Più posti, meno bambini: gli asili nido si misurano con la denatalità
Variegato e complesso, universale e di pubblico interesse, l’apparato nazionale dei servizi per la prima infanzia rappresenta una realtà dinamica e dalle mille sfaccettature, capace di coinvolgere tanto i piccoli ospiti quanto i loro genitori e gli educatori che si occupano di accompagnarli nei loro primi passi sulla strada della formazione. A oggi, tuttavia, asili nido, garderies e strutture gestite da tate familiari non risultano esenti dalle controverse dinamiche e dalle pesanti conseguenze messe in campo dalla denatalità, un fenomeno quanto mai attuale e rilevante nonché fortemente accentuatosi durante e susseguentemente il periodo pandemico.
Prima infanzia: un settore in evoluzione
I primi nidi d’infanzia iniziano a sorgere in Italia a partire dal 1971, salvo poi moltiplicarsi e modificarsi rapidamente nei decenni successivi trasformandosi da strutture assistenziali prossime al versante sanitario in strutture di accoglienza e formazione infantile irrinunciabili per le famiglie: grazie alla loro prerogativa di accoglienza a partire dai tre mesi e sino ai tre anni, essi risultano particolarmente atti a soddisfare le specifiche esigenze di quei genitori che, a seguito di periodi più o meno prolungati di maternità e paternità, scelgono di riprendere in mano i propri mestieri e le proprie carriere.
Il sistema infantile nazionale è negli anni evoluto ampliandosi e adattandosi alle norme e agli standard europei, i quali, con la Conferenza di Lisbona del 2002, hanno infine stabilito che almeno il 33% dei piccoli al di sotto del primo triennio di età debba avere accesso ai servizi dedicati; pare ancora lontano, tuttavia, il prossimo e ambizioso traguardo pronosticato dall’Unione europea, il quale richiede agli Stati di garantire una copertura pari al 75% all’interno di istituzioni scolastiche rese aperte e gratuite per tutti.
“A partire dal 2017 tale obbligo è stato integrato anche nella nostra normativa nazionale, facendo rientrare ufficialmente tutte le offerte formative rivolte alla fascia di età dai zero ai sei anni nel sistema educativo – spiegano Patrizia Mauro e Antonella Migliore, rispettivamente dirigente della struttura Assistenza economica, trasferimenti finanziari e servizi esternalizzati e coordinatrice regionale delle strutture per la prima infanzia -. Grazie alla qualità delle sue proposte, la nostra regione parrebbe già essere un passo avanti rispetto ad altre nell’affrontare tale proposito e l’aumento del numero di posti e delle cifre distribuite a ciascuna struttura supportati dai fondi del Pnrr potrebbero rappresentare validi punti di partenza in tale direzione”.
Un’altra fondamentale novità che contraddistingue l’attuale panorama educativo infantile e al quale la Valle d’Aosta non ha ancora previsto di adattarsi coincide con il passaggio dei servizi per l’infanzia dall’assessorato Sanità, salute e politiche sociali all’assessorato Istruzione e cultura.
“Tale transizione finirà con il rendere la scuola dell’infanzia parte integrante del percorso di scolarizzazione obbligatoria del cittadino, portando le famiglie a prestare maggiore attenzione alla scelta del polo educativo al quale affidare i propri figli e aumentando il livello di competizione e conseguentemente le proposte dei differenti plessi – commentano Mauro e Migliore -. Per poter fare in modo che tale rivoluzione vada a buon fine sarà necessario ritagliare il maggior numero possibile di posti per i bambini di domani, inaugurando nuovi asili o convertendo edifici preesistenti e creando risorse che aiutino l’ingresso dei piccoli nel panorama scolastico tramite, per esempio, il pagamento di mezzi di trasporto o momenti mensa”.
Un settore alle prese con denatalità, spopolamento e invecchiamento
A scapito di positivi pronostici per il futuro che vedono moltiplicarsi e differenziarsi posti interni e risorse investite nei servizi per la prima infanzia, l’attualità italiana e soprattutto valdostana risulta offuscata dall’ombra del crollo delle nascite medie annue e del conseguente aumento dell’età media della popolazione sia nazionale sia locale, un fenomeno che non può che rimettere in profonda discussione interventi e manovre finalizzati a implementare una serie di strutture e proposte che rischierebbero di restare semivuote o del tutto abbandonate.
Secondo quanto riportato dalla ricerca “Struttura e dinamica demografica della regione Valle d’Aosta e delle sue aggregazioni infra-regionali” condotta nel dicembre del 2021 dal Laboratorio di statistica applicata dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, la popolazione valdostana totale di poco più di 125 mila residenti – comprendente peraltro quasi ottomila stranieri – ha subito, tra il 1° gennaio 2011 e il 1° gennaio 2020, una inflessione in negativo di circa 2 mila unità per gli italiani e 200 unità per gli stranieri. Tale decrescita è stata registrata in quasi tutte le Unités des Communes, con la sola eccezione dell’Unité des Communes Mont-Émilius nonché con particolare rilevanza nelle aree montane strettamente intese: in tal senso, è stato dimostrato che almeno la metà dei paesi che compongono ciascuna aggregazione comunale regionale presenta un ammontare di abitanti inferiore ai mille.
