Nell’appello “bis” di Geenna resta la “locale” di ‘ndrangheta, ma senza concorrenti esterni
Giunti ad oltre cinque anni dal “blitz” di Carabinieri e Dda, che svegliò bruscamente la Valle il 23 gennaio 2019, la Corte d’Appello di Torino ribadisce la validità della tesi inquirente: ad Aosta c’era una “locale” di ‘ndrangheta. Nel giudizio “bis”, chiusosi nella tarda mattinata di oggi, lunedì 30 settembre, al Palazzo di giustizia del capoluogo piemontese, sono stati infatti condannati, per la partecipazione all’associazione di tipo mafioso, tre dei quattro imputati del processo celebrato con rito ordinario.
Tre condanne…
Si tratta del ristoratore Antonio Raso, al quale i giudici hanno inflitto 8 anni di reclusione (la richiesta della Procura generale era stata di 10 anni), dell’ex consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico e dell’ex dipendente del Casinò Alessandro Giachino, condannati ognuno a 6 anni e 8 mesi di reclusione (l’accusa, per loro, aveva chiesto 8 anni). Le riduzioni derivano dalla concessione delle circostanze attenuanti generiche e, per Raso, anche dalla riqualificazione di alcuni capi d’imputazione.
…e un’assoluzione
Di scena esce, invece, la presunta concorrente esterna nell’associazione. Monica Carcea, già assessore alle finanze del Comune di Saint-Pierre, è stata assolta “perché il fatto non sussiste” (la richiesta del sostituto pg Giancarlo Avenati Bassi era stata di 7 anni di reclusione). Presente in aula (così come Raso e Giachino) ha accolto il verdetto dei giudici commuovendosi.
L’altro accusato dello stesso reato, l’ex consigliere regionale Marco Sorbara (chiamato in causa per fatti di quand’era assessore al Comune di Aosta, nel periodo 2014-5), era stato scagionato nel primo processo d’appello (nel 2021) e assolto definitivamente dalla Cassazione il 24 gennaio 2023, quando la Suprema Corte aveva disposto l’appello “bis” chiusosi oggi per gli altri quattro imputati, annullando le sentenze a loro carico.
La “locale” senza concorrenti
Nella lettura derivante dalle sentenze che si sono susseguite sino ad oggi (quella del rito abbreviato in cui per associazione di tipo mafioso erano stati condannati Bruno Nirta, Marco Fabrizio Di Donato, Roberto Alex Di Donato e Francesco Mammoliti è divenuta definitiva nell’aprile 2023), la “locale” aostana avrebbe avuto quindi un “coordinatore”, dei promotori e dei “partecipi”. Non hanno però retto, ad oggi, le accuse di concorso esterno e nemmeno quelle relative ad alcuni “reati fine” ipotizzati, come il voto di scambio politico-mafioso (teorizzato in occasione delle comunali di Aosta e Saint-Pierre, nel 2015), o l’estorsione ai danni del proprietario di un ristorante.
Le reazioni difensive
Se i legali di Monica Carcea, gli avvocati Claudio Soro e Francesca Peyron, lasciando l’aula della Corte d’appello si sono limitati ad un “no comment”, aggiungendo subito dopo “parla la sentenza”, i difensori degli imputati condannati hanno espresso stupore per il pronunciamento odierno. Di “sentenza che chiaramente non ci aspettavamo” dice l’avvocato Ascanio Donadio, difensore di Raso (assieme ai colleghi Enrico Grosso e Pasquale Siciliano), correlando tale valutazione “all’esito del giudizio della Cassazione, che era stato severissimo e aveva censurato ogni parte della motivazione”.
“La sentenza di Cassazione, in buona sostanza, – continua Donadio – aveva rilevato che non ci fossero gli elementi per contestare l’associazione mafiosa: questo è il giudizio di rinvio, è chiaro che ci aspettavamo qualcosa di diverso”. Sulla stessa linea, il collega Enrico Grosso, per il quale la “Cassazione aveva chiarito molto bene quali erano i limiti entro cui questo reato poteva essere contestato, francamente non mi capacito di come la Corte d’appello potrà motivare, sono molto curioso di leggere le motivazioni”.
Il termine che i giudici hanno stabilito per il deposito è di 90 giorni. Attesa per la lettura dei motivi delle condanne è stata espressa anche dall’avvocato Guido Contestabile, che rappresenta Nicola Prettico. “Decisamente non ce lo aspettavamo. – dice dopo la sentenza – Il perimetro della Cassazione era estremamente ristretto, per cui desta stupore questa pronuncia. Leggeremo le motivazioni e faremo le nostre motivazioni”.
