Lunedì 15 gennaio si è celebrato il Blue Monday, il cosiddetto giorno più triste dell’anno. In questa puntata della rubrica Incontri ravvicinati con AIACE, consigliamo cinque film felici a chi continua a essere di pessimo umore.
UN PESCE DI NOME WANDA di Charles Crichton
UK, 1988 – Commedia
George è a capo di una banda di criminali composta dalla fidanzata Wanda, dal fratello di lei Otto e dal fidato Ken. Sembra andargli tutto bene soprattutto dopo aver messo a segno un furto di gioielli di valore, ma quello che non sa è che Otto e Wanda sono in realtà amanti e che hanno pronto un piano per fuggire con la refurtiva facendolo arrestare. Quello che non sanno Otto e Wanda è che George ha nascosto i gioielli rivelandone il luogo solo a Ken. Quello che non sa Ken è che Wanda è complice di Otto. Quello che sa Wanda è che gli uomini hanno un debole per lei.
Un pesce di nome Wanda è senza dubbio una delle migliori commedie mai scritte, forse la migliore se chiedete a noi – inoltre inserita nella classifica dei migliori 100 film britannici del XX secolo stilata dal British Film Institut e nella classifica delle 100 migliori commedie di tutti i tempi stilata dall’American Film Institute. Kevin Kline si è portato a casa l’Oscar per il miglior attore non protagonista grazie alla sua esilarante interpretazione del doppiogiochista e super geloso Otto, interpretazione supportata egregiamente da un cast incredibile che conta Michael Palin e John Cleese, quest’ultimo anche co-sceneggiatore, due delle menti geniali che crearono i Monty Python. Insomma, uno di quei film che è criminale non aver visto e che vi strapperà senza dubbio numerose risate.
Se volete un’altra spassosa commedia con Kevin Kline, raccomandiamo In&Out. Se invece voleste lanciarvi nel mondo meraviglioso e demenziale dei Monty Python, consigliamo di iniziare con Monty Python e il Sacro Graal.
I SOGNI SEGRETI DI WALTER MITTY di Ben Stiller
Australia, Canada, UK, USA, 2013 – Commedia
Walter Mitty è un impiegato della famosa rivista Life dove lavora come manager dell’archivio dei negativi. Il suo essere impacciato e timoroso gli ha sempre impedito di esprimere il proprio potenziale e di connettersi con gli altri, compresa la sua collega Cheryl, della quale è segretamente innamorato. Per estraniarsi dalla realtà grigia che lo avvolge, l’uomo si rifugia spesso in sogni lucidi e si ritrova a vivere ad occhi aperti avventure fantasiose e gesta eroiche che gli consentono di prendersi rivincite lavorative e amorose. Solo al crollo delle sue certezze Walter deciderà di mettersi in gioco passando all’azione: si imbarcherà per uno straordinario viaggio intorno al mondo (questa volta per davvero), tanto incredibile quanto mai avrebbe potuto sognare.
I sogni segreti di Walter Mitty è un road movie che, oltre a divertire, appassiona ed emoziona. Dalle estese terre rocciose della Groenlandia al Mare del Nord, fino alle vette innevate dell’Himalaya afgano, gli scenari naturalistici nei quali ci conduce Ben Stiller, regista ed interprete principale della pellicola, sono pazzeschi: la sequenza in longboard di Walter lungo le strade deserte dell’Islanda è qualcosa che fa venir voglia di prendere lo zaino e partire immediatamente. Se Ben Stiller incarna perfettamente l’esistenzialismo dell’uomo moderno con un ruolo fatto su misura per lui, Sean Penn, seppur in poche ma intense battute (vedi “La bellezza non chiede attenzioni ma solo occhi e cuore pronti a riceverla”), è altrettanto perfetto nell’infondere saggezza alla storia.
Il vero “strike” che compie il film, però, è con la soundtrack, ora con le sonorità indie folk di José Gonzalez e degli islandesi Of Monsters and Men, ora con la spinta rock dell’immortale Space Oddity di David Bowie, che trasportano nello spirito di avventura, nella spensieratezza e nel coraggio nell’affrontare l’ignoto quello di chi ritrova se stesso inseguendo i propri sogni, felice, del qui ed ora, non tanto della destinazione ma del viaggio. Ben Stiller si è fatto conoscere al grande pubblico con l’indimenticabile commedia cult Tutti pazzi per Mary che, se non avete ancora visto, dovete assolutamente inserire nella vostra watchlist.
L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA di Aki Kaurismaki
Finlandia, 2017 – Drammatico, commedia
Gennaio, con le sue giornate corte e il suo clima freddo, può suscitare un desiderio di calore e conforto. In questo contesto, sarebbe bello vivere in un film di Kaurismäki. Perché il cinema di Aki Kaurismäki, con la sua unica fusione di umorismo, calore umano e un’estetica inconfondibile, offre un rifugio accogliente dalla monotonia e dalla malinconia invernale.