Tale situazione presente determina che l’indice di vecchiaia in Valle d’Aosta risulti in crescita tanto da far corrispondere a quota 100 ragazzi circa 188 anziani, un evidente invecchiamento generato da un lato dall’aumento della longevità e dall’altro da una costante e già citata riduzione delle nascite nonostante il contributo apportato dai flussi migratori; lo studio, poi, trasla all’analisi di questi stessi dati riferendoli però al cosiddetto indice di dipendenza locale – ovverosia il rapporto tra le fasce di popolazione dipendenti quali bambini e anziani e la fascia invece indipendente degli adulti -, il quale risulta superiore alla media nazionale sia nel 2011 sia nel 2020 andando a confermare, pertanto, l’invecchiamento dei residenti nonché la bassa concentrazione di giovani soprattutto nelle zone di alta montagna.
Osservando ancora le condizioni di natalità dalla prospettiva dei molteplici scaglioni di età dei cittadini valdostani, i ricercatori dell’Università lombarda dimostrano che, al 1º gennaio 2020, nella regione risiedono quasi 21 mila abitanti al di sotto dei diciotto anni, pari, in linea con la media nazionale, al 16% degli abitanti complessivi e con una riduzione di poco più di mille unità riscontrabile più nello specifico tra i bambini in età prescolare.
Addentrandosi infine a esaminare l’anno passato, alfine, il documento evidenzia come l’epidemia di Covid-19 che ha colpito l’Italia nel 2020 e i conseguenti e frequenti periodi di lockdown che ne hanno isolato i cittadini abbiano portato il lento declino delle nascite stabile attorno a cifra tre percento ad aggravarsi sino a raggiungere una perdita superiore al 10% a livello nazionale e al 9% a livello valdostano.
Meno bambini, più posti in asilo: la denatalità ignorata dalla politica?
La denatalità pare dunque un male che affligge tanto la Valle d’Aosta quanto tutto il resto della Penisola, ulteriormente aggravato dal calo dei tassi di fecondità, dalla minore presenza nazionale di donne in età feconda e dalla riduzione del numero di figli da esse messi al mondo oltre che per nulla mitigato dal secondario contributo della popolazione residente straniera: a confermare tale quadro subentrano i dati raccolti in merito al tasso di decremento delle nascite, che dal 2018 al 2021 assiste a una perdita circa del 20%.
Eppure, lungi dall’essere buone, le condizioni di popolamento della regione paiono aver addirittura rivisto al ribasso le previsioni per l’anno 2020 condotte su base 2011: infatti, i dati hanno potuto dimostrare come l’ammontare in tutte le classi scolastiche sia sistematicamente inferiore nella popolazione osservata rispetto a quella prevista, con una riduzione del 30% nella fascia dagli zero ai due anni e di quasi il 20% nella fascia dai tre ai cinque anni. A oggi, per essere maggiormente chiari, si conta nella regione una popolazione residente di età inferiore al primo triennio di soli 2359 piccoli, contro i 3368 contati nel 2002. Non appaiono migliori né maggiormente ottimiste nemmeno le previsioni per l’anno 2036 con base 2020 rilasciate dall’Istat il 26 novembre 2021, le quali esplicitano una evidente inflessione demografica sia in Italia che in Valle d’Aosta prevedendo per l’avvenire un incremento dei nuovi nati dal 2020 al 2036 fermo al 15% contro il 25% del periodo antecedente il Covid-19.
In questo scenario precario e dal futuro incerto rappresentano, forse, un indizio di ottimismo dei decisori politici per gli anni a venire, le ipotesi relative all’incremento nel numero di posti all’interno delle strutture per la prima infanzia della regione. Se la quota di tate familiari dovrebbe restare ferma alle 80 professioniste attive, la quantità di spazi disponibili all’interno dei nidi di capoluogo e Unités des Communes dovrebbe subire un incremento di 100 unità rispetto ai 756 attuali; differisce invece il pronostico relativo alle garderies, che, vuoi per prudenza vuoi per le peculiarità di tale tipologia di struttura, che subirebbero una involuzione pari a 18 posti sino a raggiungere, dai 79 a oggi presenti, i soli 61.
I nidi d’infanzia: 30 strutture in Valle d’Aosta
Con il nuovo anno socio-educativo, sono numerose le famiglie che hanno dovuto scegliere la struttura alla quale affidare i propri piccoli a partire dal 1º settembre e sino al 31 agosto dell’anno seguente: pubblici o privati, gestiti da Unités des Communes o enti terzi, differenziati quanto a proposte pedagogiche e condizioni di accessibilità, i nidi d’infanzia stanziati sul territorio valdostano rappresentano una risorsa preziosa nonché una proposta educativa più che gettonata per tutte quelle mamme e tutti quei papà che desiderano conciliare professionalità e genitorialità. Un tempo conosciuti sotto la denominazione di asili nido, essi rappresentano servizi di tipo socio-educativo dedicati a bambini tra i sei mesi e i tre anni che concorrono allo sviluppo della personalità del singolo mediante attività formative, educative e pedagogiche.
