Quell’“intreccio di rapporti” che ha portato agli arresti di Longarini e Cuomo
Nell’ordinanza con cui il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano Giuseppina Barbara dispone, accogliendo le richieste del pubblico ministero Roberto Pellicano e del procuratore aggiunto per i reati di corruzione Giulia Perrotti, gli arresti domiciliari a carico del procuratore capo facente funzioni Pasquale Longarini e dell’imprenditore Gerardo Cuomo, è nitidamente fotografato l’episodio che costituisce la genesi delle indagini culminate nelle misure cautelari eseguite due giorni fa, mentre la città era immersa nell’atmosfera spensierata della “Fiera di Sant’Orso”.
Tutto ha inizio alla fine di marzo 2016, con una segnalazione arrivata al Capo della Procura di Milano dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Torino. L’annotazione proveniva, a sua volta, dall’allora responsabile dei magistrati inquirenti aostani, Marilinda Mineccia (in servizio a Novara dallo scorso novembre), ed aveva per oggetto la ricostruzione di alcune vicende effettuata da un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri. Quest’ultimo dava conto, tra l’altro, di un incontro, risalente a circa tre mesi prima, tra un suo subalterno e il pubblico ministero Longarini per lavoro, a proposito di un’indagine “condotta sotto la direzione della Direzione distrettuale Antimafia di Torino in merito alla presenza di esponenti di un gruppo criminale ‘ndranghetista” in Valle d’Aosta.
Durante le indagini, attraverso alcune intercettazioni svolte, i militari avevano riscontrato “nei confronti di politici locali indizi di reato di abuso d’ufficio ed induzione indebita di competenza circondariale”. Un ufficiale, in accordo con il Pm distrettuale titolare del fascicolo, si era quindi recato da Longarini per informarlo che, in ordine a tali ipotesi di irregolarità, “sarebbero stati incardinati presso la Procura della Repubblica di Aosta procedimenti penali” destinati, in ragione della sua delega ai crimini contro la Pubblica amministrazione, ad essergli assegnati.
Nell’incontro con il magistrato, l’ufficiale aveva fatto il nome, tra i coinvolti, dell’imprenditore Gerardo Cuomo, “emerso quale soggetto di interesse investigativo”. I militari lo avevano notato incontrare, presso la sua azienda (il Caseificio valdostano, con sede a Pollein), il pluripregiudicato Giuseppe Nirta, figura cui gli inquirenti avevano ricondotto una ditta spagnola “con la quale il caseificio aveva intrapreso rapporti commerciali”.
Il rappresentante dell’Arma è scrupoloso nell’annotare “l’esplicito stupore del magistrato” che riferisce all’ufficiale dei suoi “saldi rapporti di amicizia personale con l’imprenditore”. Nel periodo successivo, i Carabinieri constatano che Cuomo aveva “praticamente troncato i rapporti con Nirta, evitando di rispondere alle sue telefonate e facendosi finanche negare dai suoi collaboratori”. L’imprenditore aveva così perso “interesse per gli investigatori” e tale repentino cambiamento delle sue abitudini (gli incontri fra Nirta e Cuomo erano stati osservati con cadenza mensile o bimestrale, sempre nel Caseificio, ogni qualvolta il pluripregiudicato rientrava dalla penisola iberica) non era, per gli inquirenti, casuale rispetto alle informazioni ricevute dal pubblico ministero aostano.
Peraltro, nelle indagini, in particolare in alcuni appostamenti, i Carabinieri avevano osservato “la presenza di Longarini, anche con altre persone, che si recava da Cuomo”. In un caso, l’imprenditore (che i militari ritengono essere massone, “come da lui stesso dichiarato in una conversazione telefonica intercettata”) “è stato visto uscire dalla propria azienda casearia” insieme al magistrato e “caricare uno scatolone di merce sul sedile posteriore dell’autovettura di quest’ultimo”. Da alcune intercettazioni telefoniche, emerge poi che, nel luglio 2016, “Cuomo si reca a casa di Longarini per consegnargli delle mozzarelle”.
Una vicinanza che per i militari impegnati nell’indagine è singolare, tanto che rilevano come Cuomo, nel giro di poco più di un anno (da fine dicembre 2014 a febbraio 2016), chiami Longarini una cosa come 148 volte. Non solo, sull’assiduità della frequentazione tra i due, il Gip nell’ordinanza evidenzia quali “illuminanti” due episodi. Si tratta dell’interessamento del pm di Aosta “presso la Questura di Aosta per far ottenere – peraltro senza riuscirvi – ad un dipendente di Cuomo il rilascio della carta di soggiorno, necessaria per la stipulazione di un contratto di mutuo”, nonché della segnalazione telefonica fatta dal magistrato “al primario di ortopedia dell’ospedale di Aosta affinché” l’imprenditore, “in Pronto soccorso per una sospetta frattura dovuta ad infortunio sul lavoro, ricevesse cure sollecite da parte dei sanitari presenti”.
