Siamo donne, cosa possiamo fare? Si è concluso così, nel pomeriggio di ieri, l’evento “L’altra faccia delle donne”, tenutosi nel salone dell’Hotel des Etats ad Aosta, con cinque racconti esclusivamente al femminile in onore dell’8 marzo, giornata internazionale dei diritti delle donne.
Antonia, la dottoressa
La prima a prendere la parola è stata la dottoressa Antonia Billeci, medico chirurgo e specialista in neurologia. A diciott’anni, dopo aver frequentato il liceo scientifico, ha avvertito la passione per la medicina, spinta da un forte desiderio di aiutare il prossimo. La sua idea era quella di laurearsi in medicina e rientrare a Lampedusa, il suo paese di origine, per assistere i suoi concittadini. Così un giorno parte per Genova.
“Sono stata fortunata perché non sono una delle donne che ha sofferto, sono stata libera dall’inizio e ho avuto la fortuna di avere dei genitori fantastici. Mia mamma ha sempre avuto una forza, una libertà e un’indipendenza che mi hanno sempre spianato la strada”, ha spiegato. Anche il padre è sempre stato molto presente, l’idea del patriarcato non non è mai esistita nella sua famiglia e i genitori l’hanno sempre sostenuta nelle scelte, anche nell’idea di partire a 18 anni. “Grazie a loro sono diventata la donna libera e indipendente che sono, ho sempre viaggiato da sola. Mi sono Laureata a Genova, e non avendo avuto la possibilità di entrare in specializzazione sono partita a Perugia e mi sono specializzata in neurologia”. Grazie ad una borsa di studio la dottoressa Billeci ha fatto anche un dottorato di ricerca: biologia e fisiopatologia vascolare e così ha cominciato a lavorare in un centro ictus, composto da sei persone, 4 uomini e 2 donne.
Successivamente è giunta in Valle D’Aosta e finalmente ha trovato la sua felicità. “Mi è stato permesso di lavorare in modo totalmente indipendente e al fianco di colleghi con i quali non facciamo alcun tipo di distinzione. Ho ottenuto anche un incarico di alta specializzazione per la violenza di genere e sono referente aziendale e regionale della violenza di genere. Io mi sento libera, indipendente e molto forte. Spero di poter trasmettere con la mia forza il lavoro che facciamo e aiutare molte donne ad uscire dal tunnel di violenza dando un riferimento per il futuro”. Questa la sua conclusione, per poi lasciare la parola a Barbara Biasia, socia onoraria della Società italiana di Estetica Professionale e Sociale Italia e scrittrice.
Barbara, in viaggio oltre il cancro
Barbara è nata a Parigi, in Francia dove ha vissuto per 17 anni, finché non ha dovuto trasferirsi in Italia assieme al padre. Subito non ha accettato di cambiare così velocemente. “Per me è stato un trauma, soprattutto perché volevo andare avanti con gli studi”, ha spiegato. “Questo cambiamento ha fatto sì che io sbagliassi il tipo di scuola, che poi ho lasciato perché non sono riuscita a fare ciò che volevo. Adesso purtroppo faccio facilmente un miscuglio tra francese e italiano e per questo ero molto arrabbiata con mio papà”.
Quando si è sposata, Barbara è andata a vivere un paesino ancora più piccolo, a Planaval sotto Valgrisenche, e adesso non tornerebbe più a Parigi se non per le vacanze. Nel 2009 però la sua vita è cambiata, perché scopre un cancro al seno. “Io ero molto precisa sulla prevenzione e prenotavo per tutti i miei amici e famigliari, e grazie a questa prevenzione ho scoperto di avere qualcosa che non andava. Sul momento sono scoppiata a piangere e ho pensato ai miei bambini. Il mio ultimo giorno di radioterapia mi si sono persino gonfiati il braccio e la mano, ho dovuto portare il guanto e il bracciale e ho scoperto di aver fatto anche un’intossicazione di chemio. Non riuscivo più a guidare, non camminavo bene e ho avuto un problema agli occhi”.
Nel 2016, quando tutto sembrava finito, Barbara ha avvertito un altro grande dolore al braccio che il medico ha associato subito alla fibromialgia e poi alla depressione, ma il male sembrava non scomparire. Grazie ad un’ecografia ha scoperto di essere diventata metastatica e di non essere mai del tutto guarita. “Quando lo dicevo a chi mi era vicino piangevano tutti, ma non vuol dire che devo morire anzi sono ancora qui dal 2016 grazie alla mia prevenzione”. Dopo la diagnosi è andata più volte a camminare con un’amica e piano piano la sua condizione è migliorata, tanto che è riuscita a togliere il bracciale e il guanto che teneva ormai da tantissimo tempo. Questo suo grande viaggio Barbara Biasia lo ha trasformato in un libro e tutto il ricavato è andato alla LILT, all’associazione V.I.O.L.A e anche all’estetica oncologica e la dermopigmentazione, perché tutte le donne sono fatte per sentirsi belle.