Con 30 strutture ubicate nella regione, tali poli di prima formazione sono di preferenza attivi dal lunedì al venerdì e nei più consueti orari lavorativi degli adulti, fermo restando un certo grado variabile di flessibilità concordata con gli stessi. Se larga parte degli spazi liberi internamente ai plessi – 636 in totale – risultano ad accesso pubblico e di titolarità dei Comuni o, più frequentemente, delle Unités des Communes, ammontano soltanto a 61 le posizioni fruibili in quelli invece di proprietà di enti, cooperative o singoli professionisti; a tale vasto nugolo di scelte, inoltre, vanno ad aggiungersi i 52 posti riservati dagli asili aziendali ai figli dei propri dipendenti e dirigenti.
Radicate e intercomunicanti con il territorio che le circonda, tali strutture si propongono di programmare la propria linea azionale secondo tempistiche e modalità proprie e capaci di rispondere alle richieste di livello locale, ma risultano al contempo vincolate alla funzione di indirizzo e controllo dei finanziamenti svolta dalla Regione; come sottolineato dalla delibera regionale numero 685 del 2022 – la quale va a definire le linee operative e i costi di ciascuna delle offerte valdostane -, inoltre, “tutti i servizi lavorano in rete con il coordinamento pedagogico regionale per garantire l’omogeneità degli interventi educativi e per programmare la formazione e l’aggiornamento del personale”.
Seguendo uno specifico progetto di rilevanza annuale, ogni educatore parte della più ampia comunità formativa è incaricato di seguire gruppi di otto bambini alla volta, un rapporto innalzatosi di due unità durante l’emergenza pandemica e rimasto tuttora invariato; tale figura, in aggiunta, funge da riferimento nel processo di separazione del bambino dalla famiglia, coadiuvando un personalizzato e progressivo periodo di ambientamento e proponendo momenti di gioco e di insegnamento orientati a portare a compimento con soddisfazione il primo segmento dell’educazione del piccolo.
Spazi gioco, garderies e tate familiari: una regione a misura di bambino
Accanto e in correlazione ai soli nidi – siano essi pubblici, privati o aziendali – costellano e arricchiscono il plurale quadro dei servizi destinati dalla Valle d’Aosta alla prima infanzia altre offerte di carattere integrativo pensate e calibrate dai tre mesi ai tre anni e orientate a offrire ai piccoli ospiti luoghi di cura e socializzazione che sappiano prevenire condizioni di svantaggio o esclusione sociale: proprio in tal senso, spazi gioco, centri per bambini e famiglie, proposte di contesto domiciliare e altri progetti di natura gestionale e pedagogica ancora differenti rappresentano per le mamme e i papà di oggi terreni fertili dove i loro figli possano impegnati nella coltivazione di potenzialità cognitive e ludiche che vadano a integrare l’impegno educativo genitoriale.
“Un tempo conosciuta sotto la denominazione di garderie d’enfance e in seguito uniformata a livello nazionale sotto la dicitura comune di spazi gioco, tale tipologia di offerta, copre un totale di settantanove posti e si differenzia dalle altre in quanto impone ai piccoli una frequentazione pari a un massimo di cinque ore durante la mattinata o il pomeriggio senza fornire loro il pasto principale – illustrano Mauro e Migliore -. Anni fa, poi, risultavano particolarmente attivi e richiesti i cosiddetti centri per bambini e famiglie, ovverosia punti di ritrovo ritagliati all’interno degli asili e finalizzati all’organizzazione di incontri e momenti di confronto vari con genitori e parenti in generale”.
Specificatamente orientati a servire territori lasciati scoperti quali i piccoli e limitrofi paesi di montagna a scarsa densità abitativa, inoltre, sono i servizi educativi domiciliari svolti dalle ottanta tate familiari operanti in Valle d’Aosta, un’iniziativa privata ma co-finanziata grazie al supporto di voucher per i genitori che ne fruiscono.
Sono ottanta le tate familiari oggi operanti in Valle d’Aosta
“La Regione svolge in tale ambito una funzione di stanziamento di risorse che agevolino l’inserimento del piccolo all’interno dei plessi tramite l’erogazione di buoni Inps il cui importo, calcolato sulla base delle quote Isee, arriva in alcuni casi a coprire l’intero importo richiesto dalla retta – aggiungono Mauro e Migliore -. Essa stabilisce annualmente le direttive per il versamento di finanziamenti sia alle Unité des Communes sia al Comune di Aosta, prescrivendo peraltro i requisiti di accesso generali che successivamente ciascun ente integra con punteggi decretati in totale autonomia sulla base di criteri ritenuti validi quali a esempio la residenza locale o il livello di entrate economiche”.
Nei mesi che hanno seguito le restrizioni e le conseguenti limitazioni ai servizi per l’infanzia imposte dall’epidemia di Covid-19, molte delle strutture un tempo ibride e dedite ad ambedue le funzioni del più costante nido e della più flessibile garderie hanno scelto di limitare la propria area di competenza riducendo di molto le prestazioni offerte alle famiglie. È il caso, per portare un esempio, de Le petit prince di Aosta, che ha consapevolmente deciso di rinunciare alla propria vocazione di spazio gioco orientandosi esclusivamente sul versante di asilo; ancora differente, poi, la situazione del Bibolo di Pollein, il cui futuro, come spiegato dalla sua coordinatrice Paola Ansermin, “è ancora in fase di definizione sino al mese di ottobre”.
