Era stata la prima indagine per autoriciclaggio condotta in Valle d'Aosta, culminata negli arresti, lo scorso gennaio, di Josefina Bienvenida Herrera Nunez, parrucchiera di 53 anni, e del suo convivente, Antonino Tripodi, dipendente dell'Agenzia delle Entrate di 55. La coppia, oltre al reato introdotto nel 2015 in Italia, è accusata anche di associazione a delinquere finalizzata alla sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte aggravata e la vicenda, al momento, si caratterizza per la divergenza tra le parti.
La Procura, attraverso il pubblico ministero Luca Ceccanti, ha chiesto il giudizio immediato, un procedimento particolare in cui si “salta” l'udienza preliminare passando direttamente dalle indagini al dibattimento in aula. E' la scelta che il magistrato inquirente compie, di norma, all'emergere dell'evidenza della prova a suffragio del quadro accusatorio. In questo caso, il gip Giuseppe Colazingari ha accolto la richiesta del pm, fissando il processo per il prossimo 9 maggio.
Tuttavia, i due coinvolti nella vicenda (che non avevano risposto alle domande nell'interrogatorio di garanzia), tramite gli avvocati che li difendono, Massimo Balì e Federico Mavilla, hanno già avanzato richiesta di rito abbreviato. Si tratta di una forma processuale, a porte chiuse, in cui il giudizio è limitato allo stato degli atti raccolti nelle indagini, o con integrazioni strettamente necessarie alla decisione (non vegnono comunque ascoltati testimoni, per esempio). In caso di condanna, questa opzione dà diritto allo sconto di un terzo della pena.
Sarà il giudice a doversi pronunciare sull'ammissione all'abbreviato richiesta dai legali. Le indagini, condotte dal Gruppo Aosta della Guardia di Finanza, si erano chiuse contestando alla donna, titolare di un salone in via Torino, nel capoluogo regionale, di non aver versato, dal 2000 al 2016, 230mila euro di imposte. La stranezza, balzata agli occhi delle Fiamme gialle durante un controllo di routine, era nel fatto che la ditta avesse ricevuto 129 cartelle esattoriali, riuscendo a continuare l'attività.
Dagli accertamenti, era emerso – come spiegato dagli inquirenti all'epoca dei fermi – che il convivente della donna “aveva messo a disposizione i propri conti correnti per pagare fornitori e dipendenti, riscuotere i corrispettivi e far quindi 'andare avanti' il salone, malgrado le procedure cautelari avviate per i pagamenti non effettuati”.
Dalle analisi bancarie e dei flussi di denaro, i finanzieri erano poi arrivati al fatto che i due, “operando svariate ricariche di carte di credito e spedendo denaro tramite dei 'money transfer', hanno inviato nella Repubblica Dominicana, terra di provenienza della donna, circa 150mila euro, di fatto sottratti ad onorare i debiti tributari pendenti in Italia”. Le somme andate oltreoceano sarebbero state investite in un attico, una villa con piscina e due saloni di bellezza.