Titti, la politica come passione
È arrivato poi il turno di Clotilde Forcellati, assessore alle politiche sociali abitative e alle pari opportunità del Comune di Aosta, nata in un paese di mare a Finale Ligure, più conosciuta come Titti. A soli nove mesi si trasferì con la famiglia a Morgex, adattandosi e coltivando, oltre al piacere del mare, anche quello della montagna. Si è diplomata al liceo classico, ed ha frequentato l’università e tutto con molta fatica, ma non a causa dello studio, perché quella è sempre stata una sua grande passione, ma a causa di tutto il tempo in cui ha dovuto lottare con il padre che non ha mai capito che lei voleva essere una donna libera. Prima di tre figlie femmine, quella libertà se l’è dovuta conquistare un pezzettino ogni giorno.
“Quando sono nata mio padre aveva già deciso cosa io avrei fatto: sarei dovuta essere brava a scuola, andare al liceo classico e iscrivermi a giurisprudenza perché lui l’aveva fatta e io dovevo fare come lui. Allora io alla fine del liceo gli ho fatto capire che non mi interessava. Ho fatto i miei studi, prima biologia e poi psicologia, incontro il mio primo marito e deciso di andarmene a vivere da sola”, ha detto. “Mio padre mi ha trasmesso due passioni: lo sci e la politica e la politica è tuttora una mia grande passione.”
Grazie al sostegno dei suoi amici e della sua famiglia, Clotilde ha ricoperto per 10 anni il ruolo di consigliera e tesoriera del Consiglio dell’Ordine professionale cui era iscritta. “Ho imparato come si fa politica, ma la politica ancora oggi non è un ruolo riconosciuto e desiderato da tante donne e questo è un dolore, perché è una delle cose più belle che ci siano. È appassionante poter lavorare per la propria comunità e capire come funzionano le cose, farsi carico di battaglie che altri o altre non riescono o non posso portare avanti, ma che sentono. Tutto funzionerà quando saremo consapevoli di volercela fare”.
Anna, avvocata a fianco delle vittime di violenza
L’avvocata Anna Ventriglia e presidente del Centro donne contro la violenza di Aosta, ha poi cominciato il suo intervento specificando quanto fosse importante per lei parlare di donne. Arrivata dalla provincia di Napoli e nata in una famiglia patriarcale è la terza figlia femmina ed è cresciuta in quella che è l’educazione patriarcale che, specifica Ventriglia, non è diversa da quella che vede oggi nei giovani. Nella sua famiglia l’idea principale era quella che bisognasse studiare senza poter pensare diversamente e per le donne bisognava aggiungere anche la questione del matrimonio e dei figli.
“Da un lato mio padre mi ha sempre educata ad un’indipendenza economica, ma dall’altro io dovevo essere moglie e madre, tanto è vero che nei primi tempi io mi presentavo così e non solo come avvocato. Quindi anche la mia attività è stata condizionata da questo e all’inizio non ci ho nemmeno mai riflettuto”. L’avvocata ha raccontato anche di tutte le molestie subite sui mezzi di trasporto durante il suo periodo di studi e dei sensi di colpa che scaturivano in lei, ma anche di come venisse trattata diversamente nella sua quotidianità.
“Quando mi sono laureata ero io e un collega di studio, entrambi eravamo praticanti e con la stessa competenza professionale. Quando entravamo nelle cancellerie del tribunale lui era già avvocato anche senza aver sostenuto l’esame, io ero la segretaria di studio. Tutto questo me lo sono portata dietro con un enorme senso di disagio”.
Dopo una serie di vicissitudini personali Anna si è trasferita al nord, prima Milano e poi ad Aosta e lo spostamento l’ha resa più forte. “Ho cominciato a ragionare e ho iniziato a pensare che questa realtà io non la potevo più sostenere. Così ho iniziato ad affacciarmi al femminismo, dovevo studiarlo e capirlo perché non riesco ad improvvisarmi nelle cose. Da avvocato sono diventata pian piano avvocata. Mi sono affacciata poi alla mediazione familiare e alla violenza di genere. Mi sono sempre resa conto che c’era un divario tra donne e uomini, non c’è la parità che purtroppo teniamo solo sulle carte, ma in realtà le statistiche ci dicono che la raggiungeremo tra molti anni e significa che neanche i figli dei miei figli potranno vedere questa parità”.