Le strutture aostane tra costi e novità
Sul totale dei servizi regionali di differente competenza, figurano all’interno dell’area del capoluogo aostano tre strutture pubbliche per una disponibilità totale di centoventisei posti, ridotti a soli centodue nel corso del periodo pandemico e prossimi all’incremento sino a quota centocinquanta nell’anno socio-educativo 2022/2023; sono maggiormente complesse, invece, le vicende che riguardano i due servizi privati Farfavola e Apeluna, i quali, alla scadenza dell’iniziativa di co-progettazione comunale datata 2019 che li aveva mantenuti attivi per circa due anni, sono stati rispettivamente l’uno riattivato in forma privata e l’altro definitivamente chiuso nonostante le elevate richieste famigliari di luoghi per la custodia dei bambini.
“Le domande di iscrizione nei nostri nidi restano aperte lungo tutto il corso dell’anno e vengono calibrate sulla base della stesura di una graduatoria i cui punteggi tengono in conto fattori quali la natura monoparentale o biparentale della famiglia di provenienza del piccolo, la situazione lavorativa dei genitori, le condizioni economiche del nucleo valutate sulla base dell’Isee e, infine, eventuali problematiche o disagi che richiedano l’intervento di un assistente sociale e per le quali l’ambiente scolastico una auspicabile fonte di serenità e svago individuale – spiega l’assessora comunale alle Politiche sociali Clotilde Forcellati -. A oggi, tuttavia, l’accessibilità ai plessi è favorita dalla sostituzione dei precedenti voucher Fse, un tempo prelevati da fondi strutturali europei ma ora aboliti, con alcuni bonus Inps che arrivano a rimborsare un massimo di 272 euro mensili a utente per soglie sino ai venticinque mila euro”.
Nell’ultimo consiglio comunale del 29 settembre la Forcellati ha anche spiegato “Il 26 agosto agosto abbiamo chiuso gli elenchi e composto la graduatoria che ora è esaurita: non ci sono più persone, famiglie, in quella dello scorso anno. Quella di quest’anno è formata da 125 domande e lì si vede il peso della denatalità. Negli anni tra il 2000 ed il 2010 avevamo 125/140 persone che rimanevano senza posto negli asili nido. Oggi la totalità delle domande è di 125”.
Le domande per accedere agli asili nido di Aosta quest’anno si fermano a quota 125. Tra il 2000 e il 2010 dalle 125 alle 140 persone rimanevano escuse.
Migliorata quanto a fruibilità e flessibilità negli orari sia grazie alle modificazioni applicate alla regolamentazione economica degli accessi sia grazie alla possibilità per le famiglie che lo desiderino di comperare una permanenza oraria del proprio figlio nei locali dell’asilo, la realtà dei servizi per la prima infanzia risulta tuttora oggetto di importanti e imminenti variazioni sistematiche.
“Viviamo una fase di cambiamento completo nella gestione di tali poli educativi poiché, come concordato e approvato di concerto con la Regione, è stato stabilito che, già a partire da quest’anno, non più le strutture bensì i loro amministratori siano sottoposti a una preliminare procedura di accreditamento da ultimare entro un certo lasso di tempo predefinito volta a implementare la qualità dell’offerta comunale – anticipa Forcellati -. Inoltre, grazie a una cospicua cifra stanziata nell’ambito del Pnrr, abbiamo approvato e finanziato un progetto finalizzato all’abbattimento e alla ricostruzione del fabbricato attuale sede della mensa scolastica delle scuole elementari del Quartiere Dora con successivi ammodernamento del servizio già in essere e conversione di parte della struttura in un asilo dotato di ventiquattro posti e necessario in una zona aostana suo malgrado sguarnita”.
Il ruolo delle cooperative
Servizi garantiti lungo quarantotto settimane nel corso dell’anno – con momenti di chiusura variabili secondo festività o esigenze famigliari varie -, larga parte dei nidi d’infanzia valdostani risulta di pubblica fruizione ma affidata dai loro enti proprietari – siano essi Comuni o Unités des Communes, che a partire dal 2016 possiedono ogni prerogativa sui plessi ubicati sul proprio territorio di competenza – a cooperative locali che si occupino della loro gestione secondo normative e indicazioni prestabilite e sotto l’occhio vigile e attento degli stessi.
“Amministriamo tre strutture della regione – Saint-Christophe e Nus per conto dell’Unité des Communes Mont-Émilius e Variney per conto invece dell’Unité des Communes Grand-Combin – supportando oltre cento famiglie nella crescita e nella primissima istruzione dei loro figli – spiega la presidente della cooperativa La libellula, Raffaella Roveyaz, precisando che, diversamente da quanto previsto da altri regolamenti e pur dando priorità di accesso ai residenti dell’Unité, l’iscrizione ai plessi di loro gerenza non tiene conto del requisito reddituale quale criterio incisivo nell’ammissione del bambino ma unicamente quale modalità per il calcolo dei contributi da versare -. A partire dall’avvio dell’anno socio-educativo ai primi inizi di settembre e ragionando su quantità, età, peculiarità e predisposizione degli utenti presenti, effettuiamo assieme alla nostra équipe educativa una programmazione annuale delle nostre proposte e dei progetti specifici che rendono ogni nido un unicum a livello di caratteristiche intrinseche e offerte formative”.
