E se mentre aspettiamo che vada tutto bene, provassimo a fare meglio?
Per limitare il contagio, si potrebbe rafforzare l’attuale procedura di protezione civile. Non sono un virologo, né un medico. Come Responsabile comunale di protezione civile ho, però, acquisito una certa esperienza nella gestione di emergenze: debris flow, ghiacciai, valanghe, tempeste di vento (mancava appunto l’epidemia).
Ho imparato che ogni procedura va verificata, con umiltà, più volte e con più persone e che spesso le proposte migliorative – rispetto all’efficacia – arrivano da chi è sul campo.
La strategia di contenimento della pandemia ha uno dei suoi fondamenti nelle ordinanze di isolamento richieste dalla Protezione civile e firmate dai Sindaci.
Oggi, senza la dichiarazione di aver incontrato un possibile positivo, l’ordinanza di quarantena troppo spesso non viene emessa. Tenuto conto dello stato di diffusione dell’epidemia nella nostra regione è evidente che questa impostazione ha perso d’efficacia.
Persone potenzialmente infette possono così ampliare il contagio, facendo la spesa o persino lavorando. Certo ci sono le misure di distanziamento sociale e il divieto, per legge, di circolare se si ha la febbre, ma senza un’ordinanza di quarantena i controlli sono praticamente impossibili.
L’ordinanza (e, se possibile, il tampone) dovrebbe, invece, essere richiesta ogni volta che viene riscontrata l’insorgenza improvvisa di almeno uno tra i seguenti sintomi: febbre, tosse e difficoltà respiratoria, senza un’altra eziologia che spieghi la presentazione clinica.
Stesso principio di prudenza dovrebbe essere adottato per i conviventi che si occupano della persona positiva confinata. Una volta guarito il positivo, anche i coinquilini dovrebbero restare isolati per altri 14 giorni, dal giorno della guarigione. E, invece, ci si limita a chiedere al telefono se hanno sintomi.
Il virus va sconfitto sul territorio, prima che negli ospedali.
Possiamo fare meglio. Lo vedo come cittadino e lo vedo anche dal mio osservatorio operativo. Conosco persone con sintomi che, dopo una semplice intervista telefonica, vengono soltanto invitate a restare a casa e che non ritrovo nelle liste degli isolati; salvo poi successivamente scoprire che erano contagiate e dover intervenire, tardivamente, su focolai più estesi.
Restano ancora cose da fare: un censimento dei non residenti sul territorio dei singoli comuni (sia per evitare nuovi ingressi, sia per poter gestire al meglio anche questi ospiti) e, per tutti i sintomatici, almeno il c.d. “test del cammino”(misurazione della saturazione del sangue) per garantire la tempestività di un eventuale trattamento.
Naturalmente, ho già manifestato i miei dubbi, con diverse modalità, alle autorità regionali competenti. Non ho però visto cambiamenti sostanziali nella gestione dell’emergenza e ho ritenuto quindi opportuno condividere queste proposte con altri mezzi.
Alexandre Glarey