorio solo la prima notte, poi il percorso di autoriabilitazione è iniziato subito. “Ho adottato un sistema che ho ormai verificato funzionare su di me, e cioè “fai andare quello che va”. Non funziona un ginocchio? Ok, ma tutto il resto del corpo si, quindi faccio lavorare quello. Io ho bisogno di informarmi, di sapere, ho studiato molta letteratura sul caso: devo avere il quadro completo, sapere cosa posso fare e cosa no, entro quale range posso lavorare, non voglio lasciare nulla di intentato. Sapevo che dovevo estendere, ma non volevo fare errori. La mia amica massofisioterapista Valentina mi ha fatto vedere come fare anche con la rotula, perché non avevo avuto molte informazioni in merito dopo l’operazione. Certo, avevo male, ma pazienza, il dolore lo potevo sopportare perché sapevo che in un certo senso era a fin di bene. Vedevo i progressi giorno dopo giorno, e questo era fantastico”.

Francesca Canepa allora inizia a fare movimenti per recuperare l’estensione, esercizi per la muscolatura, elettrostimolazione per non perdere il tono muscolare della gamba operata, cyclette da spinning. Sempre ascoltando il proprio corpo, vedendo di giorno in giorno fin dove spingersi e quando modificare. “Non volevo assolutamente avere una camminata zoppicante, mi sono concentrata molto sulla qualità di quello che facevo anche per non memorizzare posture sbagliate”, continua. “Sono anche arrivati degli intoppi, ad esempio mi è venuta la zampa d’oca. Con la fisioterapista Giulia abbiamo provato a capire quale potesse essere il problema, quale movimento esattamente mi desse il problema, così ho lavorato per modificare quello ed è passata. Ascolto il mio corpo e gli lascio il tempo di fare il suo corso”.

A inizio agosto arriva il momento di mettersi in gioco con una 18 km a San Bernardino, in Svizzera. C’è ancora tanto da verificare: se il corpo, nel suo disequilibrio, è riuscito a trovare un nuovo equilibrio, se c’è paura, se c’è la capacità di rimanere concentrati sulla gara per molto tempo. “Un disastro”, dice senza mezzi termini Canepa. “Il corpo stava bene ma mancava la parte del riuscire a mantenere il focus. In una discesa facilissima mi passavano tutti, ma in fondo non mi importava, era una prova. Non ho avuto male neanche i giorni successivi, quindi ero contenta, ma poi non ho più corso e ho lasciato al corpo il tempo di assorbire”.

L’UTMB la chiama per la UTMB Legends, una staffetta lungo il percorso del trail più importante del mondo dedicata a chi l’ha vinto almeno una volta. A Francesca Canepa toccano due segmenti, quello da Arnouvaz a Fouly, e poi da lì a Champex, circa 28 chilometri: “L’ho presa comunque come una gara, faceva caldissimo, avevo le vesciche. La salita di Champex quando ho vinto me la ricordavo come facile, qui non finiva più. Però avevo buoni segnali, il caldo e le vesciche sono cause esterne, che non dipendono da me”.

Francesca Canepa UTMB Legends credits Paul Brechu UTMB

Si va allora a Tavagnasco per una 43 km con poco dislivello. Qui la valdostana si accorge di un altro tassello che manca alla sua completa ricostruzione, e cioè la corsa in piano. “Mi mancava il gesto della corsa, la capacità di mantenere un ritmo costante a lungo. Mi facevano male i dorsali, mai successo. Però ho capito che dovevo lavorare anche su questo problema”. Per la cronaca, ha vinto.

Cosa le manca? Un ultratrail. Viene invitata all’Ultra Trail del Moscato, 106 km con più di 5000 metri di dislivello. Tutto fila liscio per circa 80 km. “Sono partita un po’ indietro, come sempre. Il corpo reggeva, non avevo male alla schiena, la concentrazione era perfetta. Ho iniziato a recuperare, ma non volevo forzare né correre rischi. Sono caduta alcune volte, ma per fortuna senza farmi male. Poi ha iniziato a diluviare per una dozzina di chilometri, ho avuto un’ipotermia, un’agonia. Ero disperata in una discesa piena di fango, poi faceva caldissimo. Ma ho gestito il vantaggio e ho vinto. La cosa migliore però è stata che non ho avuto problemi fisici, neanche i dolori muscolari i giorni successivi”.

Il recupero sembra completo. Ora, come al solito, Francesca Canepa non ha pianificato niente, vive un po’ come viene. “Ho costruito la mia forma a salire. Da questo infortunio ho preso qualcosa di buono, mi ha resettato: prima di farmi male ero in crisi su diversi fattori, ora ho potuto lavorare sulla qualità del movimento e capire cosa voglio davvero”.

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