Parole che, pur nell’attesa di conoscere le ragioni della decisione assunta oggi dalla Corte d’appello, paiono aprire la porta a ricorsi in Cassazione contro le condanne di Raso, Prettico e Giachino. Lo stesso, ovviamente, potrà decidere di fare la Procura generale rispetto all’assoluzione di Monica Carcea. Il processo sembra quindi destinato ad avere ancora un grado, la Cassazione “bis”, che rappresenterà quello definitivo.
Le somme alle parti civili
I giudici, nel sentenziare stamane, hanno anche ridefinito le somme dovute a titolo di provvisionale (per stabilire il risarcimento complessivo è competente il giudice civile) nei confronti delle parti civili costituitesi nel processo. Raso, Prettico e Giachino dovranno versare, in solido tra loro, 30mila euro alla Regione Valle d’Aosta, 20mila al Comune di Aosta (con l’avvocato Gianni Maria Saracco) e 5mila sia al Comune di Saint-Pierre (con il legale Giulio Calosso, che rappresentava anche l’amministrazione regionale) e all’associazione “Libera”.
Quest’ultima vedeva presente in aula, oltre all’avvocata Valentina Sandroni, anche la referente regionale Donatella Corti. “Quello che noi possiamo fare – ha commentato dopo l’esito del processo – è non smettere di mettere in luce determinate problematiche, determinate situazioni, e fare in modo che chi amministra si renda conto sempre di più che questa non è una possibilità ma è una realtà per la quale bisogna avere, diciamo così, gli anticorpi”.
Il pronunciamento “bis” della Corte d’Appello “ci spinge comunque ad essere sempre più attenti”, anche perché “il fatto di esserci costituiti parte civile nel processo ci ha permesso anche di conoscere meglio determinati fenomeni, iniziare a capire a leggere meglio il nostro territorio”. Una lettura che, se è cristallizzata per quanto riguarda i protagonisti del rito abbreviato, facilmente chiederà ancora del tempo per il carattere definitivo del dibattimento ordinario.
‘Ndrangheta, attesa intorno alle 13 la sentenza dell’appello “bis” di Geenna
ore 11.00
E’ iniziata attorno alle 10.15 di oggi, lunedì 30 settembre, l’ultima udienza dell’appello “bis” del processo Geenna, sulle infiltrazioni di ‘ndrangheta in Valle d’Aosta e si è già conclusa. I giudici si sono ritirati in camera di consiglio e ne usciranno per la lettura della sentenza, attesa verso le 13.
Imputati sono il ristoratore Antonio Raso e i dipendenti del Casinò Alessandro Giachino e Nicola Prettico, accusati di associazione di tipo mafioso, nonché Monica Carcea, chiamata a rispondere di concorso esterno. Tutti avevano scelto di essere giudicati con il dibattimento ordinario.
Per i quattro, il nuovo giudizio di secondo grado si è aperto dopo che la Cassazione aveva annullato le sentenze a loro carico, il 24 gennaio 2023, rinviando a una diversa sezione della Corte d’Appello, per il nuovo processo, quello che terminerà oggi ed era iniziato il 15 novembre 2023. Tutti erano stati arrestati nella notte del 23 gennaio 2019 e avevano avuto le rispettive misure cautelari revocate il 31 marzo 2023 (Raso, Prettico e Giachino erano in carcere, mentre Carcea aveva ottenuto i domiciliari).
Per gli imputati, la Procura generale, attraverso i sostituti procuratore generale Giancarlo Avenati Bassi e Valerio Longi, ha invocato delle condanne: 10 anni di carcere per Raso, 8 anni ognuno per Giachino e Prettico e 7 anni per Carcea. Le difese, invece, hanno chiesto il proscioglimento dei loro assistiti, ribadendo come la Cassazione, nell’annullamento delle sentenze, abbia ritenuto alcune condotte contestate non dimostrative della forza intimidatrice della presunta cellula di ‘ndrangheta esistente ad Aosta.
‘ndrangheta, slitta la sentenza dell’appello “bis” di Geenna
14 maggio 2024
Arriverà verosimilmente dopo l’estate la sentenza dell’appello “bis” del processo Geenna, sulle infiltrazioni di ‘ndrangheta in Valle d’Aosta. Il dato è emerso dall’udienza tenutasi oggi, martedì 14 maggio, dinanzi alla Corte d’appello di Torino. Dopo la conclusione delle arringhe degli avvocati degli imputati, i giudici hanno infatti rinviato al prossimo 20 giugno per le repliche dell’accusa e l’inizio delle controrepliche difensive. Il completamento di queste ultime, e la decisione della Corte, avverrà in un’ulteriore udienza, ancora da fissare, che diverrà quindi l’ultima del processo.
