Ai funerali di Claudio Brédy un fiume di persone saluta lo dzignolèn che amava la montagna

Nell’omelia del parroco Don Nicola Corigliano, e nelle parole di amici, parenti e colleghi, il ricordo del 53enne scomparso a Cogne, sempre desideroso di “guardare, forse con gli occhi di un bambino, la realtà che lo circondava”.
Tanta gente a Gignod per l'ultimo saluto a Claudio Brédy.
Cronaca

Posi lo sguardo sul piazzale della chiesa di Gignod, dove per l’ultimo saluto a Claudio Brédy si è riversato un fiume di persone, salito qui camminando sin dall’uscita delle gallerie sulla Statale del Gran San Bernardo, e tutto, non solo il luogo e i suoi toponimi, ti parla di montagna. Dal cappello da Alpino posato sulla bara, al mazzo di fiori chiari accanto al copricapo con la penna, passando per gli stendardi degli sci club e per la foto vicina al registro su cui, in tanti, asciugandosi le lacrime, o tradendo una smorfia di doloroso disappunto, lasciano un pensiero, o solo il loro nome. 

Non potrebbe essere altrimenti. La montagna, per chi è nato e vissuto in una valle come quella che s’inerpica fino al confine con la Svizzera, è ben più di una condizione geografica. Arriva a rappresentare uno stato d’animo, che Brédy ha portato costantemente in sé, con la discrezione che tutti oggi gli riconoscono come cifra distintiva, senza rinunciare però a coniugarlo in vari tempi e modi. Da quelli più personali, con la formazione da agronomo e i viaggi in terre lontane, a quelli collettivi, da Sindaco di Gignod, dirigente dell’Amministrazione regionale ed esponente politico dell’autonomismo valdostano.

Mondi che, prendendo forma dalle parole pronunciate da don Nicola Corigliano, parroco che ha celebrato il rito funebre, attorniato da altri sacerdoti, e da parenti, amici e colleghi, hanno composto un puzzle attraversato da quella volontà di “guardare, forse con gli occhi di un bambino, la realtà che lo circondava”. Quasi una missione, per il 53enne scomparso lo scorso fine settimana, cadendo in un dirupo sul Mont Seuc, a Cogne. “Forse proprio anche per questo – ha aggiunto l’officiante, dando voce ad un pensiero che nessuno oggi osava esprimere – è stato, diciamocelo, un pochettino imprudente”.

Sabato 26 agosto, nel pomeriggio, Brédy era partito dalla casa ai piedi del Gran Paradiso, con la sua macchina fotografica, facilmente a caccia di “scatti” naturalistici, una delle numerose declinazioni del vivere la montagna che lo appassionavano. “Guardate gli uccelli nel cielo e lui forse andava a cercarli proprio anche nel luogo dove nidificavano, non è forse così? – ha continuato Don Corigliano – Guardate i fiori del campo. Un’anima curiosa, amante della vita e le sue foto, istantanee di un’esistenza, esprimono emozioni, sentimenti. Non soltanto impressi sulla carta, ma nella carne e nel cuore”. 

Per il parroco, “istantanee che rimangono indelebili, quasi marchiate a fuoco sulla vita di ognuno di voi”. Brédy “cercava la bellezza” e a quel punto il sacerdote cita Dostojevski, che “direbbe: è la bellezza che salva il mondo. La bellezza che salva l’animo e la bellezza che ama salvarlo”. Una dimensione in cui si sono ritrovati perfettamente tutti coloro che si sono avvicendati all’altare, prima che il feretro lasciasse la chiesa verso il cimitero, per contribuire al mosaico di ricordi, completandolo nelle tante “facettes” distintive dello dzignolèn che ha radunato tanta Valle d’Aosta per salutarlo. 

Anzitutto, gli amici, che hanno evocato i viaggi “insieme, o attraverso i tuoi racconti”, l’orgoglioso sostegno “nei tuoi successi culturali, o nel tuo percorso politico”, “parlando e scrivendo spontaneamente in patois”, e le discussioni animate ”che accendevano il tuo spirito critico nei confronti di una società che volevi migliore”. Il tutto, suggellato dalla promessa “all’invincibile Zagor” ed a “petit Claude”, a seconda del gruppo di compagni, di prendersi cura “dei nostri numerosi ricordi”.

Poi, il sindaco Gabriella Farcoz, che ha ricordato dapprima lo sgomento della comunità per la notizia ricevuta lunedì mattina, “pesante come un macigno, lacerante come una lama”, e in seguito la condivisione con Brédy di tante pagine di gioventù e di “quindici anni in Comune, al lavoro per il nostro amato” paese. “Tu c’eri – ha detto, la voce rotta dai singhiozzi – Una telefonata, un messaggio, per chiederti un aiuto, un consiglio, un parere. Tu c’eri. Mi davi le risposte. Disponibile, cortese, discreto. Come sempre”.

Quindi, l’affetto e la vicinanza alla famiglia (la moglie Angela con il figlio Davide, e le figlie Francesca e Linda) e, in conclusione, i pensieri dei colleghi dell’assessorato all’Agricoltura (“ci siamo salutati distrattamente, come ogni venerdì, pensando al fine settimana e agli impegni di lavoro da ultimare in questi giorni, dando per scontato che ci saremmo rivisti, ma tu sei partito per un altro tuo viaggio”), di una parente (che ha sottolineato quanto il dantesco “seguire virtute e canoscenza” calzasse a pennello allo scomparso) e delle “penne nere”, che hanno letto la preghiera dell’Alpino. Un caleidoscopio di emozioni, quelle che gestire in casi del genere, come ha scandito don Corigliano all’inizio della sua omelia, “diventa acrobatico”.

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