Scienziati, economisti e giornalisti valdostani e italiani hanno fatto tappa a Courmayeur per l’ultimo appuntamento della rassegna “Protagonisti a Courmayeur”, il convegno dal titolo “Comunicare il cambiamento climatico”. Ospitato presso il Pavillon della Skyway Monte Bianco, il panel conclusivo di oggi, lunedì 18 settembre, ha insistito sulla necessità di trovare modalità alternative di divulgazione in vari ambiti tra cui giornalismo, economia o politica, trasformando la crisi mondiale del clima in un’opportunità di crescita per le zone di montagna.
I cambiamenti climatici nel mondo
Dopo i saluti istituzionali di Lodovico Passerin D’Entrèves, presidente del comitato scientifico della Fondazione Courmayeur Mont-Blanc, Roberto Rota, sindaco di Courmayeur, e Renzo Testolin, presidente della Regione, i relatori hanno riportato alla mente dei presenti alcuni recenti eventi climatici avversi tra cui il terremoto avvenuto qualche giorno fa in Marocco.
“Sono le fasce più povere della popolazione a risentire maggiormente delle conseguenze dei cambiamenti climatici poiché le loro strutture non sono preparate a un impatto così violento da parte della natura – ha evidenziato il vice direttore de La Stampa, Andrea Malaguti, moderatore dell’incontro promosso da Fondazione Montagna Sicura e Fondazione Courmayeur Mont-Blanc e organizzato in collaborazione con il Gruppo Cva, il forum indipendente aCourma! e il Comune -. Nel raccontare questi fatti serve stringere un patto sociale, circondando le notizie di una cornice di dati che ci riportano alla realtà e ci permettono di essere più sicuri delle cose di cui leggiamo”.
Giornalismo e istituzioni
La comunità scientifica internazionale concorda sul fatto che il riscaldamento della Terra non è mai stato così rapido sin dalla nascita del nostro Pianeta: la soluzione a tale problematica è la totale decarbonizzazione dell’economia, una sfida che secondo gli esperti può essere affrontata soltanto facendo maturare il dibattito pubblico attorno al clima e accelerando così la transizione in termini di equità.
“Per poter raccontare il cambiamento nell’amministrazione pubblica, gli scienziati non possono fermarsi alla base della comunicazione ma devono studiarne l’applicabilità nel ciclo istituzionale della presa di decisioni – ha spiegato Edoardo Cremonese, ricercatore di Fondazione Cima, il Centro internazionale di monitoraggio ambientale -. Sul versante giornalistico, invece, dal momento che il nostro cervello respinge la negatività e ci spinge all’inazione, dobbiamo smettere di utilizzare linguaggi distanti creando con i media un canale di comunicazione stabile per parlare alla popolazione in maniera costruttiva nel tempo”.
Natura e giovani
“I ghiacciai sono grandi comunicatori del cambiamento climatico, causa dell’innalzamento delle temperature medie mondiali che a loro volte ne provocano la scomparsa – ha raccontato Riccardo Scotti, responsabile scientifico del Servizio glaciologico lombardo -. Stando agli scenari ipotizzati a livello alpino, le perdite del volume dei ghiacciai alpini sino al 2100 oscilleranno tra il -60% nel più ottimista e il -98% nel più pessimista”.
Secondo il giornalista e blogger de La Stampa Nicolas Lozito, coloro che subiscono le maggiori ripercussioni della crisi del clima e, conseguentemente, sono chiamati ad affrontarla con i propri mezzi sono proprio le nuove generazioni.
“I sondaggi effettuati nel periodo del post Covid hanno reso noto che molti ragazzi non hanno più certezza del proprio futuro a causa del riscaldamento globale – ha rammentato l’ospite del convegno “Comunicare il cambiamento climatico” -. Dobbiamo divenire per essi dei buoni antenati, che insegnano loro a imboccare la via corretta della sostenibilità e li accompagnano in un percorso di transizione per loro quasi innato”.
Economia e imprese
Anni fa, nella fase negazionista in cui i più sostenevano che il riscaldamento globale dipendesse da variabili che esulavano dall’influsso umano, parlare di climate change nel settore della politica economica equivaleva a parlare di mitigazione delle emissioni di gas serra.
