Nel 2019 analizzate dall’antimafia in Valle 124 operazioni finanziarie sospette
Nell’ambito delle attività di prevenzione al riciclaggio di denaro, la Direzione Investigativa Antimafia, nella seconda metà dell’anno scorso, ha approfondito in Valle d’Aosta quarantaquattro operazioni finanziarie segnalate come sospette. Per cinque di queste l’“alert” scattato era attinente alla criminalità organizzata, mentre per le restanti trentanove derivava da “reati spia”, tra i quali rientrano usura, estorsione e danneggiamento seguito da incendio. Assieme a quelle dei primi sei mesi, sono in tutto 124 le analisi di movimentazioni nel sistema finanziario valdostano analizzate dalla struttura diretta dal generale Giuseppe Governale.
Il dato emerge dalla relazione, presentata negli scorsi giorni, del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese al Parlamento sull’attività svolta e i risultati conseguiti dalla Dia nel secondo semestre 2019, in cui lo spazio dedicato alla Valle d’Aosta (citata 62 volte nelle 888 pagine del documento) è in ascesa costante nelle ultime edizioni. Ciò è dovuto prevalentemente alle operazioni “Geenna” (per la quale sono arrivate venerdì le prime condanne ed un altro filone processuale è in corso) ed “Altanum” (con il proceidimento che entrerà nel vivo il prossimo settembre), condotte lo scorso anno dalle Dda di Torino e Reggio Calabria su infiltrazioni di ‘ndrangheta nel contesto valdostano, e ai loro successivi sviluppi.
Consapevolezza non matura delle infiltrazioni
Nel capitolo sulle proiezioni della criminalità organizzata sul territorio nazionale, la Direzione torna a sollevare che “da tempo si ha cognizione dell’insediamento di consorterie criminali di matrice ‘ndranghetista in Valle d’Aosta” (il riferimento è alle evidenze investigative, in primis dall’operazione “Minotauro” del 2011, che “hanno evidenziato la presenza di soggetti contigui ad alcuni gruppi calabresi, quali gli Iamonte, i Facchineri o i Nirta”), ma “non sempre una matura consapevolezza istituzionale e sociale ha accompagnato obiettivamente questo marcato fenomeno di infiltrazione”.
Da “Geenna” una “forte presa di coscienza”
Però, una “forte presa di coscienza circa la presenza ‘ndranghetista in regione si è avuta lo scorso anno con l’operazione ‘Geenna’”, dei Carabinieri del Reparto operativo, “che ha dato conto dell’operatività di un locale di ‘ndrangheta ad Aosta” (aggiuntosi ad altri 42 segnalati nel nord-ovest: 25 in Lombardia, 14 in Piemonte e 3 in Liguria). L’inchiesta risulta “strettamente connessa alla successiva operazione ‘Altanum’”, conclusa ancora dall’Arma il 17 luglio 2019, tra la Calabria, Aosta e la provincia di Bologna. Da essa – si legge nella relazione “sono emersi i forti condizionamenti criminali della cosca Facchineri e dei membri del ‘locale’ di San Giorgio Morgeto ‘nelle dinamiche politiche ed elettorali, tanto in Valle d’Aosta quanto in Calabria’”.
Il “terremoto politico” dopo “Egomnia”
Al riguardo, il documento ricorda come “Geenna” abbia avuto un seguito nel mese di dicembre 2019, con l’inchiesta “Egomnia”, a tutt’oggi aperta e che “ha comportato una sorta di ‘terremoto politico” in Consiglio Valle, “provocando le dimissioni di esponenti politici regionali, indagati per scambio elettorale politico-mafioso, per aver ricevuto, nel 2018, un appoggio elettorale da parte del ‘locale’ di Aosta”. Non manca poi il riferimento, tra i riverberi delle inchieste della Dda di Torino, allo scioglimento dei comuni di San Giorgio Morgeto (Reggio Calabria) e Saint-Pierre, tra i 57 enti in Italia andati incontro a questo destino tra il 2019 e l’inizio dell’anno in corso (numero più rilevante dal 1991).
Lo scioglimento di Comuni
Il provvedimento che ha colpito l’ente valdostano, oltre ad essere “il primo in assoluto” per la nostra regione, “tenuto conto, tra l’altro, della marcata distanza tra il territorio valdostano e la casa madre delle consorterie criminali”, viene ritenuto “di particolare interesse proprio perché significativo del profondo livello di infiltrazione mafiosa che il Comune ha subito”. Non solo, perché sia nell’amministrazione valdostana sciolta, sia in quella sangiorgese, “sono state riscontrate infiltrazioni della stessa cosca di ‘ndrangheta” e ciò fa sì che “le dinamiche mafiose” che hanno coinvolto ognuno dei due enti s’intreccino, evidenziano una permeazione criminale del comparto pubblico del centro-nord, “con modelli e schemi sostanzialmente invariati rispetto alle condotte registrate nelle regioni di elezione”.
I beni confiscati in Valle
Se non si registrano, per il secondo semestre consecutivo, accessi di controllo a cantieri in corso, la relazione semestrale dà quindi conto di come l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata abbia in corso, in Valle d’Aosta, le “procedure per la gestione di 24 immobili confiscati, mentre altri 7 sono già stati destinati”. Sono altresì in atto i passi per la “gestione di un’azienda”. Le prevalenti tipologie di beni sottratti alle mafie in Valle sono “immobili con relative pertinenze (box, autorimesse, posto auto), terreni e imprese edili”. Tutto ciò, porta la Dia a concludere come “anche in Valle d’Aosta i gruppi mafiosi tendano a proiettare le proprie mire per ampliare le tipologie d’investimento e per inserirsi in mercati dove riciclare e reinvestire capitali illeciti”.
Traffico di droga e di vite
Quanto, infine, ad altri fenomeni monitorati dalla Direzione, “sul territorio valdostano non si ha contezza di presenze strutturate di criminalità di matrice straniera”, tuttavia si registrano “episodi di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti ad opera di cittadini stranieri, in collaborazione con elementi locali”. Al riguardo, viene ripreso l’arresto del 9 settembre 2019, effettuato dal Gruppo Aosta della Guardia di finanza al traforo del Monte Bianco, di un lettone ed un romeno, passeggeri di un bus di linea Parigi-Milano, “che trasportavano oltre 10 chilogrammi di eroina”.
Inoltre, nella stessa sezione, il documento dà conto dell’operazione “Connecting Europe” della Squadra Mobile della Questura di Aosta con il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, chiusa il 7 novembre 2019 con una misura restrittiva nei confronti di sei cittadini iracheni, “ritenuti responsabili della costituzione di un’associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. L’indagine aveva preso spunto da arresti effettuati all’inizio di quell’anno sempre al traforo del Monte Bianco.