Il periodo estivo rappresenta per molte cooperative gestrici un momento intenso e incerto poiché, sentendo prossima la scadenza dei bandi che attribuiscono loro l’incarico all’interno di una o più strutture, esse si apprestano a lanciarsi nelle gare di appalto che permetteranno loro di acquisire nuovi poli oppure di mantenere nelle proprie mani quelli già di loro spettanza.
“Attualmente, soltanto l’avviso relativo al plesso di Charvensod risulta vicino alla conclusione, prevista per fine agosto, ma, grazie alle condizioni di trasparenza che impongono la pubblicazione online di potenziali nuove chiamate, la nostra cooperativa non soltanto può ipotizzare di ripresentare domanda per la gestione del medesimo servizio ma anche immaginare di spaziare fuori Valle e all’estero per ampliare le proprie possibilità lavorative – prosegue Michel Luboz, presidente della cooperativa Leone rosso, che, oltre a due centri per l’infanzia ubicati nell’Astigiano e al già citato Charvensod di effettiva proprietà dell’Unité des Communes Mont-Émilius, si occupa in Valle d’Aosta delle sedi dell’Unité des Communes Valdigne e di alcune di quelle di Aosta, per una capienza totale di oltre duecentocinquanta posti resa flessibile in base all’esigenza delle famiglie di usufruire di prestazioni giornaliere oppure part-time -. Quanto alle condizioni di ingresso nei nostri asili, generalmente esse vengono stabilite dalla committenza tramite un regolamento dal quale ottenere una graduatoria, al completamento della quale i nostri dipendenti possono eventualmente fornire un supporto nella raccolta delle domande di adesione e nella successiva redazione della lista di candidati infine approvata dalla stazione appaltante”.
Diversi ancora i criteri riferiti alle strutture private, che propongono alle famiglie una forma di iscrizione più libera e svincolata da caratteristiche od obblighi vari che non siano il tempismo di accreditamento: è questa la casistica, a esempio, del discusso plesso Farfavola, da maggio passato sotto la cooperativa La Sorgente dopo le vicissitudini burocratiche ed economiche che lo hanno visto protagonista a decorrere dal 2019.
“Da questa primavera il plesso è divenuto di nostra proprietà e, nonostante gli elevati costi di gestione e tutte le ulteriori difficoltà legate all’amministrazione quotidiana e totale di un servizio proprio, abbiamo deciso di lanciarci con determinazione in questa avventura al fine di venire incontro ai bisogni e alle richieste del territorio con lo scopo di fornire un aiuto quanto più grande e concreto possibile a coloro che lo domandano – continua Riccardo Jacquemod, presidente dell’ente -. Anche all’interno dei nostri poli di Saint-Pierre e Gressoney Saint-Jean nonché del plesso aziendale dell’Usl della regione, cerchiamo di mantenere sempre alti i nostri livelli di eccellenza e innovazione proponendo orari flessibili e progetti educativi validi e diversificati”.
Costituiscono invece una particolarità oltre che un valore aggiunto nella sua ampia offerta sita nel fondo Valle gli asili nido di Verrès e Hône, ambedue di proprietà e non soltanto in gestione alla cooperativa Le Soleil, alla quale in appalto per conto dell’Unité des Communes Mont-Cervin pertengono anche i nidi di Verrayes e Cervinia nonché di quello di Antey-Saint-André e di una sezione da poco esternalizzata di quello di Pont-Saint-Martin.
“Anche a scapito della innegabile delicatezza nella supervisione economica che esse richiedono, tali condizioni di operatività risultano per noi più immediate e vantaggiose dal punto di vista delle tempistiche degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria nonché più elastiche per ciò che concerne la quotidianità educativa e scolastica dei piccoli – ha concluso il presidente dell’ente, Roberto Trapasso, che vede in tale tipologia di conduzione il futuro dei poli formativi infantili della regione -. Al fine di mantenere inalterati gli elevati dettami locali, le centrali cooperative valdostane hanno presentato richiesta presso gli organi politici competenti per l’organizzazione di un tavolo di confronto volto anzitutto a proporre un abbassamento del rapporto numerico tra bambini ed educatori alla quota pre-pandemica e in seguito a chiarificare le normative che regolano a soli novecento euro la quota standard di gestione e costo individuata nel 2015 ma non sufficiente per esempio in asili piccoli o in località dagli standard di vita maggiormente cari”.
