A guardarlo attraverso le lenti di quanto accaduto, l’ultimo saluto a Corrado Hérin, tributato nel pomeriggio di oggi, venerdì 5 aprile, nella natia Fénis, pullula di paradossi. Ne è uno il sole che riscalda il pianoro della chiesa parrocchiale, fattosi largo nel cielo dopo due giorni di inverno in aprile, in una zona che ogni cartina dell’“Envers” vuole regno dell’ombra. Ne sono un altro gli occhi gonfi e i volti tirati tra le diverse centinaia di persone accorse per un abbraccio ideale, in un’atmosfera da film in bianco e nero, ma tratteggiata dai colori delle svariate divise presenti, sfondo dei tanti mondi attraversati da Hérin.
Dal verde-marrone dei Vigili del fuoco cui apparteneva (con il rosso del suo casco da Caposquadra poggiato sulla bara), alle giubbe rosse dei maestri di sci (lo era di snowboard), passando per le tante declinazioni cromatiche delle sgargianti casacche delle squadre di mountain bike, di slittino, di sci e di aeroclub. Mondi apparentemente lontani, ma intimamente uniti da quell’“abbiamo vissuto molto, abbiamo vissuto forte”, dalle “emozioni travolgenti per pochi fortunati” e dalla “passione per la polvere ed il fango, il sacrificio, la dedizione”, sottolineati nel messaggio del già azzurro di downhill Stefano Migliorini, letto da un amico alla fine del funerale a nome del gruppo dei “Randagi”.
Continuando con i paradossi impossibili da non scorgere, ne è un altro ancora che il cimitero in cui l’interminabile fiume di persone ha accompagnato Hérin al termine della funzione sia a poche centinaia di metri, in un’ideale linea retta verso est (o “verso 09”, in gergo aeronautico), dal campovolo di Chatelair in cui, assieme all’amico di tante avventure alate Devis Blanchet, il 52enne è decollato domenica scorsa ai comandi del suo ultraleggero Shock Cub, senza immaginare che non avrebbe fatto ritorno da quel volo sulla Valtournenche, sulla Torgnon in festa che l’aveva adottato a braccia aperte perché paese della compagna Roberta.
Forse anche per questo insieme di circostanze, le parole del parroco nell’omelia sono suonate ancora più difficili da metabolizzare. “I legami costruiti, nell’arco di una vita, con i nostri cari, sono legami che ovviamente la morte viene a cambiare profondamente, infliggendo al nostro cuore sofferenza e dolore”, ha detto don Giuliano Albertinelli. L’ancora cui aggrapparsi, ha proseguito il sacerdote, è nel fatto che “la morte, pur con la sua brutalità, pur con la sua ingiustizia, non può cancellare i legami di affetto e di amore che si sono costruiti”.
Ai sentimenti si aggrappa anche – prima che il feretro lasci la chiesa stracolma (portato a spalla dagli ex atleti con la divisa della nazionale Stefano Migliorini, Bruno Zanchi, Paolo Caramellino, Gianluca Bonanomi, dalla compagna di squadra ai tempi della Sintesi-Verlicchi Giovanna Bonazzi e dal tracciatore di gare Pippo Marani) – il sindaco Mattia Nicoletta, obbligato ad arrendersi all’inesistenza di parole “che possano dare una spiegazione a quello che è accaduto”. Parole di cui, in fondo, “forse non c’è una gran necessità”, perché “se guardiamo tutte le persone che hai radunato”, ecco “una dimostrazione vera, concreta” di quanto “tu, Corrado, hai saputo farti voler bene”.
Una vicinanza di tante persone che fa capire “una cosa che noi sapevamo già”, cioè “che tu avevi una marcia in più”, perché “hai saputo unire delle comunità”, “promuovere il nostro piccolo Fénis” e “portare il nome della Valle in giro per il mondo”, grazie ai vari titoli iridati vinti in sella ad una bici o su uno slittino, e “di questo potremo solo essertene sempre grati”. Ma i paradossi sono lì, sotto gli occhi di tutti, a partire da una manovra tutt’altro che funambolica finita in tragedia, fino a quelli emersi tra chiesa e cimitero e portano il Sindaco a concludere che “purtroppo il destino e la vita sono stati ingiusti con te, ma credo siano stati ingiusti soprattutto con i tuoi cari”.
Rivolgendosi ai figli di Hérin, Ester ed Erik, 15 ed 11 anni, Nicoletta ha quindi riassunto a voce alta l’eredità lasciata dal “pompiere volante” (la definizione è di un compagno delle due ruote): “l’entusiasmo per la vita”, il “coraggio di vivere e di sfidare”, perché “lui era uno cui le sfide piacevano, lui cercava le sfide, lui le vinceva”. Difficile trovare una foto di Hérin, compresa quella che oggi era accanto al feretro di legno chiaro, in cui non sorrida. La cifra distintiva “di un grande esempio, che oggi non è comune: quello della generosità e quello dell’altruismo. Perché se c’era bisogno, a detta di tutti, Corrado era pronto”.
L’evocazione di un tratto caratteriale, di una statura umana e professionale che ha composto per un attimo tutti i paradossi di una vicenda maledetta – destinata a tormentare in eterno due famiglie private di un figlio, marito e padre, per le domande più pesanti delle risposte (attese, peraltro, per quando non interesseranno più alle masse) – in cui il caloroso applauso finale di amici, colleghi e compagni di sport e vita diventa la medaglia più preziosa ad aggiungersi al già ricco palmarès di Hérin. Quella che lo accompagnerà nei ricordi collettivi e nel volo cui non è seguito un atterraggio.