Difesa Raso: “partire da Cassazione”
Nella scorsa udienza, il 10 aprile, erano stati gli avvocati Ascanio Donadio e Enrico Grosso a chiedere l’assoluzione del loro assistito, il ristoratore Antonio Raso, accusato di appartenere alla “locale” di ‘ndrangheta sostenuta dalle indagini di Carabinieri e Dda di Torino. Nel disporre il ritorno in appello, annullando le condanne agli imputati, per il legale Donadio “la Cassazione, a nostro modo di vedere, ha demolito l’impianto accusatorio”. Di conseguenza, “la nuova decisione non può che tenere conto di questo fatto”.
“La Cassazione – sottolinea l’avvocato – ha analizzato alcune condotte contestate, sostenendo che non siano dimostrative della forza intimidatrice” della presunta associazione mafiosa e “noi riteniamo che da questo si debba partire, anche perché, da parte della Suprema Corte, non sono state evidenziate solo lacune motivazionali” della sentenza cassata, “ma anche violazioni di legge”.
Parti civili: ribadite le richieste
Oggi, invece, i legali della Regione e dei Comuni di Saint-Pierre e di Aosta hanno depositato delle conclusioni scritte, in cui ribadiscono le richieste di risarcimento. Tutti gli enti si sono costituiti parte civile nel procedimento sin dal primo grado, al Tribunale di Aosta, assieme all’associazione Libera, che però persegue, con la partecipazione al giudizio, anche una finalità anche di sensibilizzazione culturale, mirata ad accedere agli atti e a coinvolgere le giovani generazioni sul tema, favorendo lo sviluppo di una coscienza civile.
Arringano i difensori di Prettico, Giachino e Carcea
A seguire, ha arringato l’avvocato Guido Contestabile, difensore di Nicola Prettico (imputato di associazione di tipo mafioso), contestando pure in punta di diritto, cioè sul piano tecnico, diversi aspetti dell’impostazione accusatoria. Quindi, i legali Claudio Soro e Anna Peyron, che assistono Alessandro Giachino (accusato di essere un altro “partecipe” della locale) e Monica Carcea (chiamata a rispondere di concorso esterno nell’associazione), che hanno chiesto di prosciogliere gli imputati alla luce anche dei rilievi mossi dalla Cassazione.
Nell’udienza del 31 gennaio, i sostituti procuratore generale Giancarlo Avenati Bassi e Valerio Longi, al termine di una requisitoria durate circa sette ore, avevano chiesto ai giudici di condannare tutti e quattro gli imputati (andati a giudizio scegliendo il dibattimento ordinario), invocando 10 anni di reclusione per Raso, 8 anni ognuno per Giachino e Prettico, nonché 7 anni per Carcea.
Dissequestrati alcuni beni di Raso
Si è inoltre appreso oggi, a margine dell’udienza, che i giudici torinesi si sono nel frattempo pronunciati nel giudizio “bis” sulla confisca dei beni del ristoratore Raso. In particolare, è stato disposto il dissequestro, con restituzione all’imputato, delle quote di titolarità della pizzeria “La Rotonda” ad Aosta, nonché una quota parte di un alloggio. Tra i beni confiscati si annoveravano anche due autoveicoli e due conti correnti, nonché un’autorimessa.
La discussione si era chiusa lo scorso 15 marzo e aveva visto anche l’effettuazione di una consulenza tecnica per cui la sproporzione reddituale (sulla base della quale era stata adottata, nei confronti del ristoratore, la misura di prevenzione del sequestro preventivo del patrimonio nel 2019, seguita nel 2022 dalla confisca) si attestava su circa 140mila euro nei dodici anni presi in esame (dal 2009 al 2019), rispetto ai 900mila per cui era scattato il provvedimento della Direzione Investigativa Antimafia.
Una perizia di parte, depositata dai legali di Raso, invece non individuava sproporzione. E’, invece, ancora pendente la decisione sull’impugnazione, sempre da parte del ristoratore, della misura della sorveglianza speciale applicatagli all’indomani del coinvolgimento nell’inchiesta su infiltrazioni di ‘ndrangheta.
‘ndrangheta, all’appello “bis” di Geenna l’accusa chiede quattro condanne
31 gennaio 2024
Condannare tutti e quattro gli imputati. E’ la richiesta dei sostituti procuratore generale Giancarlo Avenati Bassi e Valerio Longi, nell’udienza dedicata all’accusa dell’appello “bis” del processo Geenna, sulle infiltrazioni di ‘ndrangheta in Valle d’Aosta, tenutasi mercoledì 31 gennaio, alla Corte d’appello di Torino.
