“Traditi e poi salvati da una corda”, il racconto dei due alpinisti spagnoli salvati sul Cervino

Dopo essersi riscaldati e rifocillati, gli alpinisti spagnoli di 37 e 52 anni, hanno raccontato agli uomini del SAGF quanto è accaduto scendendo dalla vetta della Gran Becca. La morte del compagno Antonio Velez, 46enne, causata da una caduta.
I soccorritori sul Cervino
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Rifocillati e, al sicuro della caserma del Soccorso Alpino della Guardia di Finanza del Breuil, i due alpinisti spagnoli, 37 e 52 anni, provenienti dalla zona di Grenada (in Andalusia, nel sud del Paese), hanno spiegato – agli uomini che assieme alle guide del SAV li hanno recuperati stamattina – quanto è accaduto tra la vetta del Cervino e la base della scala Jordan negli scorsi giorni. Eventi costati la vita al loro compagno di cordata Antonio Velez, anche lui della stessa zona, 46 anni.

La cordata, composta da amici che la passione per la montagna ha fatto incontrare in passato, raggiunge la vetta mercoledì scorso, 30 agosto. Poco dopo aver iniziato la discesa, sulla Scala Jordan, attorno a 4.400 metri, percorrendo un tratto in “doppia”, la corda s’incastra. E’ in quel momento che chiedono aiuto, chiamando il 112. L’elicottero tenta di raggiungerli, ma il maltempo impedisce di completare l’operazione. Con il passare delle ore, vedendo avvicinarsi l’imbrunire, gli alpinisti decidono di tentare di uscire dall’impasse da soli. Tagliano la corda e restano, a quel punto, con uno spezzone più corto del necessario.

Con ciò che resta si legano in fila, a una quindicina di metri l’uno dall’altro. Alla base della Scala Jordan, vi è un cambio di direzione, poi inizia una corda fissa in parete. Il primo di loro scende e si imbraga: la roccia gli copre quindi la vista degli altri. Il secondo imbocca la guida in parete. Il terzo, tra la Jordan e il canapone che segue, perde l’equilibrio, probabilmente scivolando, e cade per una ventina di metri

Nel precipitare, tende improvvisamente il tratto che lo lega al compagno, che finisce impigliato nella corda fissa. Questi, con grande sforzo, riesce a liberarsi. Ai finanzieri racconta di aver chiamato più volte l’amico, una volta ritrovato l’equilibrio, provando anche a tirare a sé il capo che li univa, ma invano: non riceve alcuna risposta. Prende quindi una di quelle decisioni cui la montagna, a volte, confronta gli alpinisti: taglia il cavo.

I due superstiti, emotivamente provati e con i cellulari ormai scarichi e quindi irraggiungibili, continuano la discesa. Trovano, lungo la via, una corda abbandonata da un altro gruppo. Alle “Fiamme Gialle” comandate dal maresciallo Massimiliano Giovannini spiegano che si è trattato della loro fortuna: “non avevamo più di quindici metri, insufficienti per andare avanti”. Dormono in parete, nella zona della Gran Corda, mentre vento e piogge continuano a flagellare la montagna, poi proseguono ed arrivano, stremati, nel primo pomeriggio di ieri, giovedì 31, alla capanna Carrel, a 3.830 metri. Si riprendono, poi la drammatica chiamata radio alla centrale del Soccorso Alpino Valdostano, in cui comunicano l’accaduto.

Ieri sera, i primi tentativi di andarli a prendere in elicottero, ma le nuvole non vogliono saperne di lasciare la Gran Becca, quindi altre prove stamane, poi la squadra di terra mista SAGF/SAV che li raggiunge a piedi al rifugio e li accompagna in parte della discesa, finché riescono a salire su “Sierra Alfa 1”, che atterra a Cervinia. Un medico li visita, trovandoli in discrete condizioni di salute. Sono però profondamente scossi per la perdita del compagno ed ammettono ciò che rappresenta il vero nemico di molti alpinisti in difficoltà: in circostanze del genere, la lucidità ed il senso del tempo vengono meno. 

In conclusione, riconoscono che “se fossimo rimasti lassù ad aspettare, non ce l’avremmo fatta nemmeno noi due”. Doloroso, visto lo sviluppo degli eventi, ma è il dato dal quale potranno ripartire, una volta tornati a casa. Il SAGF, non appena le condizioni meteo torneranno positive e stabili, cercherà di effettuare il recupero del cadavere del loro compagno.

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