“L’errore dell’epoca è stato quello di concentrarsi sulla mitigazione e non sulla politica alternativa di adattamento ai cambiamenti climatici – ha osservato Domenico Siniscalco, economista, lead author dell’Ipcc e presidente della Fondazione Courmayeur Mont Blanc -. Il nostro ruolo oggi è di continuare a rendere tale tematica centrale nel dibattito internazionale, convertendo l’adattamento nel punto di partenza di futuri interventi di mitigazione più mirati e dunque funzionali”.
Una sezione importante del tessuto economico valdostano è costituita dalla produzione energetica rinnovabile, che per noi è pari al 40% della produzione complessiva delle fonti rinnovabili nazionali.
“La risorsa idrica, che la nostra azienda contribuisce a destinare a usi plurimi a fini irrigui e potabili oltre che energetici, non manca in senso assoluto ma si articola ai giorni nostri in maniera differente – ha constatato l’amministratore delegato del Gruppo Cva, Giuseppe Argirò -. Anche le imprese devono contribuire ad attuare un processo di adattamento, ma dal punto di vista normativo e delle concessioni al momento non ci sono le condizioni per poterlo fare”.
Società e social media
Il concetto di adattamento al cambiamento climatico non può prescindere, secondo l’antropologo Annibale Salsa, da un’efficace comunicazione tramite social media, un sistema privo di mediazione dove ogni utente può percepirsi come titolare di verità e notizie.
“In epoca medievale il riscaldamento globale ha generato ricadute su piano geo-politico cambiando politiche di governance di tutto l’arco alpino almeno sino alla piccola età glaciale della prima metà dell’Ottocento – ha ricordato il presidente del Comitato scientifico di Trentino School of Management nonché membro del Consiglio di UniVdA -. Oggi siamo chiamati a gestire problematiche di gestione e paradigmi sociali simili proprio attraverso i social network, rendendoli da un insieme di opinioni diverse e talvolta false a un canale telematico efficace e immediato”.
Sanità e protezione civile
Cogliendo l’adattamento come una sfida, la popolazione di montagna può riuscire a vincere lo spopolamento causato dalla privazione di attività e servizi essenziali restituendo al proprio paesaggio l’attrattiva che esso da sempre possiede.
“La riforma della medicina del territorio deve pensare a modelli ibridi che coniugano l’accoglienza dei malati cronici e le caratteristiche ambientali in un periodo di enormi difficoltà nel reperire risorse umane – ha analizzato Guido Giardini, direttore sanitario dell’Azienda USL della Valle d’Aosta nonché presidente della Fondazione Montagna sicura -. Dobbiamo prepararci a essere raggiunti da molte più persone che sceglieranno di vivere in montagna, riuscendo a permettere l’accesso alle alte quote agli sportivi e al contempo alle popolazioni di montagna di svolgere le proprie consuete attività”.
Come evidenziato anche dal vice capo del dipartimento nazionale della Protezione civile, Titti Postiglione, anche in questo caso la comunicazione riveste un ruolo fondamentale: oltre i soli dati delle scienze dure e la sola informazione del comparto mediatico, è necessario costruire una forma di narrazione che si basi sulle storie personali degli ecosistemi e degli individui che li abitano.
Le opportunità nella crisi
Stando a Raffaele Rocco, coordinatore del dipartimento regionale Programmazione, risorse idriche e territorio nonché presidente del comitato scientifico di Fondazione Montagna sicura, fare prevenzione implica sviluppare strumenti tecnologici e cercare scenari di previsioni che rendano meno difficoltosa la gestione dell’emergenza.
“Paradossalmente il problema della sicurezza in montagna potrebbe rappresentare la soluzione a una problematica ancora più grande, quella dello spopolamento della montagna, che a media quota potrà divenire un luogo appetibile sul quale lavorare in termini di sviluppo e sopravvivenza delle piccole comunità locali – ha concluso -. Su questo dovranno basarsi le future politiche di tutela e valorizzazione del paesaggio, di fruizione consapevole della montagna, la revisione dell’accessibilità delle infrastrutture e delle connessioni della nostra regione”.