Rappresenta per converso un parziale unicum nella storia gestionale dei servizi per la prima infanzia della bassa Valle il nido e garderie d’enfance di Pont-Saint-Martin, nato nel 1980 e autorizzato per ospitare sino a quaranta piccoli residenti salvo poi essere affiancato, nel 2010, a un più versatile spazio gioco da quattordici posti: amministrato totalmente in forma diretta dall’Unité des Communes Mont-Rose sino all’anno corrente, a oggi il plesso si trova soltanto in parte sotto la gerenza dell’ente, che ha scelto di esternalizzare e di affidare alla cooperativa Le Soleil una parte delle innumerevoli implicazioni professionali del proprio polo educativo. Anche a scapito della riduzione delle prerogative comunali sulla struttura, tuttavia, essa perdura nel mantenere inalterata la sua vincente costituzione sinergica tra spazi interni ed esterni, i primi sintonizzati sulle diverse fasi che scandiscono la crescita del bambino e sulle relative caratteristiche e necessità mentre i secondi allestiti nel pieno rispetto dei bisogni e delle potenzialità di sviluppo dei piccoli, nella solida convinzione che ogni qualsivoglia attività all’aperto possa costituire una preziosa risorsa formativa nutrita di esperienze motorie, ambiente e natura e giochi di fantasia e creatività.
La soluzione del nido aziendale dell’Azienda Usl
Aperto dal mese di aprile del 2005 e servizio richiesto e attivo dopo la lunga chiusura dovuta al lockdown pandemico, l’asilo nido Le Marachelle di Aosta ha ospitato nel corso di un quindicennio oltre trecento tra figlie e figli dei dipendenti dell’Azienda Usl locale, puntando a fornire un sostegno nella loro cura e nella loro formazione nonché a favorire la conciliazione tra le tempistiche di vita e di lavoro dei loro genitori. Preceduta nel 2003 da uno studio di fattibilità denominato “Non uno di meno” volto a definire con chiarezza e con il supporto di esperti e dipendenti la linea azionale del plesso, la struttura è una delle prime a circoscrizione aziendale e sanitaria azzardata nel nostro paese; tuttora sotto la gestione della cooperativa La Sorgente, che di anno in anno lavora a stretto contatto con i propri committenti garantendo continuità e qualità ai genitori che fruiscono del suo servizio, il polo conta peraltro di sei ulteriori posti aggiuntivi connotati da ampia flessibilità nell’organizzazione.
L’asilo Rosset a Châtillon: un plesso storico
Primo nido d’infanzia sorto in Valle d’Aosta nel lontano 1973 e gestito direttamente dal Comune sino al passaggio sotto la direzione dell’Unité des Communes Mont-Cervin nel 2016, l’asilo Dottor Samuele Rosset di Châtillon rappresenta il fiore all’occhiello dell’intero paese ed è capace di accogliere al suo interno un totale di quaranta bambini selezionati tramite graduatorie a cadenza semestrale.
“I primi iscritti degli Anni Settanta sono stati proprio i figli degli amministratori di allora, desiderosi di far decollare un servizio allora poco diffuso in Italia e nel quale la popolazione faticava ad avere fiducia – racconta Stefania Sasso, coordinatrice pedagogica del plesso dal 2008 nonché referente per la prima infanzia dell’Unité -. Nonostante larga parte dei poli educativi dedicati alle fasce di età più piccole siano di fatto pubblici ma affidati a enti terzi tramite gare di appalto, qui è stata compiuta una scelta opposta che rende tuttora il nido una sorta di capofila di tutti quelli stanziati sul territorio valdostano”.
Dopo i festeggiamenti dei quaranta anni di attività nel 2013 e preso dai ferventi e fieri preparativi per il cinquantenario previsto nel 2023, tale costruzione di natura comunale e a conduzione diretta offre al proprio personale dipendente e assunto direttamente dall’Unité e, conseguentemente, anche ai suoi piccoli ospiti una stabilità e una continuità altrimenti impossibili per un concorrente in proprio.
“Il rinnovamento di tale linea operativa sancito quest’anno dalla nostra Giunta ci permette anzitutto di investire nel nostro team educante sia dal punto di vista economico che dal punto di vista formativo – precisa Sasso -. In aggiunta, grazie alla costante indipendenza dalle leggi che governano l’attuale sfera del mercato, abbiamo l’opportunità unica di coltivare una forma autentica e fruttuosa di cultura dell’infanzia svincolandoci dalle immediate necessità finanziarie e agendo in una soddisfacente direzione pedagogica che, a livello regionale così come anche a livello nazionale, riconosca il nido quale fondamentale e innegabile primo segmento della formazione delle donne e degli uomini di domani”.
Nonostante i quasi cinquanta anni di vita, l’asilo Dottor Samuele Rosset di Châtillon ha tentato nel tempo di rinnovarsi e innovarsi costantemente, puntando non tanto sulla mera attrattiva orientata a soddisfare l’implementazione delle proprie risorse monetarie bensì sullo sviluppo di competenze e capacità formative insite nei momenti di programmazione settimanale delle attività da parte degli insegnanti.
“Lavorando di concerto con i numerosi altri sevizi dell’Unité e seguendo in prima persona aspetti ritenuti imprescindibili quali per esempio le graduatorie di accesso, le nostre proposte non si limitano certo a scelte educative accattivanti ma istruttivamente vuote e superflue – termina Sasso -. Per converso, il nostro servizio si pone l’obiettivo di costruire contesti ricchi e stimolanti per ciascun bambino, un ambiente giustamente sfidante che approfondisca e ampli la creazione identitaria di ciascun iscritto e nel quale l’adulto si faccia regista non di semplici lavoretti ma di spazi, tempi e materiali adeguati ad accendere il fuoco esplorativo nel cuore dell’allievo”.
