Manca poco alle 17.30 del pomeriggio di oggi, venerdì 17 marzo, quando il bus, scortato da un fuoristrada della Polizia di Stato, si ferma nel piazzale davanti al municipio di Saint-Christophe. Scendono quindici giovani profughi, un nuovo gruppo destinato dal Ministero alla Valle d’Aosta. Sui loro volti, stanchezza per un viaggio iniziato a Siracusa, poco dopo essere sbarcati, ma anche qualche sorriso per la fine di uno spostamento durato ore e qualche coperta indossata a mo’ di sciarpa. I ventun gradi che fanno gridare i residenti all’eccezionalità, per le temperature cui i neo-arrivati sono abituati, e che hanno incontrato raggiungendo le coste italiane del Mediterraneo, devono sembrare loro un clima piuttosto moderato.
Si tratta, più che altro, di giovani uomini. Una quindicina, in tutto, che si aggiungono ai circa trecento già presenti nella regione. A gestire l’accoglienza, il personale dei Servizi di prefettura dell’Amministrazione regionale, assieme ai rappresentanti delle cooperative che cureranno l’ospitalità dei richiedenti asilo sul territorio regionale. Sudan, Guinea, Senegal, Costa d’Avorio e Bangladesh sono, tra gli altri, i paesi di provenienza dei giovani scesi dal bus. Tutti sono stati sottoposti, nei locali dell’ambulatorio adiacente agli uffici comunali, alle visite mirate ad accertare eventuali patologie (la più diffusa, in questi casi, è la scabbia), dopodiché è iniziato il trasferimento nelle strutture individuate in vari comuni tramite il nuovo bando regionale.
Il prossimo adempimento, per i nuovi arrivati, dovrebbe essere il perfezionamento dell’istanza mirata ad ottenere la protezione internazionale. L’uso del condizionale è d’obbligo. Anche in Valle si sono infatti registrati casi di profughi che hanno fatto perdere le loro tracce prima di procedere a sottoscrivere, in Questura, il modello noto agli “addetti ai lavori” come “C3”. Il caso più celebre è quello dei nuclei familiari in fuga dall’Iraq (in tutto, una trentina di persone), accolti a novembre ed irreperibili nemmeno quarantott’ore dopo le visite a Charvensod. Il più recente ha riguardato buona parte del gruppo di ventiquattro migranti arrivati lo scorso 5 marzo, in particolare quasi tutti quelli giunti dall’Eritrea (il resto erano, per lo più, somali).
Gli allontanamenti, che pongono di fatto i loro protagonisti in condizione di clandestinità (qualora venissero fermati dalle forze dell'ordine sul territorio nazionale, sarebbero riaccompagnati nei CIE), avvengono per vari motivi. In alcuni casi, chi lascia il centro cui è assegnato (nel quale ha regole di convivenza, ma non limitazioni agli spostamenti personali) lo fa per “ricongiungersi” a parenti già stabilitisi in altri Paesi europei. In altri, raggiunge comunità di connazionali, magari non lontane dalla regione cui si è stati destinati. Torino, per esempio, ad una sola ora dalla nostra regione, è la città in cui è insediato uno dei due principali nuclei di originari della Somalia (l’altro è a Roma). Insomma, una fuga nella fuga, nell’ambito di un’emergenza senza fine.