Al puzzle, a questo punto, si aggiunge il terzo protagonista dell’inchiesta: Sergio Barathier, amministratore dell’albergo “Royal & Golf” di Courmayeur e titolare della gioielleria “Aurum”. Proprio in ordine a quest’ultima, il commerciante era sotto indagine per reati di origine fiscale (affidata al pm Longarini). Nel corso di un evento tenuto nell’hotel, a gennaio 2016, il commerciante chiede ad un ufficiale dell’Arma presente “cosa stesse succedendo in relazione al fuoco incrociato che stava ricevendo su Cuomo”. In tale circostanza, emerge che “qualche giorno prima il dottor Longarini avrebbe telefonato” al direttore dell’albergo “chiedendogli se l’hotel potesse cambiare fornitore di prodotti alimentari ed affidare la fornitura alla ditta ‘Caseificio valdostano’”.
Sentito dai giudici di Milano al riguardo, l’imprenditore alberghiero fa mettere a verbale di aver “acquistato da Cuomo soltanto dopo aver negoziato i prezzi e ottenuto uno sconto. Certamente, una volta ricevuta la chiamata di Longarini eravamo consapevoli che qualche tipo di acquisto avremmo dovuto effettuare”. Aggiunge di conoscere il pubblico ministero Longarini e di essere stato nel suo ufficio, assieme all’avvocato difensore, in relazione all’inchiesta della Guardia di Finanza di Aosta, nella quale “risultavo indagato per riciclaggio e associazione a delinquere” finalizzata alla frode fiscale. Nell’incontro, negli ultimi mesi del 2015, “il pm mi rassicurò, dicendomi che esisteva solo il reato fiscale, in quanto gli altri non erano risultati fondati”. Ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini per i soli illeciti tributari, “ho potuto esaminare la richiesta di archiviazione, relativa agli altri reati”.
Secondo il Gip Barbara, “la vicenda della ‘sollecitazione’ da parte” del magistrato “a Sergio Barathier ad avvalersi di Gerardo Cuomo e della sua azienda”, “è stata compiutamente e univocamente accertata dalle indagini svolte”, consistite “in intercettazioni telefoniche di tutti i soggetti coinvolti, in assunzione di informazioni, nonché in acquisizioni documentali”. Per i magistrati milanesi, il mosaico è completo, con “l’intensità del rapporto intercorso fra il pubblico ministero aostano e l’imprenditore di origine campana”, tanto da poter affermare che “in talune occasioni Longarini si sia messo a disposizione di Cuomo per risolvere problemi contingenti occorsi allo stesso.”
D’altro canto, si legge ancora nell’ordinanza del Gip di Milano, “le indagini hanno consentito di accertare come, a fronte di questa sollecita disponibilità nei confronti dell’amico imprenditore, Longarini abbia ricevuto dallo stesso, oltre a forniture di prodotti caseari, quantomeno dei favori, se non delle vere e proprie remunerazioni”. Scaturisce da questa considerazione il filone dell’inchiesta suscettibile (e, secondo il Gip, necessitante) di ulteriori approfondimenti, relativo al caso del viaggio in Marocco effettuato dal magistrato nello scorso settembre, “insieme a Cuomo e Claudio Leo Personettaz, le cui spese sarebbero state integralmente sostenute dai due imprenditori” (nel dettaglio, stando agli accertamenti svolti dagli inquirenti, i biglietti aerei intestati ai tre sarebbero stati pagati da Personnettaz, imprenditore valdostano con interessi all’estero, mentre del soggiorno e di alcuni pasti si sarebbe fatto carico il titolare del “Caseificio valdostano”).
Altrettanto da approfondire, per il Giudice delle indagini preliminari, “i rapporti intrattenuti dal dottor Longarini con Francesco Muscianesi, imprenditore edile di origine calabrese trapiantato in Valle d’Aosta e legato al magistrato da rapporti di amicizia”. Al riguardo, l’ordinanza rivela che “dalle indagini patrimoniali svolte”, Muscianesi risulta “aver effettuato nel 2013 e 2014 due bonifici bancari per complessivi 55mila euro a favore di Longarini”, con una causale che “dai primi accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza appare poco plausibile e, quindi, probabilmente falsa”. Circostanza che induce i magistrati milanesi a ritenere che “detti pagamenti possano avere una causale illecita ed essere in qualche modo connessi al ruolo professionale del destinatario”.