Educazione parentale: oltre 100 adesioni allo Spazio per crescere
Aria aperta, alimentazione biologica, insegnamenti pratici e concreti e apprendimento trasversale sono gli ingredienti principali del progetto educativo Spazio per crescere, ideato in un piccolo villaggio di montagna del Villair di Quart da Désirée Benzo in collaborazione con altri genitori del paese accomunate dai medesimi principi e dalle medesime volontà pedagogiche per i propri figli. Nata nel 2017 e inizialmente destinata alla sola fascia dell’infanzia, a partire da quest’anno l’iniziativa si è estesa per comprendere anche la fascia della scuola primaria sino ai dieci anni, arrivando a contare oltre cento adesioni annuali di bambini tra i due e i sei anni di età.
“Pensate dalle famiglie per le famiglie, le giornate vengono gestite dai partecipanti in maniera attiva a seconda delle proprie capacità e dei propri talenti, con il supporto di educatori, insegnanti e consulenti che si occupano di coordinare gli apprendimenti collaborando alla realizzazione dei curriculum formativi – commenta l’educatrice professionale nonché referente del progetto, da poco trasferitosi a Gressan.
A coloro che scelgono di aderire in maniera responsabile, consapevole e cooperativa sono proposte attività di istruzione parentale, oltre che insegnamenti multidisciplinari e lezioni di vita pratica che valorizzino le competenze individuali dei singoli bambini nel rispetto dei loro tempi e dei loro ritmi, favorendo curiosità, piacere della scoperta e problem solving nonché stimolando una crescita libera, funzionale e consapevole”.
Lo Spazio per crescere dei nuclei famigliari coordinati da Benzo coincide di fatto con la natura, la quale permette ai piccoli di toccare con mano l’ambiente che li circonda restando a stretto contatto con gli animali e l’orto, in una peculiare ideologia che trasforma il bosco nel luogo ideale in cui essi possano muoversi e imparare da una flora e da una fauna per loro convertitesi in maestre.
“Il forte legame con il territorio e l’utilizzo di una pedagogia di tipo pragmatico ed esperienziale rendono l’immagazzinamento di lezioni non tanto nozionistiche quanto piuttosto tangibili e reali maggiormente diretto, spontaneo e stimolante per l’incremento personale di tutti i cogenti della relazione educativa – prosegue la donna -. La natura rappresenta la dimensione più sana e autentica nella quale i bambini possono collocarsi, vivendo con la serenità e la semplicità che sono proprie della loro infanzia e operando scelte e compiendo azioni del tutto libere da vincoli o condizionamenti altrui”.
I progetti educativi estivi Été au village del 2020 e del 2021 hanno infine visto i bambini coinvolti, con il supporto di Benzo, nella stesura condivisa di due libri recentemente pubblicati basata sulle loro idee creative e sui momenti di quotidianità vissuti nel corso dell’estate.
Uno sguardo montessoriano all’educazione infantile
Quando è il metodo didattico ad adattarsi al bambino e non viceversa e quando anche la famiglia gioca un ruolo cruciale nell’educazione infantile, nascono iniziative che, come il progetto parentale proposto dalla struttura Me.Lo. Education, adottano strategie formative inconsuete ma efficaci in un panorama circoscritto come la Valle d’Aosta.
Trasferitasi dal calore messicano al rigore invernale valdostano nonché reduce da studi totalmente montessoriani, la fondatrice e direttrice del polo Nelly Mendiola ha nel 2014 coronato il proprio sogno con il pieno appoggio del marito aprendo le porte del suo nido di Gressan a diciotto piccoli residenti; pochi anni più tardi, spinta da alcuni genitori che desiderano regalare ai propri figli una certa continuità nel loro percorso di base, l’educatrice ha scelto di suddividere l’ampio e luminoso edificio dove opera in due distinti settori, l’uno dedicato alla fascia di età dagli zero ai tre anni e l’altro comprendente invece ospiti sino ai sei anni.
“Tale idea, che deve il suo nome al fatto di rispondere alle esigenze dei nuclei famigliari che ho assistito in passato e che si presenta come la somma tra un nido d’infanzia e una scuola materna, nasce dalla consapevolezza che i piccoli istruiti tramite l’approccio Montessori siano in grado di sviluppare una grande autonomia di azione e riflessione nonché un inaspettato e determinato senso della decisione, due indici di una maturità che con soli tre anni di insegnamento alle spalle rischia di andare perduta una volta iscritti nella scuola pubblica – constata la donna, assistita quotidianamente da due ragazze come lei certificate per l’applicazione nel concreto della metodologia didattica creata dalla pedagogista Maria Montessori -. Nonostante le differenze di età, i bambini sono chiamati a instaurare legami e a coltivare amicizie reciproche, uno sforzo che, una volta andato a buon fine e anche a scapito dei ragionevoli timori dei loro genitori, permette ad ambedue i gruppi di coltivare un crescente senso del limite e del rispetto”.
In linea con dettami estetici tipicamente montessoriani quali pareti di colorazione chiara e grande apertura spaziale, “Me.Lo. Education” promette di valorizzare e incrementare in maniera esponenziale l’unicità insita in ciascuno dei suoi frequentatori con un piano di istruzione calibrato sullo sviluppo dell’indipendenza mentale e fisica del singolo.
