La perdita di un caro è sempre un duro colpo da superare, non si è mai preparati, ancor meno in un periodo così surreale come quello che viviamo da mesi a causa del Covid 19.
Avere un caro che decide autonomamente di restare all’interno di una struttura per anziani, dopo un periodo di riabilitazione dovuto ad un intervento, dovrebbe essere, invece, una tranquillità, soprattutto se l’anziano in questione è una signora di 92 anni pienamente consapevole di cosa fa, di cosa le succede attorno e di come viene trattata. Cosi non è stato.
La mia mamma è stata ospite di una struttura per anziani per due anni, la famiglia sempre stata presente, andandola a trovare minimo 3 volte a settimana e sentendola al telefono anche 4 volte al giorno (aveva in suo cellulare che gestiva in assoluta autonomia). Era una signora autonoma e assolutamente ragionevole, aveva la sua tv, i suoi giornali, la sua enigmistica, era aggiornata sul gossip, era un piacere parlare con lei e lei amava i rapporti con le persone che le stavano vicino.
È arrivato il covid, hanno chiuso alle visite dei parenti il 9 marzo ma lei ha preso bene la situazione, ci ha
ragionato, ci sentivamo ancora più spesso di prima ed era serena.
Poi arriva il momento del tampone a tappeto i primi di aprile, la cosa l’ha turbata, dopo averlo fatto è stata
in ansia, per giorni, era triste e preoccupata. Dopo alcuni giorni arriva il risultato, “positiva” ma lei è del tutto asintomatica, “l’ultima persona che pensavamo potesse essere positiva” ci ha detto un infermiere al telefono quando ci ha riferito il risultato.
Quel giorno il trasferimento al reparto covid della struttura, l’isolamento e da lì l’inizio della fine. Si è lasciata andare. E l’hanno lasciata andare. Lei che era così emotiva si sentiva sola, mi telefonava spesso, di giorno e di notte e aveva paura. Poi ha diradato le chiamate, non se la sentiva più. Diverse volte ho chiamato sia infermieri che medici per esprimere la mia preoccupazione, principalmente per il suo stato emotivo; ogni volta mi è stato risposto che la mamma non aveva sintomi clinici preoccupanti ma che “l’aveva presa male”, comunque nulla di cui allarmarsi.
Fino ad arrivare al pomeriggio di Pasquetta, quando c’è stato un aggravamento improvviso, il trasporto in ospedale ed il ricovero in condizioni disperate (unica “diagnosi nefasta recente” riconducibile alla mamma, a differenza di quanto riportano dalla struttura). È mancata dopo una settimana di ricovero, il 21 aprile; penso che nessuno meriti di finire i propri giorni in solitudine e paura.
Non entro nel dettaglio si cosa sia successo perché verrà approfondito nelle sedi opportune ma vedere la pubblicazione di articoli celebrativi della struttura, della scarsa percentuale di contagiati grazie alla loro attenzione e cura nell’uso dei dispositivi e del programma delle attività ricreative che stanno organizzando, come fosse un villaggio turistico da promuovere, mi ha fatto molto male.
Leggere “probabilmente in relazione anche all’età molto avanzata della persona e a una situazione clinica già fortemente compromessa da altre malattie croniche, oggetto di prognosi infausta nel recente passato” lo trovo un modo facile per lavarsi la coscienza e la reputazione agli occhi di chi non conosce la situazione e non sa che i problemi sono stati altri, non dovuti a sintomi da covid ma alla solitudine che non le ha permesso di reagire, e per cui non è stata sostenuta ed aiutata, questo dimostra che chi lascia queste dichiarazioni non conosceva mia mamma, probabilmente non le ha mai rivolto parola.
Mi chiedo, inoltre, come sia possibile che la struttura in oggetto si sia potuta permettere di divulgare notizie riservate, ed inesatte soprattutto, in merito alla salute di una persona facilmente riconoscibile essendo il solo decesso registrato all’interno della stessa, al solo scopo di minimizzare la gravità di ciò che è avvenuto.
Chi fa questo tipo di lavoro, e gestisce questo tipo di struttura, dovrebbe imparare ad avere più umanità e rispetto delle persone, dovrebbe imparare ad informarsi sulla salute degli utenti, anche se ricoverati in ospedale, dovrebbe imparare a fare le condoglianze ai parenti, trovare un modo umano per concordare cosa fare degli effetti personali (una chiamata a due giorni dal decesso in cui si dice “cosa volete tenere altrimenti dobbiamo incenerire tutto” in base ad un protocollo poi risultato inesistente) e per riconsegnare gli stessi alla famiglia (mi è stato spinto fuori un carrello sgangherato con quattro grossi sacchi dell’immondizia incerottati con dentro tutto il suo mondo di cui lei aveva tanta cura).
Ci vuole rispetto, per gli anziani, per le famiglie, per chi non c’è più e per chi resta, sempre, ma ancora di più in un periodo come questo, dove chi perde qualcuno non può stargli vicino, e ancora di più da parte chi gestisce una struttura di questo tipo e a maggior ragione se il solo decesso che c’è stato è stato quello della mia mamma.
La perdita di anche solo una vita umana credo sia una sconfitta, specie se questa persona viveva in un luogo che avrebbe dovuto tutelarne la salute. I nostri anziani non sono numeri da statistica ed 1 o 100 perdite non dovrebbero essere trofei da esibire.
Penso che, alla luce del periodo tragico e disumano che stiamo vivendo, si possano celebrare unicamente coloro che sono riusciti a tenere lontano DEL TUTTO questa epidemia, chi ha davvero protetto i deboli e indifesi e ci è riuscito; altrimenti si rispetti il dolore infinito di chi rimane ed il modo migliore è averne pietà rimanendo in silenzio.
Lettera firmata