In particolare, al culmine di una requisitoria durata circa sette ore, la Procura generale ha invocato una condanna a 10 anni di carcere per Antonio Raso, a 8 anni ognuno per Alessandro Giachino e Nicola Prettico, tutti accusati di associazione di tipo mafioso, nonché a 7 anni per Monica Carcea, imputata di concorso esterno e unica presente in aula quest’oggi. Sono coloro che, all’udienza preliminare tenutasi nel dicembre 2019, scelsero di essere giudicati con dibattimento ordinario.
Tra i temi toccati dai magistrati della pubblica accusa – oltre alle indagini più datate come Minotauro (sull’infiltrazione mafiosa in Piemonte) e Lenzuolo (la prima in cui vennero raccolti elementi probatori ritenuti eloquenti di un rito di “iniziazione” ‘ndranghetista), l’inchiesta Egomnia, sul presunto condizionamento mafioso delle regionali del 2018, che si è chiusa con un’archiviazione ma che, è opinione dell’accusa, ha scaturito intercettazioni telefoniche ritenute rilevanti sul piano probatorio.
L’accusa ha anche ricordato l’altro ramo processuale, quello degli imputati che hanno chiesto il rito abbreviato, chiusosi con una sentenza di colpevolezza confermata dalla Cassazione e che quindi – è il ragionamento dell’accusa – sancisce l’esistenza della “locale” in Valle d’Aosta e deve quindi contribuire a cristallizzare i fatti di cui sono imputate le quattro persone a giudizio nell’appello “bis”.
La prossima udienza, per la discussione delle parti civili (Regione e Comune di Saint-Pierre, seguite dall’avvocato Giulio Calosso di Torino, il comune di Aosta, con il legale Gianni Maria Saracco, e l’associazione Libera) e dei difensori degli imputati, è stata fissata al prossimo 10 aprile. L’inchiesta Geenna venne sviluppata dai Carabinieri del Gruppo Aosta e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino.
Il “blitz”, con 17 arresti, era scattato nella notte del 23 gennaio 2019. Al giudizio “bis” si è arrivati dopo che gli imputati, condannati nei primi due gradi del giudizio, si erano visti annullare le sentenze a carico il 24 gennaio 2023 dalla Cassazione, che aveva rinviato ad una diversa sezione della Corte d’Appello per un nuovo processo, quello iniziato appunto lo scorso 15 novembre.
Nella prima udienza, la relazione del giudice che ha riassunto il procedimento, quindi il rinvio ad oggi. Per i quattro imputati, il 31 marzo dello scorso anno era scattata la revoca delle misure cautelari (Raso, Prettico e Giachino erano in carcere, mentre Carcea aveva ottenuto i domiciliari). La sentenza d’appello con cui erano stati condannati, secondo la Suprema Corte, andava annullata perché ritenuta viziata da “lacune motivazionali”, soprattutto a proposito della dimostrazione del “collegamento funzionale” della “locale” di ‘ndrangheta aostana con la “casa madre calabrese” e all’enunciazione del programma delittuoso dell’associazione criminale attiva in Valle.
Rispetto a quel processo di appello, non è più in aula l’ex consigliere regionale Marco Sorbara. Già quel giorno, il 19 luglio 2021, era stato assolto (in primo grado, al Tribunale di Aosta, era stato condannato a 10 anni di carcere nel settembre 2020) e la Cassazione ha reso definitiva quella pronuncia, facendolo così uscire dalla scena processuale.
Nel ramo processuale con rito abbreviato, il 20 aprile scorso, la Cassazione aveva confermato le condanne per associazione di tipo mafioso di Bruno Nirta, Marco Fabrizio Di Donato, suo fratello Roberto Alex Di Donato e Francesco Mammoliti. Alcuni di loro, arrestati anch’essi nel 2019, hanno concluso di scontare la pena e sono, nel frattempo, usciti dal carcere.
Per la Suprema Corte, in quel caso, il giudizio svoltosi con rito abbreviato (basato cioè solo sul fascicolo processuale e non sul contradditorio in aula) ha consentito di dimostrare che “la plurisoggettività organizzata (ancorché a ristretta base sociale) di satelliti ‘ndranghetisti traslati in territorio valdostano (anche da più di una generazione) ha ivi replicato (dal 2014) un modello mafioso che si avvale dell’assoggettamento omertoso per controllare un determinato territorio e le attività (lecite o illecite) che in quel territorio hanno luogo”.