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Il concerto dei Negrita a Bard.
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Il concerto dei Negrita a Bard.
Nascere rocker e scoprire, cammin facendo, l’insuperabile leggerezza dell’acustico? Per un Bob Dylan che ha fatto il percorso opposto, nel tempo è successo a tanti. Esempio da antologia, al riguardo, è stata la serie MTV Unplugged, in cui artisti di grido venivano chiamati a esibirsi in concerti “a spina staccata”, cioè senza amplificazione elettrica. Tra gli episodi che tutti gli appassionati portano nel cuore, quelli con protagonisti i Nirvana (1993, che nonostante non sia il loro ultimo concerto suona come un addio al mondo) ed Eric Clapton (1992, con una versione di Layla diventata quasi più celebre di quella elettrica suonata da Slowhand fino alla sera prima).
In tempi successivi, altrettanto di successo fu l’“escursione” dei Rolling Stones in campo acustico, testimoniata dall’album Stripped (1995, con parte delle tracce registrate alla Brixton Academy di Londra). In Italia, gli ultimi in ordine di tempo ad aver imboccato quel cammino (ma c’erano state esplorazioni pregresse, come nel 2020 in val d’Ayas) sono stati coloro che devono il nome proprio ad un brano della band di Mick Jagger, i Negrita. Dopo un’esistenza elettrica, con il rock britannico davanti agli occhi e l’America del blues nel cuore, Paolo “Pau” Bruni e compagni hanno sperimentato quattro date estive in versione “Acoustic Trio”.
Sabato scorso, 2 agosto, al Forte di Bard, nella rassegna “Aosta Classica” (e con futura diffusione nel programma Rai “Da Aosta ai 4mila”), è andata in scena l’ultima (le altre prima, a Mesagne, L’Aquila e Agerola). Sul palco, oltre al frontman, solo il chitarrista Enrico “Drigo” Salvi (l’unico che ha avuto licenza di ricorrere all’elettrico), l’altro chitarrista Cesare “Mac” Petricich (rimasto alla ritmica nelle poco meno di due ore di show) e il batterista Crstiano Dalla Pellegrina. Uno spettacolo “Talk & Live”, in cui a far da “storyteller” era Gianmaurizio Foderaro, voce storica di Radio Rai.
L’effetto, nonostante nella mente di chi li ascolta dagli esordi (risalenti al 1994) i Negrita siano assolutamente (e ruvidamente) elettrici, è stato elegante nella forma ed efficace nel merito. Partenza con “Il Gioco”, pezzo del 2015 che non perde però d’impatto arrangiato “unplugged”. Perché il segreto dell’acustico, in fondo, è tutto nell’espressione inglese “less is more”, che potrebbe essere tradotta come “togliere per aggiungere”. Qualcosa a cui arrivi quando inizi “ad intuire meglio” (non a capire, come ha redarguito Pau dal palco) la vita, quindi ad adolescenza ampiamente salutata.
In scaletta, varie altre hit di trent’anni di carriera (vedi “Ho imparato a sognare”, colonna sonora del film di Aldo, Giovanni e Giacomo salutata dagli applausi di una platea da tutto esaurito, “Mama Maè” e “Magnolia”), ma anche vari brani dall’ultimo album, Canzoni per anni spietati, uscito lo scorso marzo (e che andrà in tour teatrale dal prossimo novembre): “Non esistono innocenti amico mio”, “Nel blu (Lettera ai padroni della Terra)” e “Song To Dylan”. Finalone, con tutto il pubblico in piedi, su “Gioia infinita”, brano più melodico che ringhioso, ma alla fine siamo in Italia (dove, peraltro, gli Stones al numero 1 delle classifiche sono arrivati raramente).
Per il côté “live” della serata, resta da dire che se c’è un ingrediente del suono dei Negrita riconoscibile ad occhi chiusi resta la chitarra di Drigo (ed è stato così anche a Bard, in modo ancora più evidente su canzoni ‘dark’ come “Il libro in una mano, la bomba nell’altra”), mentre la voce (e l’armonica) di Bruni si riverberano sul tappeto acustico come i pezzi di vetro colorato in un caleidoscopio. Ad intessere le maglie per agevolare il fenomeno cangiante, il drumming di Dalla Pellegrina (tutt’altro che refrattario, nonostante “ti sei portato la batteria di Barbie”, come ha scherzato Pau) e le ritmiche di Mac (se pensate che siano rinunciabili, andate ad ascoltarvi “Wild Horses”, delle Pietre Rotolanti, e dite se senza sarebbe concepibile).
Lato “talk”, sarà perché “siamo toscani, siamo dei figli di… toscani”, ma Bruni non è mai apparso recalcitrante a dire la sua. Sul palco del Forte (dove il gruppo era già salito nell’agosto 2012, in una serata d’agosto in cui la pioggia diede qualche noia), non ha smentito la verve istrionica. Strali contro un mondo che si polarizza sempre più, contro artisti della nuova generazione che, con due mesi di esperienza, “fanno gli stadi, nascono ‘imparati’… perché gliel’ha detto Instagram”, contro ciò che sta accadendo in terra di Palestina, per cui i “sionisti” devono venire “portati davanti a un tribunale internazionale ed essere giudicati”.
Insomma, strali, ma anche qualche calembour linguistico (del tipo “Merci à tout le monde” e “Je suis Pau”, chissà se dettati dalla francofonia della Valle) e pure una spruzzata di saggezza, perché l’acustico e il suo “asciugare il sovrappiù” funzionano se sono una condizione anche dell’animo, non solo del suono. Intendiamoci, nulla che non stia nel marchio di fabbrica dell’uomo (e della band), anche se è vero (e questo lo ha ricordato Foderaro in uno dei suoi interventi) che l’umanità vince su tutto. Ed è proprio lei la grande assente di quest’era.
Molto probabilmente, come ha esclamato Drigo, servirebbe “scendere in piazza e proclamare la pace: noi!”. Tra gli spettatori di Bard (cui Bruni ha chiesto di alzare la mano in una sorta di appello per provenienza geografica, con discreta superiorità di piemontesi), il proposito ha raccolto ampio consenso. E’ più facile a dirsi che a farsi, e chissà se lo vedremo mai succedere, ma i Negrita – nonostante non siano più i ragazzi degli esordi, ma “uomini realizzati con famiglie e figli” – restano un ottimo esempio di quanto (e come) l’arte serva a lanciare dei messaggi, prendere posizione, dire delle cose. A cui la gente poi penserà una volta a casa. E, in anni spietati (cit.), non è già poco.