Nel mondo del regista finlandese, c’è una realtà in cui la semplicità della vita quotidiana è elevata a poesia visiva. I suoi personaggi, spesso ordinari o emarginati alle prese con le sfide della vita, brillano di una luce di umanità e resilienza che riscalda il cuore. Anche nei momenti più bui, c’è sempre una scintilla di speranza, un sorriso nascosto, una battuta sottovalutata che ci ricorda la bellezza della vita.
L’altro volto della speranza narra la storia di due anime solitarie ai margini della società, il cui destino si intreccia inaspettatamente nella fredda Helsinki. Da una parte, Khaled, un giovane rifugiato siriano, sopravvissuto alle atrocità della guerra e in cerca della sorella; dall’altra, Wikström, un ex rappresentante di camicie che lascia il suo passato alle spalle per avventurarsi nel mondo della ristorazione. Il film segue il percorso di questi due protagonisti, mostrando come, nonostante le differenze culturali, le loro vite si intreccino in un viaggio comune verso la speranza e l’umanità. Khaled, con la sua determinazione stoica di ritrovare sua sorella, e Wikström, con il suo spirito imprenditoriale e un tocco di umorismo malinconico, si ritrovano a condividere non solo un tetto, ma anche una profonda comprensione reciproca. A rendere il film ancora più ricco e affascinante è il cast di personaggi di contorno, ognuno con la propria storia unica e irresistibile. Dai clienti del ristorante, ognuno con la propria eccentricità, ai colleghi di lavoro, ciascuno contribuisce con il proprio pezzo a questo affresco umano. Questi personaggi, pur apparendo solo brevemente, lasciano un’impressione indelebile, arricchendo la trama principale con il loro fascino particolare e la loro autenticità.
L’altro volto della speranza è quindi un inno alla solidarietà, un racconto che celebra l’incontro di mondi diversi e la creazione di legami inaspettati. La sua visione è un viaggio attraverso l’umanità nelle sue molteplici sfaccettature, dove le vite marginali e gli incontri casuali si rivelano essere i veri cuori pulsanti della società. Con quest’opera Kaurismäki porta lo spettatore in un viaggio attraverso la sua visione unica del mondo. La sua capacità di bilanciare il dramma con l’umorismo sottile, la gravità con la leggerezza, rende ogni suo film un’esperienza ricca e stratificata. È un cinema che, nonostante affronti temi seri come l’immigrazione e la solitudine, riesce a lasciare lo spettatore con un senso di speranza e un sorriso sulle labbra.
L’essenzialità dei dialoghi è un aspetto fondamentale che merita particolare attenzione. In quest’opera, come in molte altre del regista finlandese, le parole sono misurate, spesso scarse, ma sempre cariche di significato. C’è una bellezza nella loro sobrietà, un invito a concentrarsi meno su ciò che viene detto e più su ciò che viene comunicato attraverso gli sguardi, i gesti, l’ambiente. Questa economia nel linguaggio verbale non è solo una scelta stilistica, ma anche un omaggio a due grandi maestri del cinema muto: Charlie Chaplin e Jacques Tati. Kaurismäki, prendendo ispirazione da questi due mostri sacri della settima arte, dimostra una maestria nel raccontare storie profondamente emotive con un uso minimo delle parole. In un’epoca dominata dalla sovrabbondanza di dialoghi e spiegazioni, l’approccio di Kaurismäki offre una rinfrescante pausa, una sorta di ritorno alle radici del cinema. Questa scelta stilistica non solo rende omaggio a questi pionieri, ma permette anche ai suoi film di trascendere le barriere linguistiche, rendendoli accessibili a un pubblico globale. Con questa prospettiva, L’altro volto della speranza diventa un esempio luminoso della capacità del cinema di parlare direttamente al cuore, di come la combinazione di immagini, musica e poche parole possa raccontare storie profonde e universali.
Con una palette di colori pastello e una musica che parla direttamente all’anima, i film di Kaurismäki sono come un abbraccio caldo in una fredda giornata invernale. Ecco perché, nel mese di gennaio, L’altro volto della speranza è una raccomandazione garantita: un antidoto alla tristezza stagionale, una dimostrazione che, anche nei momenti più difficili, la vita può essere ricca di bellezza, umorismo e compassione.
MRS. DOUBTFIRE di Chris Columbus
USA, 1993 – Commedia
Robin Williams e Chris Columbus uniscono la loro positività e la loro leggerezza, per dare vita ad un film spensierato e al tempo stesso emozionante. Nonostante la sofferenza provocata dal divorzio e dalla separazione dai figli, il protagonista trova un modo creativo per rimanere accanto a loro: travestirsi da governante. Il risultato è a dir poco iconico ed esilarante, mentre Robin Williams si muove con grande autoironia nei panni della signoria Doubtfire. Oltre alle risate provocate dal comico travestimento e dalle situazioni paradossali che implica, il film lascia lo spettatore con la speranza che con l’amore si possano superare anche le situazioni familiari più complicate.
Daniel Hillard (Robin Williams) è un doppiatore con l’incredibile talento di modificare la propria voce, tuttavia si ritrova improvvisamente senza lavoro, dopo un litigio con il suo capo. Nel frattempo, vive una crisi anche sul piano personale: la moglie Miranda (Sally Field) non sopporta più il suo comportamento immaturo, fino a chiedere il divorzio. Per Daniel si prospetta una lunga separazione dai tre figli che adora: non avendo una situazione lavorativa stabile, potrebbe vederli solo un pomeriggio alla settimana.
