La storia della vite in Valle d’Aosta ha origini antiche e la sua coltivazione è favorita sia dal clima particolarmente adatto, sia dalla protezione dai venti assicurata dalla catena alpina. Quella del vino non è solo una tradizione plurimillenaria, legata anche ai numerosi eventi folkloristici che ne promuovono il consumo, ma anche una fonte di prestigio da non sottovalutare. I numerosi vigneti che ricoprono i pendii ripidi tipici del paesaggio valdostano racchiudono infatti un patrimonio di rarità enologiche a cui molti esperti dedicano il loro interesse. Giulio Moriondo ne è un esempio, come si può leggere sul suo sito internet www.vinirari.net: “La coltivazione della vite e la produzione di piccole quantità di vino è una passione che, pur affaticandomi il fisico, mi permette di svagare la mente, liberandola dalle tossine che quotidianamente vi si accumulano”.
Nato ad Aosta e diplomato al Liceo Classico, si avvicina alla vite dopo gli studi di Biologia presso l’Università di Padova. Dopo la laurea infatti, frequenta un master di Enologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza che gli permette di ottenere un posto di lavoro all’Institut Agricole Régional, nell’ambito della ricerca e della valorizzazione dei vitigni autoctoni valdostani.
L’attività vitivinicola del bio-enologo valdostano procede dal 1987 in due direzioni: da un lato, la produzione artigianale e naturale di piccole quantità di vino, dall’altro lo studio della diversità e del recupero della variabilità genetica della vite. “In altre e più semplici parole, mi piace curiosare nelle sempre più rare vigne centenarie, al fine di identificare e riscoprire vecchi vitigni locali scomparsi o dimenticati, e di individuare, per i vitigni più diffusi, i biotipi più interessanti sotto il profilo qualitativo”, spiega Moriondo, che approfitta anche delle sue ore libere tra una lezione e l’altra – è infatti anche insegnante di scienze presso il Liceo Classico di Aosta – per passeggiare negli anfratti più nascosti delle colline valdostane, nella speranza di imbattersi in qualche vigneto interessante.
La curiosità e l’impegno per fortuna sono ripagati: nel 2007 scopre il Petit Rouge a bacca bianca, frutto di una mutazione genetica che ha colpito il vitigno a bacca rossa più diffuso nel centro valle. “Si tratta di una vite unica: non si è mai avuta menzione di Petit Rouge mutato in bianco; tra l’altro produce un vino eccezionale, che racchiude tantissime caratteristiche qualitative”. Anche di questo, come di altri suoi vini, sono poche le bottiglie prodotte annualmente, a motivo della sua scelta di operare in modo artigianale e naturale, bandendo antiparassitari, chiarificanti e composti chimici.
Molte altre sono state le sue scoperte di sapori perduti valdostani, esposte in diverse pubblicazioni e svolte in collaborazione con il suo amico svizzero vallesano José Vouillamoz, biologo molecolare che si occupa delle analisi del DNA e delle parentele genetiche tra vitigni. Nel 2000, passeggiando nella sperduta frazione Farys nel comune di Saint-Denis, Moriondo scopre una pianta di Petit Rouge che, sulla base della grandezza e dell’altezza del fusto, egli stima poter avere più di duecento anni – ipotesi avvalorata dalla vicinanza di un rudere con una targa datata del 1647. L’anno successivo, la fa iscrivere nel registro delle piante monumentali della Valle d’Aosta.
In seguito riscopre il Blanc Commun, l’Oriou gris e il Neret di Saint-Vincent, tutti e tre scomparsi da più di un secolo dalla Valle. “Tutte queste scoperte sono state il frutto della mia curiosità, legata alla mia passione, che mi spingeva a perlustrare i vecchi vigneti: quando non ne riconoscevo qualcuno, inviavo gli apici dei germogli per le analisi del DNA al mio amico Vouillamoz, che gestisce una banca dati di più di diecimila vitigni e può confrontarli tra di loro”.
La Valle d’Aosta, con i suoi 463 ettari vitati (secondo i dati ISTAT del censimento 2010), non smette mai di interessare gli “esploratori” come Moriondo. Il titolo del suo libro “Vina Excellentia”, pubblicato nel 2008, ben chiarisce lo spirito del suo lavoro, che si inscrive nella salvaguardia dei vitigni autoctoni così abbondanti nel seppur ridotto territorio valdostano.