“Anche se alcune famiglie temono l’approdo alle scuole elementari in virtù delle conseguenze del passaggio da un contesto di libertà quasi totale alla necessità di adattarsi alle regole e alle decisioni stabilite da maestre e compagni, la straordinaria capacità di adattamento dei piccoli permette loro di mantenere inalterati alcuni dei vantaggi più emblematici apportati loro da tale metodologia, radicati nella loro personalità poiché acquisti in maniera mirata prima dei sei anni – precisa Mendiola -. Amore per apprendimento, capacità di pronunciare discorsi profondi, volontà di pensare criticamente, facilità nel compiere già a un anno e mezzo gesti quotidiani come togliersi e allacciarsi le scarpe o entrare non accompagnati all’interno di un qualsivoglia ambiente restano immutati e importanti cardini dell’adulto che ogni nostro assistito diverrà in futuro”.
Tate familiari: indipendenza pedagogica e serietà professionale
Alcune dipendenti della cooperativa La Libellula ma per larga parte libere professioniste, le tate familiari rappresentano una valida alternativa al più affollato asilo nido capaci di attecchire con semplicità e spontaneità specificatamente in tutti quei piccoli paesi di confine e in tutti quei villaggi di montagna per loro stessa conformazione scarsamente popolosi e pertanto non provvisti dei servizi presenti invece nei comuni di maggiore ampiezza. È in un clima di totale autonomia gestionale e azionale che, da ben tredici anni, Cinzia Avati assiste circa sette famiglie ogni anno nella sua struttura ubicata a Saint-Marcel, creando con loro e i loro piccoli membri forti legami e stretta sinergia.
L’ingresso al nido tra liste di attesa e disagi famigliari: la testimonianza di una mamma
Prima in Italia per livello di qualità di vita infantile grazie all’alto punteggio ottenuto per il suo grado di accessibilità a scuole ed edifici scolastici in generale, la Valle d’Aosta offre a numerosi genitori la possibilità di usufruire di molteplici e variegati servizi che permettano loro un celere ritorno al proprio lavoro dopo il temporaneo periodo di maternità e paternità. Sono infatti molte le famiglie – e, più specificatamente, le madri – che annualmente si affidano a strutture e professionisti del settore pedagogico non soltanto per l’educazione e la cura dei propri figli ma anche e soprattutto nell’ottica di mantenere stabile la propria occupazione e, conseguentemente, le proprie entrate.
Eppure, accanto alle mamme che, grazie alla fortuna di poter vedere andare a buon fine l’iscrizione del proprio piccolo all’interno di uno dei diversi plessi regionali, sono in grado di coltivare la propria carriera lavorativa con serenità affettiva e soddisfazione personale, di gran lunga più nutrito risulta il ventaglio di donne che, vuoi a causa della mancanza di posti disponibili vuoi a causa dell’assenza di proposte quotidianamente rapportabili quanto a ubicazione od orari, riscontrano non poche difficoltà nella conciliazione tra la propria genitorialità e la propria professionalità.
“Consigliata dai dipendenti di alcuni uffici competenti, dimostratisi cortesi e aperti a offrirmi tutto l’aiuto del quale necessitavo, ho provveduto a compilare la domanda per l’ammissione di mio figlio dopo alcuni mesi dalla sua nascita, scoprendo successivamente che la proibitiva lista d’attesa nella quale era stato inserito contava in totale circa cinquanta iscritti – lamenta Ana Garcia, una delle molteplici voci insorte, nel corso di quest’anno e degli anni passati, a critica di un sistema regionale giudicato confusionario e chiuso -. Ammetto che all’epoca ero scarsamente informata circa le strutture regionali in generale e le regolamentazioni per l’ingresso dei bambini, ma comunque non riesco a capacitarmi di un ritardo che ha portato mio figlio a trovare posto unicamente a giugno nonostante la sospensione parziale delle restrizioni pandemiche”.
Come molte altre madri che lamentano problematiche legate all’accesso fisico e finanziariamente abbordabile al segmento educativo infantile, anche Ana è stata costretta ad affidare il suo neonato alla cura dei nonni paterni, suoi unici parenti in Italia ma comunque troppo anziani per occuparsi delle esigenze quotidiane di un bambino così piccolo.
Anche una volta ottenuto il part-time, i turni incompatibili mi hanno indotto a lasciare il posto fisso
“Mentre mio marito è riuscito a variare il suo contratto da insegnante in un più flessibile part-time, soltanto dopo un certo lasso di tempo l’azienda di ambito sanitario presso cui ero impiegata ha scelto di concedere anche a me un impiego a tempo parziale, i cui turni, mi sono resa conto, non erano tuttavia affatto compatibili con i miei orari di mamma – osserva osservato Ana -. Per nulla agevolata dai miei datori e conscia della temporaneità dell’eccezione concessami, dunque, ho scelto di lasciare tale professione fissa, adoperandomi poi nella ricerca di un altro mestiere per il quale sto tuttora preparando un concorso pur trovandomi di fatto in disoccupazione”.