Morto nella lite di Charvensod, la Procura chiede di archiviare le accuse

Secondo il pm Pizzato, tre aspetti non consentono di sostenere l’omicidio preterintenzionale nei confronti deI muratore 47enne Remo Quendoz, indagato per il decesso di Rachid Oussalam, avvenuto il 23 settembre 2018.
Cronaca

Visti gli esiti delle tre consulenze medico-legali svolte sulla morte di Rachid Oussalam, avvenuta al culmine di una violenta lite nelle prime ore del 23 settembre 2018 a Charvensod, e di altri atti di indagine compiuti, il pm Francesco Pizzato ha escluso di poter sostenere l’accusa di omicidio preterintenzionale nei confronti di Remo Quendoz, 47enne coinvolto nella colluttazione ed indagato per il decesso, ed ha quindi chiesto al Gip del Tribunale di archiviare il fascicolo aperto sull’episodio.

Cosa accadde quella notte

È passata da poco la mezzanotte, in un locale lungo la strada regionale per Pila, e, nella ricostruzione riportata dal Sostituto procuratore nell’istanza al giudice, “Oussalam, in stato di alterazione dovuto all’abuso di bevande alcooliche (l’autopsia rilevò nel suo sangue un tasso alcolemico di 1.12 grammi per litro di sangue, ndr.)” aveva “iniziato a gridare senza alcun apparente motivo”. Dopodiché era uscito dal locale, “dove aveva rotto un tavolino collocato nel dehors” e, secondo alcuni testimoni, “aveva scagliato a distanza lo zaino di Quendoz che si trovava appoggiato al muro esterno”.

È il momento in cui alcuni connazionali della vittima tentano “invano di calmarlo, tanto che questi aveva afferrato un boccale in vetro e lo aveva rotto, urtandolo contro un muretto allo scopo di creare un’arma tagliente impropria”. Dopo poco, anche Quendoz, che “conosceva Oussalam in quanto suo vicino di casa”, “era uscito” dal bar “allo scopo di calmarlo”, senonché era stato “colpito dapprima sul volto e, in seguito, a più riprese sulla nuca con il frammento di vetro brandito, provocando un abbondante sanguinamento”. Il confronto tra i due uomini si era concluso “con la caduta a terra di Oussalam che aveva urtato il capo sul cordolo del marciapiede e aveva” perso conoscenza, morendo poco dopo.

Quendoz voleva procurare lesioni?

Messa a fuoco la dinamica, il pm Pizzato evidenzia i tre “profili di criticità da un punto di vista probatorio” che conducono ad escludere l’accusa. Il primo è nella difficoltà di ricondurre il comportamento di Quendoz ad un “atto diretto a procurare percosse o lesioni”. Per un testimone sentito dagli inquirenti (ad indagare sono stati i Carabinieri), “Oussalam era stato spinto o colpito con un pugno da Quendoz”, mentre un altro, contraddicendo tale versione, “ha affermato che l’indagato aveva spinto con le mani la persona offesa”.

Per parte sua, Quendoz ha riferito in interrogatorio che l’unica condotta “nei confronti della vittima si è concretata nella presa dei suoi fianchi”, in modo da “tenerlo lontano da lui e impedirgli di colpirlo nuovamente sul viso dopo aver ricevuto il primo fendente”. “Ricordo che dopo averlo spinto indietro gli dissi di stare calmo e di tornare a casa. – sono state le parole dell’indagato – In quel frangente, in una frazione di secondo, mi sono sentito tagliare la faccia e ho avvertito una sensazione di calore”.

“A quel punto – aveva aggiunto il muratore – ho abbassato la testa e ho cercato di spingerlo via mettendogli le mani sui fianchi. Preciso che non è stata una semplice spinta, ma ho proprio cercato di allontanarlo tenendo le mie mani appoggiate sui suoi fianchi, accompagnandolo sulla salita presente fuori dal locale. In cima alla salita, ha perso aderenza ed è caduto”. Insomma, “una condotta non violenta” risultata peraltro “compatibile con le risultanze degli accertamenti medico-legali” compiuti dal perito nominato dal Tribunale (nell’ambito di un incidente probatorio) e dai consulenti della Procura e della difesa (ad assistere l’indagato erano gli avvocati Danilo Pastore e Fabrizio Voltan).

L’infarto dalle cause incerte

In seconda battuta, il pubblico ministero osserva che dall’inchiesta “non è stato possibile dimostrare l’esistenza di un nesso causale tra la condotta di Quendoz e la morte di Oussalam”. I referti degli accertamenti sono infatti concordi sul fatto che il 50enne di origini marocchine “non sia deceduto in conseguenza del solo urto riportato col capo”, ma sia da attribuirsi “ad un arresto cardiaco”.

Sulle sue cause, tuttavia, gli esperti raggiungono conclusioni diverse, alcune che si escludono a vicenda. Il perito del Tribunale, il medico-legale Roberto Testi, cita anche lo “stress emotivo conseguente alla colluttazione”, osservando però che lo stesso potrebbe essere derivato “non solo dal subire l’azione aggressiva, ma anche dall’atto stesso” di Ousalam “di aggredire” il suo antagonista. Pertanto, per il pm, non si può “concludere al di là di ogni ragionevole dubbio che una condotta volontaria o meno di Quendoz sia stata causa o concausa della morte di Oussalam”.

La legittima difesa

Infine, alla luce dello svolgimento dei fatti, a favore dell’indagato interviene comunque la legittima difesa. Il consulente della Procura, il medico-legale Mirella Gherardi, ha infatti sottolineato che “sul corpo di Oussalam è stato osservato un quadro lesivo complessivamente di modesta entità e nettamente più contenuto a quello a carico” di Quendoz. Giudizio corroborato dall’esperto incaricato dalla difesa, che ha rilevato come i colpi vibrati all’indagato con il coccio “non hanno raggiunto regioni vitali probabilmente solo casualmente” e che “se fosse stato colpito il collo” sarebbe “stato più che concreto il rischio di una o più lesioni” con “conseguenze potenzialmente mortali”.

A sostegno della tesi di legittima difesa, il pm colloca anche le parole di un testimone connazionale della vittima: “picchi un italiano che non ti ha fatto niente […] l’ha picchiato sul viso […] non sono rimasto male per lui, ma sono rimasto male per l’italiano”. La Procura ritiene quindi che le condotte di Quendoz siano state “proporzionate alla violenza subita e sono state realizzate allo scopo di difendersi e di sottrarsi a un pericolo”. Se non avesse allontanato Oussalam, verosimilmente quest’ultimo avrebbe “continuato a colpirlo sul capo o sulla nuca con l’arma impropria impugnata, mettendone a serio rischio la vita”.

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