Un “intreccio di rapporti” che, suffragato dalle intercettazioni a carico di Longarini, porta il gip Barbara a descrivere lo stesso come un magistrato che svolge “le sue funzioni di pubblico ministero presso la Procura di Aosta in modo che appare quantomeno disinvolto e inopportuno, dando suggerimenti ai suoi interlocutori, con i quali intrattiene rapporti confidenziali, su come comportarsi e che strategie processuali adottare nell’ambito di procedimenti penali iscritti presso quell’ufficio giudiziario”.
Gli eventi, messi in fila, secondo l’ordinanza del Gip Giuseppina Barbara, indicano che “Pasquale Longarini, abusando della sua qualità di pubblico ministero, abbia indotto Sergio Barathier, indagato per reati fiscali e riciclaggio in un procedimento assegnato allo stesso Longarini, a concludere con Gerardo Cuomo, a lui legato da solidi rapporti di amicizia ed assidua frequentazione, un contratto di fornitura di prodotti alimentari”. Ciò avrebbe portato “allo stesso Cuomo un’utilità nell’ordine di 70-100mila euro l’anno” che deve ritenersi indebita, “in quanto frutto non della libera determinazione dell’acquirente nello scegliere la controparte contrattuale sul mercato”, ma della pressione subita nel momento in cui la “segnalazione” proveniva “da colui dalle cui determinazioni dipendeva il suo destino processuale”. Da qui, la contestazione del reato di induzione indebita, in concorso con Cuomo.
Riguardo al mutato atteggiamento del titolare del “Caseificio valdostano” rispetto agli incontri con Giuseppe Nirta, i magistrati ritengono che lo stesso sia stato determinato “dall’aver appreso delle indagini in corso”, informazione che l’imprenditore può aver ricevuto “soltanto dal dottor Longarini, che lo avrà messo in guardia anche rispetto all’utilizzo dello strumento telefonico per le sue comunicazioni”. Tale ricostruzione, secondo gli inquirenti, è suffragata da una conversazione telefonica in cui Cuomo dice a Barathier di “comprendere la sua situazione di indagato timoroso di vedersi attribuire dagli inquirenti affermazioni diverse da quelle fatte, essendo stato anche lui in precedenza intercettato”. Un mosaico che orienta i magistrati milanesi verso “gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto di favoreggiamento personale”, contestato al solo Longarini.
Il giudice, rispetto alle esigenze cautelari, chiede gli arresti per Gerardo Cuomo e Pasquale Longarini, rilevando sia i pericoli di inquinamento probatorio, sia di reiterazione di reati analoghi. In particolare, il Gip Barbara vede nel titolare del “Caseificio valdostano” un soggetto “particolarmente pericoloso”, con il rischio concreto che, se lasciato libero, “non esiti ad utilizzare le sue ‘capacità’ e relazioni per commettere altri reati contro la pubblica amministrazione, se da ciò possano derivarne vantaggi per lui e per le sue aziende”.
Longarini, invece, rimanendo in libertà, potrebbe continuare “ad abusare della sua funzione di pubblico ufficiale”, in violazione “dei doveri di imparzialità e correttezza su di lui incombenti”, anche perché “riveste una posizione nella realtà valdostana di particolare rilievo”, essendo Pubblico ministero delegato alle indagini in materia di criminalità economica (“con tutto il potere che ne deriva in una realtà ricca, ma tutto sommato geograficamente piccola come la Val d’Aosta”), nonché “Presidente appena nominato della Commissione Tributaria Provinciale, incarico che ulteriormente accresce il suo potere e il suo prestigio”.
Il regime di libertà potrebbe, peraltro, consentire contatti in cui le persone coinvolte riuscirebbero a concordare “versioni di comodo da fornire all’autorità giudiziaria milanese”. In particolare, il Giudice per le Indagini Preliminari teme che possano essere create spiegazioni favorevoli sul viaggio in Marocco con il magistrato e sulle spese sostenute dai due imprenditori, nonché che possa essere fornito un racconto sulla vicenda del contratto di fornitura all’hotel di Courmayeur “sfumando” i riferimenti al ruolo di Longarini.
Il cerchio si chiude lo scorso lunedì, quando, con la città invasa dagli artigiani e dai visitatori della "millenaria", i finanzieri eseguono l’ordinanza, facendo scattare le manette ai polsi del magistrato e dell’imprenditore. Dopodomani, Pasquale Longarini, difeso dall’avvocato Claudio Soro, sarà sottoposto ad interrogatorio di garanzia e potrà confutare le accuse mossegli. Il prossimo appuntamento di una vicenda in cui sembra esserci ancora parecchio da vedere.