Dalla settimana scorsa, ma la notizia è trapelata oggi, il cadavere semi-carbonizzato ritrovato a Le Ferreun di Fénis il 19 agosto di quest’anno ha un nome. E’ contenuto nelle carte della Brigata criminale della polizia francese: si tratta di Jean-Luc D., 52 anni, informatico e celibe, residente a Lione, nel quartiere della Croix-Rousse, sulla collina della città.
L’identità della vittima, come racconta il quotidiano “Le Progrès”, è emersa a seguito della confessione della donna finita sotto inchiesta con l’accusa di averlo ucciso: Anaëlle Prunier, 22enne originaria di Gex, nel Dipartimento dell’Ain. Per gli inquirenti d’oltralpe, una personalità complessa, capace di interpretare più personaggi allo stesso tempo.
Una brava ragazza agli occhi dei suoi genitori, ma anche una donna sposata con rito religioso, pronta a partire per il Marocco, e, ancora, una cameriera a Ginevra, che non disdegnava di arrotondare le sue entrate con “extra” da escort. Una fonte della polizia francese descrive come “parecchio incredibile” la sua abilità nel porre confini invalicabili tra le varie “maschere umane” di volta in volta indossate, senza che nessuno accanto a lei arrivasse a nutrire il minimo sospetto.
Tutt'altro che sospettabile è, in effetti, lo sfondo del delitto: Jean-Luc è stato ucciso con due coltellate durante un incontro sessuale dedicato a pratiche sado-maso, avvenuto a Divonne-les-Bains, località termale francese a pochi passi dal confine svizzero. La donna ha sostenuto, nell’interrogatorio dinanzi alla polizia giudiziaria, di essersi difesa di fronte a un partner troppo violento e umiliante.
Ha altresì ammesso di aver trasportato il cadavere, per disfarsene, a bordo della Peugeot 306 dell’informatico, fino alla Valle d’Aosta. Gli inquirenti procedono nei suoi confronti per “sequestro seguito da morte”, crimine che ritengono commesso “in banda organizzata” e, ad oggi, i riscontri al racconto della donna non mancano. Anzitutto, il suo telefono cellulare, e quello della vittima, hanno agganciato la stessa cella, nel giorno (e nel luogo) in cui l’omicidio sarebbe stato consumato.
Quindi, gli accertamenti successivi hanno confermato il passaggio dell’utilitaria nel tunnel del Monte Bianco e, infine, la vettura della vittima è stata ritrovata a Oyonnax, altra località dell’Ain. L’indagine d’oltralpe ha preso il via con la denuncia, da parte dei parenti, della scomparsa di Jean-Luc, risalente al 16 agosto. Dopo una vacanza in Savoia, doveva riprendere il lavoro e restituire delle chiavi alla famiglia, ma non lo ha fatto. In più, da quel giorno, il suo telefono cellulare ha smesso improvvisamente di funzionare, ma i prelievi dalla sua carta bancaria sono continuati.
Gli agenti della Brigata criminale hanno visionato i video delle telecamere installate su alcuni sportelli automatici e vi hanno notato un volto vistosamente truccato, ricondotto ad una giovane donna con cui lo scomparso si accompagnava. Sono così arrivati a Anaëlle, che aveva attivato un abbonamento telefonico mobile usando un nome dell’est europeo ed aveva ancora con sé, quando la Police l’ha fermata, il Bancomat del malcapitato.
Sei persone vicine alla ragazza sono state ascoltate dagli inquirenti francesi, senza risultare coinvolte. Una di queste ha raccontato di averla sentita “in preda al panico”, in una telefonata risalente ad agosto, nella quale aveva raccontato di aver commesso “una grossa fesseria”. Per la polizia di Lione, tuttavia, restano da chiarire alcuni lati oscuri del racconto.
Il Monte Bianco funge da spartiacque della vicenda, non solo geografico, ma anche giuridico. Nell’attesa delle conferme scientifiche sul fatto che il cadavere rinvenuto in media Valle attorno alle 7.30 di sabato 19 agosto scorso sia effettivamente quello dell’informatico lionese (forse scontate, a seguito della confessione, ma comunque da acquisire), se la 22enne non ha negato l’omicidio, commesso peraltro in territorio francese e quindi perseguibile da parte delle autorità di quel Paese, quanto accaduto in Italia configura i reati di occultamento e distruzione di cadavere, ancora da approfondire in alcuni aspetti.
Sul macabro ritrovamento, avvenuto in una radura a pochi metri dall’incrocio tra il torrente Clavalité e il canale Saint-Clair, sono al lavoro i Carabinieri del Reparto investigativo di Aosta, coordinati dal pubblico ministero Eugenia Menichetti. Sul corpo, quasi interamente bruciato e con una mano pressoché distaccata, erano stati effettuati esami autoptici e radiografici. I referti avevano evidenziato colpi d’arma bianca sul collo, oltre a fratture ossee. Segni che non avevano orientato verso un substrato criminale preciso, con le indagini partite, in questo caso più che mai, ad ampio raggio.
Gli uomini comandati dal tenente colonnello Emanuele Caminada, nell'attesa di una ricostruzione fotografica facciale affidata al Reparto Investigazioni Scientifiche dell'Arma, avevano recentemente esteso all’estero, anche dopo l’esame di un numero elevato di targhe auto acquisite dalla videosorveglianza della pista ciclabile vicino alla radura di Le Ferreun, la portata delle loro ricerche. Ad un certo punto, come accade in un’indagine quando un cerchio è prossimo a chiudersi, due date si erano avvicinate in modo coerente, dai due versanti del "tetto d'Europa": quella di scomparsa di Jean-Luc e quella di ritrovamento, da parte di una persona che portava a spasso il cane, del cadavere di Fénis. Il fermo della donna, e le sue ammissioni, hanno fatto il resto.
I Carabinieri non considerano comunque il caso ancora chiuso, perché vogliono capire – e si prefiggono di farlo anche attraverso il confronto con i colleghi francesi – se Anaëlle Prunier sia stata aiutata nei gesti commessi in territorio italiano da qualcuno e quali siano state, nel dettaglio, le modalità di distruzione della salma. Più di un militare impegnato nell’inchiesta nutre perplessità sull’ipotesi che una ragazza giovane, descritta tra l’altro come esile, possa essere riuscita a spostare da sola un peso del genere. Dubbi che potrebbero non tardare ad essere sciolti, definendo nitidamente una trama degna di un “noir”.