Si era sottoposta ad un’operazione di pieloplastica robotica all’ospedale “Parini” il 12 aprile 2010, spostandosi dalla Sicilia ad Aosta. Obiettivo: correggere una malformazione congenita. Il dolore accusato dall’indomani dell’intervento, però, non voleva sapere di andarsene, tanto che dieci mesi dopo continuava ad essere intenso. La donna, una cinquantenne del messinese, decise così di sottoporsi ad una TAC, dalla quale emerse la presenza, proprio nell’area dell’intervento (il bacinetto renale sinistro), di uno spezzone di filo di sutura, attorno al quale si erano formate delle calcificazioni.
L’esito dell’esame spinse la paziente a denunciare i sanitari che, all’ospedale aostano, si erano occupati di lei. Il processo a carico degli urologi Paolo Pierini (69 anni), Massimo Viganò (58) ed Ezio Talarico (53) si è chiuso stamattina al Tribunale di Aosta. Il giudice monocratico Marco Tornatore ha assolto tutti e tre “perché il fatto non costituisce reato”. Il pronunciamento in tal senso era stato richiesto, in fase di discussione, già dal pubblico ministero Sara Pezzetto, che nelle testimonianze rese (comprese quelle di vari consulenti tecnici) e nella documentazione prodotta non aveva ravvisato elementi di colpa ascrivibili ai tre medici.
Per la paziente, il filo era stato dimenticato nel suo corpo dai medici, durante l’operazione. Una tesi cui i legali dei sanitari (Claudio Soro, Massimiliano Sciulli e Piergiorgio Petrini) hanno ribattuto sostenendo che “quanto avvenuto è un’evenienza, ma non consegue a una manchevolezza dei medici”. Sulla stessa lunghezza d’onda un consulente della difesa, che ha sottolineato come quanto accaduto alla paziente costituisca “una complicanza tipica, che ha allungato leggermente la guarigione post-operatoria. Da chirurgo ritengo che non ci siano elementi che facciano ravvisare un comportamento non corretto”.