“Dopo l’assoluzione va restituita dignità a Vincenzo e Rossella Furfaro”
A nemmeno una settimana dall’assoluzione nel processo per un presunto traffico di rifiuti da scavo, provenienti anche dal cantiere del parcheggio pluripiano “Parini”, uno dei sei imputati sceglie l’inusuale strada di una conferenza stampa. Una volta di fronte ai giornalisti, in un locale del centro di Aosta, il cinquantottenne Vincenzo Furfaro però praticamente non parla, lasciando che a farlo sia il legale che ha assistito lui e la figlia Rossella, altra accusata nella vicenda.
“Mi rendo conto che una notizia di rinvio a giudizio, – sottolinea l’avvocato Carmela Marrapodi – anche di una certa quantità di persone, fa molto più clamore di un'assoluzione. Però, quello che mi preme è proprio dare il giusto rilievo a questa sentenza. E’ giusto restituire dignità ai signori Furfaro Vincenzo per primo, a Furfaro Rossella, e a tutta la famiglia, oltre che riabilitarli e riabilitare, facendola rientrare nel mercato, la società Tramoter”.
Nel processo chiusosi ad Aosta sei giorni fa, padre e figlia (che si occupa dell’Amministrazione dell’impresa) erano imputati di associazione a delinquere. A chiedere l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, formula confermata dal verdetto finale, era stato lo stesso Pubblico ministero Luca Ceccanti, ritenendo fondamentali delle intercettazioni telefoniche che il collegio giudicante aveva però valutato come inutilizzabili, perché provenienti da un altro procedimento penale (quello nato dall’indagine “Tempus Venit” dei Carabinieri).
Un tema, quello dell’esclusione dal dibattimento di quelle telefonate, sul quale, tuttavia, l’avvocato Marrapodi non fatica ad intervenire, sostenendo che anche qualora non fossero state scartate “non avrebbero comunque portato e provato nulla e quindi siamo certi che in ogni caso sarebbe arrivata l’assoluzione”.
Nei confronti della Tramoter, nell’ottobre 2015, era stata emessa dal Questore di Aosta la seconda interdittiva antimafia mai spiccata nella regione. Un provvedimento che – assieme alla cancellazione dall’elenco dei trasportatori di cose per conto terzi e dall’albo degli smaltitori di rifiuti (conseguentemente decise da altri enti) – secondo il legale è basato su “sospetti e pregiudizi” ed ha messo “in ginocchio la Tramoter, impedendole praticamente di lavorare e colpendo anche Vincenzo Furfaro, che si è visto allontanare da un cantiere con un ordine di servizio arrivato dall’Anas, a seguito proprio dell’interdittiva”.
L’episodio è sempre della fine del 2015 ed è avvenuto sul sito di un’opera a Genova, con la richiesta di allontanamento giunta dalla Direzione Distrettuale Antimafia. “Contro i miei assistiti e la famiglia – ha aggiunto l’avvocato Marrapodi – si è puntato più volte il dito. Sono sempre stati considerati dei criminali. L’unica condanna a carico di Vincenzo Furfaro è di oltre trent’anni fa, dopodiché non è mai più stato giudicato”.
Il riferimento è al processo per associazione a delinquere, conclusosi alla Corte d’Appello di Reggio Calabria il 24 ottobre 1985 con una condanna a tre anni e sei mesi, “ampiamente scontati al momento del verdetto”. “Ritengo – ha commentato al riguardo il legale – che ogni essere umano debba essere messo nella condizione di rifarsi una vita, di riabilitarsi, di cambiare”.
Per tutte queste ragioni, contro il giudizio del TAR della Valle d’Aosta, che ha respinto il ricorso presentato dalla Tramoter verso l’interdittiva, l’avvocato ha annunciato appello in Consiglio di Stato (“aspettavamo questa assoluzione”). Inoltre, ritenendo il provvedimento lesivo dei diritti di Vincenzo Furfaro, ricorso è stato proposto anche alla Corte europea di Strasburgo, ma “i tempi sono lunghi”.
In tutto questo, il diretto interessato, trasferitosi in Valle nel 1998, seguito dalla famiglia nel 2002, è rimasto praticamente in silenzio per gli oltre venti minuti dell’incontro. A conferenza finita, ad alcuni cronisti ancora presenti, ha offerto un lapidario: “I grandi criminali, i terroristi, sono stati riabilitati, io no”.