Dopo il master all’università statale di Milano, Ventriglia ha cominciato ad avere a che fare con avvocate e colleghe di tutti i centri antiviolenza nazionali e poi ha pensato di portare queste esperienze in Valle d’Aosta. Oggi si occupa di diritto di famiglia e guadagna il 30% in meno di un collega uomo. “Combatto tutti i giorni per avere la parità. Ogni anno aumentano le donne che si rivolgono al centro e abbiamo racconti indicibili”.
Simona, istruttrice di Pole dance
L’ultima a raccontare la sua storia è stata Simona Spataro, istruttrice di Pole dance e una delle più famose Dancer d’Italia. Figlia degli anni ’90, l’istruzione non le è stata permessa a causa del bullismo. Ha continuato ai 18 anni, quando ha lasciato la scuola.
“Nonostante tutto sono anche io figlia del patriarcato, tante cose le ho subite tante cose le ho sentite e quello che mi viene da dire è che scrostarsi di dosso il patriarcato non è una cosa semplice e ci vuole molta esperienza”, ha spiegato Simona, che dopo l’abbandono della scuola ha iniziato a lavorare, prima come babysitter e poi in un negozio di moda a Courmayeur.
“Ero molto giovane e avevo voglia di imparare, ma mi rendevo conto di quanto fosse losco anche il mondo della moda”. Infatti Simona ha raccontato di aver subito, per quanto in maniera molto velata, delle avance dal direttore commerciale, un uomo molto affascinante ma che aveva l’età del padre. “Ovviamente le ho rifiutate e mi sono costate quello che è stato l’essere presa di mira. Ero stanca di stare in quel posto dove non ero vista come un essere umano. Quindi ho mollato tutto, ho fatto un viaggio e poi sono tornata ad Aosta”. È in questo periodo che ha conosciuto l’ambiente della Pole Dance nel 2014.
“Da ex ginnasta me ne innamorai follemente, iniziai il percorso e cominciai a studiare per diventare istruttrice. Non ero discriminata per il mio fisico o per come mi vestivo, tutto quello non esisteva più”. Dopo qualche anno Simona ha anche iniziato a fare gare, approcciandosi alla competizione e così ha scoperto che tutti parlavano di Pole Dance, cosa che in Valle D’Aosta non era contemplata.
“Le lapdancer sono le mie nonne, le donne che lavoravano negli strip club sono le nostre pioniere. Noi abbiamo semplicemente modificato il loro approccio alla pratica. All’inizio quando mi dicevano ‘fai la Stripper’ me la prendevo, perché credevo che la donna dovesse essere vista in un certo modo, bella e impostata. La Pole dance mi ha fatto capire che il mio corpo ha una potenza molto diversa e ha sradicato qualsiasi mia vecchia convinzione. Io non lo facevo per un uomo, lo facevo per me”. Simona oggi ha creato la sua scuola.
“Il mio ruolo è diventato accogliere le donne in un modo diverso. A Pole Dance Aosta ho creato un luogo sicuro dove poter ospitare le ragazze e ne sono molto fiera. La mia scuola è tutta bianca e loro la colorano con i loro vestiti e i loro tacchi a spillo. Possono essere quello che vogliono. Quando vedo entrare persone nuove le osservo fino alla fine. All’inizio a malapena si guardano allo specchio, magari indossano pantaloni a pinocchietto poi iniziano a guardarsi intorno e la rassicurazione la trovano anche tra le ragazze che vanno a lezione. Ma la cosa bella è che il pinocchietto diventa uno short e lo short diventa una mutanda. Capiscono che non devono avere vergogna del loro corpo e che può essere un mezzo per salire sempre più in alto e questa cosa se la portano anche fuori dalla palestra, perdendo ogni insicurezza. Il mio augurio per tutte le donne è di sentirsi al sicuro come mi sento al sicuro io tra le mura che ho creato”.
Durante l’incontro Alexine Dayné di Framedivision, ha recitato delle poesie da lei appositamente scelte, prese dall’antologia di Spoon River, una collezione in versi liberi di Edgar Lee Masters del 1915, catturandone il profondo significato e associandolo alle esperienze di vita che le cinque donne hanno raccontato.
L’evento si è chiuso tra gli applausi e le lacrime commosse delle donne e degli uomini che hanno partecipato. Un pomeriggio ricco di storie che fanno riflettere e che lasciano il segno, e che spronano ad andare avanti verso un futuro di cambiamento.