L’uomo non si perde d’animo e, venuto a sapere che la ex moglie cerca una governante, decide di candidarsi lui stesso con l’alter ego di Mrs. Doubtfire. Aiutato dal fratello (Harvey Fierstein) e dal cognato (Scott Capurro) – due esperti truccatori – Daniel crea un personaggio convincente, che fa un’ottima impressione su Miranda. La nuova governante viene così assunta e, nei mesi successivi, instaura con i tre bambini un forte legame di complicità. Durante il suo lavoro tra le mura domestiche, scopre che Miranda ha iniziato a frequentare Stu (Pierce Brosnan), un uomo ricco ed ambizioso: non può chiaramente fare a meno di ostacolare la loro relazione. Col passare del tempo, però, gestire questa doppia vita diventa sempre più difficile, proprio come sembra impossibile mantenere il segreto con i figli. Quando la verità su Mrs. Doubtfire sarà rivelata, Daniel si troverà di fronte a delle svolte inaspettate, sia dal punto di vista familiare che professionale.
Se questo film vi ha regalato un po’ di spensieratezza, allora non potete perdervi Hook di Steven Spielberg e Jumanji di Joe Johnston: entrambi vedono la partecipazione di Robin Williams, che ancora una volta interpreta personaggi contesi tra sogni infantili, avventure spensierate e un velo di malinconia.
IL PRANZO DI BABETTE di Gabriel Axel
Danimarca, 1987 – Commedia
Per coloro che hanno perso la speranza nel genere umano e sentono il bisogno di vibrazioni positive, ecco una delicata commedia nel senso più classico del termine. Non una serie di gag per cui si ride a crepapelle, né equivoci, “ri-matrimoni” o scambi di persona, ma un grazioso capolavoro sulla gioia della generosità. E poi, davvero vorreste perdervi il film preferito di chef Bruno Barbieri?
Prendiamo un’altra pietra miliare della filmografia danese, Dogville, di Lars von Trier, che espone con sguardo nichilista l’ipocrita meschinità umana e sfida lo spettatore nel provare godimento per una sanguinosa vendetta. La tesi alla base del film di Axel si pone all’estremo opposto per raccontare una storia di altruismo con un linguaggio di semplicità elementare, talmente privo di pesante retorica da lasciare un segno indelebile nel cuore degli spettatori. Fine ‘800: giunta fuggitiva in una “notte buia e tempestosa” in un paesino danese sperduto, l’emigrata francese Babette è ospitata da due anziane signore, puritane e genuine figlie di un ammirato pastore. Dopo molto tempo al loro servizio, spende un’immensa somma di denaro per ricambiare la gentilezza delle donne e preparare loro un sontuoso pranzo che è un’autentica opera d’arte, in occasione del centenario dalla nascita dell’ormai defunto Decano.
Senza orpelli e stucchevoli virtuosismi, il messaggio arriva chiaro: la felicità può rivelarsi anche attraverso il puro gesto di ringraziamento o cedere il proprio denaro per preparare un brodo di tartaruga e una quaglia en sarcophage, perché “un artista non è mai povero”. Dall’omonimo racconto di Karen Blixen, questo grande film sull’accoglienza, il senso di comunità e ospitalità fu premiato con l’Oscar al miglior film straniero. Non un’operetta morale e didascalica, ma una lezione senza pretese sul vivere la felicità nella condivisione, che trova la sua forza e il suo valore nell’essenziale.
Il cast poi è un autentico omaggio ai volti feticcio del cinema nordico, specialmente dei capolavori di Bergman: nei ruoli di personaggi secondari troviamo Jarl Kulle (Fanny e Alexander) e Bibi Andersson (Il posto delle fragole). Ma gli easter egg attoriali non finiscono qui. Lisbeth Movin e Preben Lerdorff Rye tornano di nuovo ad interpretare una coppia 44 anni dopo uno dei film spiritualmente più belli della storia del cinema: Dies irae di C. T. Dreyer, maestro qui omaggiato chiaramente anche nelle atmosfere, gli ambienti, la concisione e nudità del tocco registico teso verso il trascendente. A interpretare Babette è invece un’icona femminile del cinema moderno, Stéphane Audran, volto indissolubile dalle pellicole di Claude Chabrol (Il tagliagole), o da Il fascino discreto della borghesia di Bunuel. Al di là della precisa collocazione in un contesto religioso (di natura protestante), non si tratta di una posizione moralizzante, anzi è umanista e diretta, come un vettore lineare, dal particolare all’universale. E soprattutto resta uno dei film a tema culinario più significativi per il senso carico di valori positivi che il cibo assume a livello narrativo. La tavola come evento culturale è un vero e proprio personaggio, che parla quasi più degli umani.
E dato che parliamo di felicità consigliamo un gioiellino diretto da Agnes Varda, Le bonheur (Il verde prato dell’amore in Italia), esplicativo sin dal titolo, ma non privo di amarezza e malinconia. Come la vita.