Da delle forme impercettibili sugli scaffali del ristorante di famiglia a una sfida: la passione per il vino e la comprensione della sua storia hanno conquistato nel giro di pochi anni la giovane sommelier Beatrice Cortese, valdostana, classe ’94, diventando una vera e propria ragione di vita. Quella che, e nessun nome è più azzeccato, potremmo definire una vera e propria sete di conoscenza parte dall’ambiente che Beatrice conosce fin da piccola: “A 5 anni vedevo solo forme, a 10 anni bottiglie che non dovevo assolutamente rompere passando correndo, a 16 mi chiedevo quale fosse quella meno cara, magari per stapparla insieme agli amici alle feste in casa, a 20 ho iniziato a pensare al contenuto di queste bottiglie, siccome mi interessavano le etichette, i colori e i nomi, mentre a 22 anni, finalmente, durante l’estate, nel mese di agosto, un’improvvisazione al tavolo del locale dei miei genitori mi ha lanciata in questo mondo. Mio padre mi passa una bottiglia e mi chiede di aprirla a un tavolo, io, impacciata, non riesco nemmeno a stapparla e il cliente fa da solo. Da lì, la rivoluzione dentro la mia testa è partita come un velocista dopo lo sparo verso il cielo: inarrestabile. Io dovevo sapere tutto, non esisteva che qualcuno mi avesse insegnato il mio lavoro all’interno del mio locale, non era assolutamente possibile che io non sapessi come gestire la parte vitivinicola in Trattoria (Trattoria di Campagna, ndr)”.
La determinazione e la voglia di riuscire permettono a Beatrice di iniziare un percorso che la porta prima a diventare sommelier e poi addirittura a vincere come migliore sommelier valdostana del 2019, step che le permette di accedere alle fasi nazionali che si terranno a Verona il 23 novembre: “Per giungere a questo concorso bisogna studiare, ma più di tutto è necessario bere, bere per capire e per scoprire i diversi territori, le differenti sfaccettature di uno stesso vino. Prima ancora di essere diventata sommelier ho deciso di provare a mettermi in gioco e mi sono iscritta al Concorso Miglior Sommelier Valle d’Aosta con in realtà poche aspettative: ero appena diventata sommelier, ero la più giovane e non ho mai lavorato in un grand hotel. Eppure ce l’ho fatta“. Dietro al successo di Beatrice anche molta costanza e l’attenta ricerca di un prodotto di qualità, ma soprattutto lo scambio umano con gli addetti ai lavori, un dialogo sincero, fatto di fatti e di basi solide: “Ciò che più mi emoziona del mondo del vino è tutto quello che c’è dietro ad una bottiglia, un lavoro che per molti rimane sconosciuto o limitato ad una basica visita guidata in cantina. Quando qualcuno tenta di vendermi i suoi prodotti effettuo una prima scrematura: da poche e mirate domande capisco subito quanto questa persona abbia da raccontarmi. Mi appassiona quindi lo scambio, perché lo scambio è sempre crescita e uno scambio è possibile solo quando la persona che si ha di fronte ne sa quanto te o meglio ancora più di te”.
La rabbia positiva e costruttiva di una giovane Beatrice agli esordi nel ristorante di famiglia si è trasformata velocemente in un trampolino dalla potenza decisamente importante e che ha acceso nella valdostana desideri e progetti, come la realizzazione di una cantina nuova e la voglia di oltrepassare ancora qualche limite, se possibile. Per arrivare al concorso nazionale però non bastano i sogni: “Per prepararmi a quello che sta per accadere a Verona ho letto tanto, sui social moltissimo, ho guardato video su youtube, ho imparato praticamente a memoria la guida Vitae 2019 (guida ufficiale dell’Associazione Italiana Sommelier, ndr) e ancora, ho assaggiato e sono andata per cantine, con i miei ragazzi della Trattoria”. I social sono uno degli strumenti che Beatrice utilizza maggiormente per condividere la passione e la dedizione per il mondo del vino e in questo contesto si muove anche la sua crescita. Cercare di veicolare conoscenza e passione attraverso contenuti di una lunghezza non eccessiva permette anche una certa forma di leggerezza che spesso per molti è estranea al mondo dei sommelier, nonostante Beatrice sia categorica sull’argomento e abbia un’idea molto precisa di come gli addetti ai lavori debbano rapportarsi con i clienti per essere efficaci: “Qualche settimana fa ho visto un video di Mark Oldman, un wine expert newyorkese e per la prima volta ho pensato che alcuni sommelier ridicolizzano la nostra professione, oppure che altri, appena hanno tra le mani l’attestato, si siedono su una sedia alta 3 metri e al ristorante si atteggiano come se fossero Robert Parker. Bisogna essere come si è tutti i giorni, è l’unico modo che si ha per vincere davvero”.
E la giovane sommelier la sua carta vincente sembra averla trovata e svelata: la predisposizione per lo stupore, la voglia di lasciarsi ispirare e guidare dalla materia stessa, il vino. Senza punti di riferimento troppo rigidi è libera di sperimentare, conoscere e scoprire, senza precludersi delle tipologie di vino o degli ambienti e dei terreni fuori dalla sua confort zone: “Non ho un vitigno preferito, un cibo preferito, un film preferito, una macchina preferita, una persona preferita. Tutto dipende dal momento, da come ti senti. Direi che non si può rinunciare a un’elegante bollicina metodo classico, ma personalmente possiamo parlare di Trentodoc, come di Franciacorta, come di Champagne o come di bolle valdostane. Più in generale direi che non me la sento di scegliere: pensatevi liberi di cambiare”.
Il concorso per cui la miglior sommelier valdostana potrebbe scalare rapidamente gli step italiani vedrà i candidati impegnati in una prova scritta, seguita dall’abbinamento al buio vino-cibo e in seguito l’orale, ma solo per i 4 finalisti che si sfideranno davanti alla platea del Congresso Nazionale AIS 2019 il giorno seguente (24 novembre, ndr): “Adesso ci siamo, il concorso è tra pochissimo e spero che voi dalla Valle d’Aosta facciate il tifo per me!”