API, acronimo di “Anonima Petroli Italiana”, cambia titolare, attraverso la cessione al Gruppo Socar dell’Azerbaigian. Un addio dell’imprenditoria nazionale e un colpo alla mitologia del boom degli anni sessanta del secolo scorso. “Con API si vola”, e “Si vola sicuri con API Lube”, questi erano i claim, cui facevano eco “Metti un Tigre nel motore” di Esso, “La Potente Benzina Italiana” di AGIP – Supercortemaggiore ed altri, tutti peraltro ben congegnati e di grande impatto, tanto è vero che li ricordiamo ancora oggi noi boomer che ammiravamo il rito di “Carosello”, quel rito che sanciva la fine della giornata dei bambini e di non pochi adulti, “Dopo Carosello si va a nanna”.
Erano claim che accompagnavano e spingevano un’epoca in cui tutto appariva possibile, che corroboravano un’ingenua ma convinta volontà di potenza, una propulsione – che diventava fede – verso il progresso infinito, prima che a cinquant’anni di distanza la realtà si incaricasse di richiamarci ad un presente all’insegna del vivere alla giornata forse in attesa del peggio. Li conoscevamo bene, i marchi. API, accanto al logo rettangolare essenziale ma policromo, bordo giallo, campo verde e bianco, scritta “API” in nero col puntino rosso, poneva un cavallo stilizzato, nero, che dava l’idea del selvaggio e del movimento, sembrava quasi ispirato a quello che è conosciuto come “Uomo in movimento” di Umberto Boccioni.
Era il movimento, la frenesia, di quegli anni, del “Ghè pensi mì”, di un’Italia che, messasi alle spalle le macerie di una guerra terribile, rinasceva e l’automobile ne rappresentava la punta di diamante e con essa ciò che le si riferiva. L’Autostrada del Sole, le vacanze al mare, le prime code sintomo di sviluppo, il carburante senza il quale nulla sarebbe stato possibile. Carburante consumato allegramente, con fragore di scappamenti del motore endotermico. La crisi ci avrebbe colpito duramente nel 1973, con i rincari e le domeniche a piedi nell’inverno dell’austerity. La corsa poi si interruppe e alcuni nodi irrisolti vennero al pettine. Ma allora non lo sapevamo e non volevamo saperlo, seguivamo la tendenza e l’onda magica come su un surf virtuale inarrestabile. API, nel tempo, aveva poi acquisito la IP (“Italiana Petroli”) e la rete ERG senza contare l’accordo con ESSO italiana. Un eccellente percorso, per la società fondata nel 1933 da Ferdinando Peretti, emiliano, che iniziava l’avventura imprenditoriale con un deposito nelle Marche, a Falconara Marittima. Aldo Brachetti Peretti e i figli la consolideranno. L’attuale Presidente Ugo Brachetti Peretti spiega che la cessione ad un Gruppo multinazionale permetterà alla società di consolidarsi come hub strategico nel Mediterraneo. È sicuramente così. Ma consentiteci un accesso di nostalgia verso ciò che API e altre realtà industriali richiamano alla nostra mente, anzi alle nostre emozioni.
4 risposte
Nessun commento , ma fa male vedere che un altro marchio storico della nostra ITALIA , fondato con l’ispirazione e l’estero degli italiani , vada ceduto ad aziende estere . Il ns Governo qualunque esso sia dovrebbe essere attento !!! ma il meccanismo della svendita è già oliato e quindi prepariamoci . Un caro saluto. Roberto Montagner tecnico API
Una società fallita che negli ultimi anni ha messo in crisi molti gestori che dopo molti anni di duro lavoro e mal retribuito hanno dovuto chiudere gli impianti che gestivano
Un peccato enorme.Chi non ricorda volare con api del grande Domenico Modugno pubblicità anni 60. In un certo senso i Sovietici adesso li abbiamo in Italia.Si chiude un epoca
La prima generazione crea, la seconda generazione conserva e qualche volta sviluppa e la terza…se va bene, vende e se la gode!!!!
Mai scritto questo commento prima!!!