Ho occasionalmente avuto modo di sfogliare una pubblicazione – curata ed edita da Rudy Sandi, dottore in scienze agrarie – che ripropone il saggio "Sulle viti e sui vini della Valle d’Aosta", scritto nel 1836 dallo studioso piemontese Lorenzo Francesco Gatta, e che contempla ulteriori approfondimenti e riflessioni dell'autore.
La pubblicazione si distingue sotto più aspetti: intanto si tratta di un libro auto editato, scelta già adottata da altri autori ma di certo non frequente nella nostra regione, ma, soprattutto, è interessante – ed encomiabile – la decisione di divulgare un testo che risale a quasi due secoli fa e che dimostra come la viticoltura valdostana non sia storia recente, anzi gli ultimi trent'anni che hanno visto la crescita straordinaria dei vini valdostani e la loro affermazione a livello nazionale e internazionale – sicuramente il contributo dell'Institut Agricole Régional e dell’Assessorato all'agricoltura è stato prezioso e determinante – per certi aspetti possono essere definiti non il punto d'arrivo ma una tappa di un percorso che può regalare ancora molte soddisfazioni ai viticultori valdostani.
“Nutre la Valle d’Aosta parecchie specie di vitigni che colle loro varietà, tra quelle di colore e le bianche, possono forse salire alle cinquanta… Il maggior numero adunque delle viti sono colorate, e danno vini comuni: delle bianche, alcune servono ai vini di lusso, altre sono da uve mangerecce, e finalmente alcune poche sono ancora educate là dove l’altezza del luogo, e l’asprezza del clima si mostrano nemiche a quelle di colore…”
Il Gatta, medico canavesano appassionato di ampelografia (disciplina agraria che descrive i differenti vitigni e li classifica secondo determinati criteri sistematici), redige un testo in cui al rigore scientifico si accompagnano valutazioni personali e pure "proposte di miglioramento nella coltura della vite, nella fabbricazione e nel governo dei vini".
Ho trovato particolarmente suggestivo il capitolo "Vini di lusso: modo in cui si fanno", dedicato al "Torretta di San-Pietro", alla "Malvagia d'Aosta", ai "Moscadello e Chiaretto di Ciambava": la descrizione accurata – e allo stesso tempo pregevole da un punto di vista squisitamente letterario – delle uve e della produzione dei vini è un inno alla cultura enoica.
Al saggio del Gatta seguono gli approfondimenti di Rudy Sandi, che dedica alcuni capitoli della pubblicazione alla figura dello studioso e all'importanza e agli influssi della sua opera nel panorama scientifico dell'Ottocento; in un'ulteriore ricca sezione inerente a tradizioni, usi, norme e risvolti culturali e medici legati alla coltura delle uve in Valle d'Aosta nel corso dei secoli, tra gli argomenti trattati, risulta particolarmente interessante il capitolo: "Ascesa, fasti e crisi dell'antica cultura enoica valdostana".
La lettura di "Sulle viti e sui vini della Valle d’Aosta" non è solo un'ottima occasione per conoscere la storia della viticoltura valdostana, ma è pure un'opportunità di cogliere spunti di riflessione dalle conclusioni maturate dall'autore in merito al futuro della viticoltura valdostana.