Introdotta da un decreto legge, applicata per oltre dieci anni e poi dichiarata incompatibile con il diritto comunitario. E’ la storia dell’addizione provinciale alle accise sull’energia elettrica, che sta ora provocando un piccolo tsunami fra i produttori di energia elettrica, trascinati in tribunale e costretti a rifondere milioni di euro ai propri clienti. Secondo una stima di Confindustria, risalente a qualche anno fa, l’imposta non dovuta e pagata fra il 2010 e il 2011 (Nda gli anni che sfuggono alla prescrizione decennale per i clienti, per i fornitori è di 5 anni) da piccole, medie e grandi imprese varrebbe complessivamente 3,4 miliardi di euro.
Soltanto Cva, come si legge dall’ultimo bilancio, ha 24 procedimenti civili attivi per un importo chiesto di oltre 17 milioni di euro.
Tra il 2010 e il 2012 la Compagnia Valdostana delle Acque, come altri venditori di energia, ha addebitato in fattura l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica, introdotta dall’art. 6, comma 2 del D.L. 511/1988. Nel 2012 la norma è stata abrogata, ma a partire dal 2018/2019 la giurisprudenza della Cassazione e della Corte di Giustizia Ue ha chiarito che: “Tali addizionali sono incompatibili con il diritto comunitario e quindi indebitamente versate dai consumatori finali, i quali possono chiedere il rimborso direttamente ai fornitori (come CVA), i quali a loro volta potranno rivalersi sull’Erario solo dopo una sentenza passata in giudicato”. Da allora, i clienti hanno iniziato a chiedere il rimborso direttamente ai fornitori. E i giudici, in molti casi, gli hanno dato ragione. Nell’aprile scorso sulla querelle è intervenuta anche la Consulta, che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, confermando l’obbligo per i fornitori di restituire le somme versate dai clienti, per poi rivalersi sullo Stato.
La società valdostana, come riporta l’ultimo bilancio, ha 24 contenziosi pendenti per un totale di 17,2 milioni di euro. Sette in primo grado per un importo di 2 milioni di euro, quattro in appello per 6,4 milioni di euro, 2 in cassazione per 5,7 milioni di euro e 10 definiti ma non proseguiti per 2,8 milioni di euro.
Cva Energie ha già rimborsato circa 11 milioni di euro ai clienti. Tuttavia, potrà recuperare queste somme dallo Stato solo dopo il passaggio in giudicato delle sentenze di condanna. Nel frattempo, la società ha dovuto svalutare i propri crediti per prudenza, riconoscendo nel bilancio 2024: 6,4 euro milioni di svalutazioni nette di crediti, di cui 5,5 euro milioni straordinarie; 5,9 euro milioni di accantonamenti rilasciati, in parte riassorbiti per effetto dei rimborsi già effettuati
Tra le partite più critiche ci sono 11,2 milioni di crediti iscritti a fronte dei rimborsi ai clienti, svalutati per oltre la metà per riflettere l’incertezza sul loro incasso.
“I crediti verso i clienti e verso l’Agenzia delle Dogane per le addizionali sulle accise sono legati a contenziosi civili, il cui esito è ancora incerto – si legge nella nota integrativa – L’incertezza riguarda sia i tempi che l’effettiva esigibilità”.
“Quella dell’addizionale provinciale è una delle tante situazioni paradossali all’italiana. – spiega il direttore generale Enrico De Girolamo – L’imposta era stata introdotta dallo Stato e inserita direttamente in bolletta, come avviene oggi con il Canone Rai. In seguito a un ricorso, la norma è stata abrogata. Noi, come fornitori, agivamo semplicemente da sostituti d’imposta: riscuotevamo per conto dello Stato. A distanza di dieci anni, alcune imprese hanno iniziato a fare ricorso e hanno ottenuto sentenze favorevoli. Ma, invece di attribuire la responsabilità dei rimborsi allo Stato o alle Regioni, i giudici hanno stabilito che a dover restituire le somme debbano essere i fornitori di energia. La situazione si è complicata perché i termini di prescrizione sono diversi: dieci anni per i clienti, ma solo cinque per i fornitori. Si è così creata una distorsione che rischia di lasciare il fornitore con il ‘cerino in mano’, senza la possibilità di rivalersi sullo Stato. Sulla scia di queste prime sentenze, si sono mossi i grandi studi legali e questo ha generato una vera e propria tempesta. Siamo comunque fiduciosi di riuscire a recuperare quanto anticipato ai clienti”.
CVA ha istituito un apposito fondo rischi per i contenziosi sull’addizionale accise di oltre 10 milioni di euro, a copertura dei potenziali rimborsi da effettuare ai clienti per il triennio 2010–2012. Alla fine del 2024, il fondo è stato ridotto a 3,87 milioni di euro, in parte per l’effettivo utilizzo per coprire spese legali, ma soprattutto a un riassetto prudenziale delle stime di rischio.
“Chi sta realmente beneficiando di questa vicenda, almeno per ora, sono soprattutto gli studi legali. – prosegue De Girolamo – Noi abbiamo già accantonato in bilancio importi significativi. È una situazione complessa, perché vendiamo energia in tutta Italia e, per ogni singolo rimborso, dobbiamo avviare cause contro le varie sedi territoriali dell’Agenzia delle Dogane. Stiamo gestendo la situazione, che va avanti da alcuni anni. In alcuni casi, le cause ci vengono mosse da aziende che non sono più nostre clienti; ci preoccupano di più, però, quelle che arrivano da clienti attuali. Non è mai piacevole dover resistere in giudizio contro un proprio cliente, ma crediamo che la nostra posizione sia stata compresa”.
Per ora, la società ha già ottenuto rimborsi per circa 750mila euro dall’Agenzia delle Dogane e dalla Regione per cause concluse favorevolmente. Ma il grosso resta ancora da recuperare – e da combattere in aula.
