La Valle è tra le zone cui i gruppi mafiosi rivolgono le loro “mire espansionistiche”

24 Febbraio 2021

Le mafie tendono “a operare, sempre più, secondo modelli imprenditoriali variabili, calibrati sulla base delle realtà economiche locali”. Una propensione emersa con nitidezza durante il periodo pandemico, quando “le organizzazioni mafiose si sono mostrate capaci di sfruttare le occasioni connesse al bisogno di liquidità del tessuto produttivo e sociale del Paese”. In questo contesto, relativamente alla Valle d’Aosta, la Direzione Investigativa Antimafia ha analizzato, nei primi sei mesi del 2020, 31 operazioni economiche sospette compiute in Valle d’Aosta, “potenzialmente attinenti all’emergenza Covid in atto”.

Il dato è contenuto nella relazione semestrale del Ministro dell’Interno sull’attività e sui risultati della Dia, presentata oggi, mercoledì 24 febbraio, al Parlamento. Restando nel campo della prevenzione dall’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, il documento dà complessivamente conto del monitoraggio, per la nostra regione, di un totale di 48 operazioni economiche, 7 delle quali segnalate per sospette connessioni alla crimine organizzato e 41 derivanti da “reati spia” (quelli che rimandano ad una matrice mafiosa, tra i quali l’impiego di denaro di provenienza illecita, l’usura, l’estorsione, il danneggiamento seguito da incendio ed altri).

Il Pil frena: maggior rischio d’infiltrazione

Quanto all’analisi della situazione della realtà valdostana, la Dia sottolinea come, anche per la Valle, i dati della Banca d’Italia “hanno evidenziato, dopo un biennio positivo, una fase di rallentamento dell’economia a causa dell’emergenza pandemica”. Una frenata della crescita del Pil, “dovuta soprattutto al rilevante calo delle esportazioni nel comparto industriale”, che “espone ancor più questo territorio al rischio di infiltrazione mafiosa”. Al riguardo, nella relazione viene richiamato lo scioglimento del Consiglio comunale di Saint-Pierre, per il verificato condizionamento dell’attività amministrativa da parte della ‘ndrangheta, decretato il 10 febbraio del 2020, ma “già da tempo si era avuta contezza della presenza di insediamenti ‘ndranghetisti in Valle d’Aosta”.

L’inchiesta “Minotauro” della Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, ad esempio, aveva “mostrato chiari segnali sull’operatività di soggetti contigui alle consorterie calabresi Iamonte, Facchineri e Nirta, sebbene all’epoca non venisse accertata la costituzione di locali”. Una presenza che è invece emersa dall’operazione “Geenna”, condotta dai Carabinieri del Reparto operativo trra il 2014 e il 2019, sempre sotto il coordinamento della Procura torinese, culminata, in due diversi filoni processuali tra Aosta e Torino, in sette condanne di primo grado per associazione a delinquere di tipo mafioso e in due per concorso esterno nel sodalizio (da quel filone investigativo erano nati gli accessi antimafia a Saint-Pierre ed Aosta, il secondo conclusosi senza accertare infiltrazioni).

Non solo “Geenna”

Se “Geenna” ha quindi fornito ulteriore conferma della “silente progressione delle consorterie criminali organizzate in Valle d’Aosta”, indicazioni peculiari, dall’analisi svolta, giungono all’antimafia anche dall’operazione “FeuDora” della Guardia di finanza, nella quale era stato arrestato il 27 marzo 2020 il 68enne di San Luca (Reggio Calabria) Giuseppe Nirta, “ritenuto contiguo alla ‘ndrina Nirta” della ‘ndrangheta, che ha poi patteggiato 5 anni di reclusione nel processo che ha coinvolto anche altri sette “pusher” di sostanze stupefacenti “approvvigionate dalla Calabria e dirette alle piazze di spaccio del capoluogo valdostano”.

Per il resto, “non si sono avuti recenti riscontri circa la presenza di soggetti vicini ad altre matrici mafiose”, né si ha “al momento contezza circa la sussistenza di presenze strutturate di criminalità allogena”. Tuttavia, “si registrano talvolta episodi di traffico e di spaccio” di droga “ad opera di cittadini stranieri, in collaborazione con elementi locali” (in merito, vengono ricordate le sette misure cautelari dell’operazione “Pusher Street”, sempre delle “Fiamme gialle”). Infine, come altre zone di frontiera, “anche la Valle d’Aosta costituisce una base di transito per gli immigrati clandestini che tentano di oltrepassare il confine”.

Gli aiuti Covid, una possibile vulnerabilità

Conclusa la disamina del contesto, in termini generali agli occhi della Dia è evidente “che anche l’aostano rientri a pieno titolo fra quelle aree che i gruppi mafiosi hanno eletto quali zone in cui dirigere le loro mire espansionistiche, per ampliare le tipologie di investimento e inserirsi in mercati ove riciclare e reinvestire ingenti capitali illeciti”. Se è quindi manifesta la propensione per gli affari manifestata dalla criminalità organizzata, deve preoccupare che essa passi “attraverso una mimetizzazione attuata mediante il “volto pulito” di imprenditori e liberi professionisti attraverso i quali la mafia si presenta alla pubblica amministrazione adottando una modalità d’azione silente che non desta allarme sociale”.

Un rischio che, in questo momento, si coniuga all’“assegnazione, mediante procedure estremamente semplificate, degli aiuti statali” destinati ai soggetti maggiormente colpiti dalle restrizioni disposte per contenere il Coronavirus. Il rischio è che le mafie “attraverso le proprie imprese si inseriscano nei flussi di assegnazione approfittando di un sistema di controlli ‘labile’”. In fatto di misure economiche Covid, infatti, la Dia annota che “se la semplificazione ha riguardato l’assegnazione dei finanziamenti”, il sistema dei controlli preventivi “non ha avuto un parallelo adeguamento rimanendo ancorato alle procedure ordinarie difficilmente applicabili nei casi attuali”.

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